Un racconto... tanto per non sentirmi sempre brontolare
CINZIA E IL MARE
L'acqua era ancora fredda, mentre una brezza continua le scompigliava i capelli: forse in un altro momento avrebbe potuto apprezzare il sole all'orizzonte e i colori accesi dell'alba seminascosta da dei nuvoloni violacei.
Il senso di angoscia che l'aveva assalita quella mattina le impediva di godere appieno i profumi e le sensazioni che il mare, di solito, le regalava. Suo padre se ne era andato la sera prima, dopo un violento litigio con sua madre e non era ancora rientrato. Cinzia era sempre stata contraria a quella vacanza forzata, nel tentativo inutile di rappacificarli. Ultimamente avevano sempre e solo litigato, anche a distanza, e la convivenza forzata aveva contribuito ad esasperare gli animi. Presi separatamente erano persone dolci e tenere, soprattutto con lei, invece assieme,sapevano solo dare il peggio di sé.
Mentre i pensieri spaziavano attraverso il suo dramma sempre più grande mano a mano che i minuti passavano, il vento si era alzato e le onde schiumose erano arrivate fino ai suoi piedi. L'acqua gelida la riscosse, cambiò direzione e, con passi lenti e cadenzati, si diresse verso il lungo pontile, proteso verso il mare aperto. Arrivata alla fine, si sedette su un grosso scoglio assorta a contemplare le onde, progressivamente sempre più alte e violente. Perfino il mare comprendeva il suo animo: anche lei avrebbe voluto spazzare via gli ultimi anni della sua vita e ricominciare tutto daccapo, mentre il sereno ritornava.
Il cielo era sempre più minaccioso, forse sarebbe stato meglio rientrare, ma qualcosa la tratteneva ancora là. L'acqua sbatteva rumorosamente tra gli scogli sotto di lei e Cinzia non potò fare a meno di guardare in basso. Alcune ciocche di capelli galleggiavano in maniera innaturale e il suo stato d'animo mutò in maniera repentina, prima curiosa, poi spaventata e infine inorridita, quando, poco lontano dai capelli, riconobbe la giacca a vento azzurra, indossata dal padre la sera prima. “Non può... non... non è possibile.” Non poteva averlo fatto, non lui. Non poteva averla lasciata, le aveva promesso che non l'avrebbe abbandonata mai, non poteva essere stato così codardo. Non a causa delle scemenze che si erano urlati la sera prima.
Prese il cellulare e compose rassegnata il numero d'emergenza.
Le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento sgorgarono copiose, mentre le uscivano solo frasi sconnesse. Alla fine riuscì a concretizzare la realtà dei fatti: “Papà è annegato.”
Assieme alle parole era riuscita a buttar fuori il grande senso di angoscia che sembrava soffocarla. Riagganciò, e, ancora tremante, si sedette rannicchiata sullo scoglio, in attesa dell'arrivo dei soccorsi, anche se inutili. Nel giro di qualche minuto il pontile si popolò, procurandole un senso di fastidio per l'intimità violata. Uno di loro le si sedette affianco, i tratti un po' duri ma lo sguardo compassionevole: “Mi spiace, signorina, finché il mare non si calma non possiamo immergerci. Il corpo deve essersi impigliato da qualche parte. Lo so, è brutto prolungare ulteriormente quest'angoscia.” Già, perché rischiare la vita quando era già morto? L'ufficiale inquirente non fu altrettanto gentile e comprensivo: lei stava soffrendo e a lui interessavano i particolari. Degli stupidi particolari che, ormai, non avevano più senso. “Sa dirmi perché avevano litigato?”
“Per gli alimenti, credo.”
“Ne è sicura, oppure sono supposizioni?”
“No, li ho sentiti. Papà aveva chiesto di sospendere gli assegni per qualche mese.”
“Suo padre era in difficoltà economiche?”
“Suppongo di sì”
“Ritiene possa essersi ucciso a causa dei debiti?”
“Non lo so” non mi interessa, mi lasci in pace, mi lasci piangere mio padre.
“Dov'è sua madre? Perché non è qui?”
“Non l'ho ancora avvertita.”
Nel frattempo gli agenti erano riusciti a recuperare la giacca. Per Cinzia fu uno strazio. Dentro a una tasca, in una busta impermeabile, c'era un biglietto con scritto a macchina: “Ti voglio bene scriciola, perdonami, ma l'ho fatto per te.” Le sembrava di impazzire, no... non poteva essere lui, un messaggio anonimo, scritto per di più a macchina.
In fondo al cuore sperò in uno scherzo, anche se di pessimo gusto, far credere di essere morto. Purtroppo, quando il temporale cessò e il vento si calmò, tutte le sue speranze svanirono, vedendo il corpo senza vita e ripescato di suo padre. A quel punto arrivò la madre, che cominciò ad urlare e a strapparsi i capelli per la disperazione. Cinzia non poteva credere a quelle lacrime: sapevano di falso, di stonato, erano solo ipocrite... Mentre l'ascoltava le risuonavano alla mente le parole della sera prima: “Buffone, sei solo un pagliaccio, non ti importa nulla di noi...”
Poco più in là intravvide lo zio paterno. Anche se era frastornata da tutta la gente attorno a lei, dalle grida e dal dolore, non poté fare a meno di chiedersi per quale motivo lui si trovasse là, in quel momento, dato che abitava a più di cinque ore di strada e nessuno sarebbe stato in grado di avvisarlo per tempo. Qualche buon anima si preoccupò di dare un sedativo alla donna isterica, facendola finalmente smettere. Cinzia, invece, accompagnò in silenzio i resti di suo padre per tutta la lunghezza del pontile ed attese che lo caricassero per portarlo via.
Rientrò a casa. Si chiuse in camera e, come un automa, cominciò a fare le valigie. Sentì gli altri due rincasare, ma decise di ignorarli completamente: non aveva nessuna voglia di parlare con loro. Passò tutta la notte a piangere sui ricordi comuni e, alla mattina aveva deciso, non sarebbe rimasta un minuto di più lì con loro.
“Ma non possiamo accompagnarti a casa, sei grande abbastanza per capire. Dobbiamo rimanere qui per organizzare il funerale, le autorizzazioni, chissà quanti giorni ci vorranno.”
“Non me ne importa. Andrò ospite da un'amica.”
“Lascia stare Clara, l'accompagno io fino al traghetto... poi si arrangerà” Voleva obiettare che esistevano anche i taxi, ma non aveva nessuna voglia di litigare. Voleva andarsene. Subito. In macchina lo zio intavolò discorsi strani: “Sai, ho visto tua madre particolarmente provata. Ho deciso che verrò a vivere con voi, almeno finché la situazione non si sarà normalizzata. E poi non mi va che viviate da sole.” Erano quasi due anni che vivevano loro due da sole, ma nessuno se ne era preoccupato finora. “Vedi Antonio, tuo padre, si era cacciato in grossi guai. Eri troppo piccola per sapere la verità, però ha chiesto dei soldi a persone sbagliate e ce l'avevano con lui perché non riusciva a pagare regolarmente. Negli ultimi mesi avevano minacciato di fare del male anche a voi.” Non capiva. Non riusciva a capire. Suo padre gli aveva sempre raccontato tutto. Perché avrebbe dovuto nascondergli una cosa così importante? Mentre lo zio pagava il parcheggio, scese dall'auto, aprì il portabagagli per prendere la borsa da viaggio e notò subito una strana valigetta. La targhetta era inconfondibile: era una macchina da scrivere. Improvvisamente tutto quadrava. Tutti i tasselli cominciavano ad avere il suo posto. Rivedeva lo zio che passava a trovarla sempre quando lei stava uscendo, lo strano affetto dimostrato alla morte di suo padre. La stessa presenza, lì in quel luogo, il giorno della disgrazia. Intuì tutto, ma nello stesso tempo non capiva il perché di quel sacrificio, perché non si erano rifatti una vita loro e basta. Si caricò la borsa in spalla e salì stancamente sul traghetto che la portava via. Quello che più l'angosciava, era il saperli impuniti. Il caso sarebbe stato chiuso come suicidio e lei non poteva farci niente. D'altra parte nessuno avrebbe potuto credere ai sospetti di una ragazzina. Non poteva nemmeno confidarsi con qualcuno. Non avevano avuto nessuna difficoltà ad eliminare suo padre, tanto meno ne avrebbero avuta ad uccidere lei. Li odiava con tutta sé stessa perché, per colpa dei loro egoismi, la sua famiglia non esisteva più. Niente sarebbe stato come prima.
Dal parapetto della nave scorse un volto amico che la salutava, lo riconobbe, era l'uomo dagli occhi buoni che solo il giorno prima si era seduto accanto a lei. Dopo averla salutata, si voltò a parlare con lo zio. Lei avrebbe voluto volentieri scendere di nascosto per sentire cosa si stavano dicendo, ma, ormai, la nave stava partendo. Non c'era più tempo. Sempre più curiosa si attardò sul parapetto il più a lungo possibile. Ormai le due figure erano diventate due piccole sagome lontane.
Prima di sparire del tutto riuscì a vedere l'uomo aprire il bagagliaio.
Forse, allora, giustizia poteva essere fatta.
Forse.
[Modificato da ELIPIOVEX 11/07/2006 15.35]