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SUPERSAGGIO
Gasparri propone arresti preventivi
Le opposizioni: "Annuncio di fascismo"

Il capogruppo dei senatori del Pdl fa riferimento alla "retata" del 1979.
La Russa frena: "Bastano le leggi che ci sono".
Veltroni: "Prefetto convochi insieme studenti e forze di polizia".
Vendola: "Gasparri da giovane era un teppista". L'appello di Roberto Saviano


ROMA - "Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un 7 aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell'estrema sinistra collusi con il terrorismo". Così il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, in merito alle polemiche seguìte alla scarcerazione dei ragazzi fermati 1 lo scorso 14 dicembre durante gli scontri a Roma. Il 7 aprile del 1979 (e non del 1978, come erroneamente afferma Gasparri) fu il giorno in cui, con un'enorme retata, le forze dell'ordine arrestarono diverse persone, prevalentemente legate a Autonomia operaia, accusate a vario titolo di appartenere alle frange dell'eversione. Fra gli arrestati c'era anche Toni Negri, sospettato di essere il capo delle Brigate rosse.


"Qui - osserva Gasparri - serve una vasta e decisa azione preventiva. Si sa chi c'è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie". "Per non far vivere all'Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico - conclude Gasparri - va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l'area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l'Italia".

L'uscita di Gasparri non trova sponde neppure all'interno del governo. "Non credo proprio che invochi leggi speciali - dice Ignazio La Russa, ministro della Difesa - Bastano le leggi che ci sono, basta solo farle rispettare".

Il presidente del Senato, Renato Schifani, condannando ogni forma di protesta violenta, preferisce lanciare un appello agli studenti. "Mi auguro - dice parlando a margine del concerto di Natale a Palazzo Madama - che le proteste, se ci saranno, si svolgano in piena democrazia, nel rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti. Quando invece la protesta diventa violenza, come quella cui abbiamo assistito giorni fa, ogni forza politica e ogni istituzione deve deprecare senza se e senza ma ogni gesto che vada al di là della normalità democratica". Quanto all'approvazione definitiva del ddl Gelmini, con voto entro mercoledì a Palazzo Madama, Schifani prevede "giorni difficili, quelli che vivremo al Senato ma sono convinto che all'interno dell'aula vi sarà grande senso di responsabilità se pur nel rispetto delle dialettiche. Mi auguro che altrettanto facciano i giovani che andranno a protestare: ne hanno diritto, ma lo facciano con compostezza e nel rispetto delle regole".

Le parole di Gasparri provocano la dura reazione del Pd. "E' un irresponsabile che gioca con il fuoco. A fronte di un malessere sociale che necessiterebbe risposte politiche, la destra sa offrire assurde ricette poliziesche", afferma Andrea Orlando, responsabile giustizia dei democratici. "La proposta di Gasparri, a parte il trascurabile fatto che è contraria alla nostra Costituzione come il 'garantista' (per Dell'Utri e Cosentino) Gasparri dovrebbe sapere, avrà come effetto qello di far diventare agli occhi di un'intera generazione degli eroi, vittime della repressione, gli esponenti delle frange violente. Noi riteniamo che la polizia e la magistratura abbiano gli strumenti e le professionalità per fronteggiare i pericolosi fenomeni di violenza, che la politica e le forze sociali devono saper isolare senza l'esigenza di mettere in campo rigurgiti di stampo fascista".

"E' grave - commenta in una nota Walter Veltroni - che anche nel mondo politico ci sia chi, penso a Gasparri, sembra voler esasperare il clima. Io credo che compito di chi ha a cuore gli interessi della democrazia e la sicurezza dei cittadini sia esattamente inverso. Per questo propongono che il prefetto convochi i responsabili dell'ordine pubblici e gli studenti, per fare in modo che le manifestazioni legittimamente convocate si svolgano in un clima civile, isolando provocatori e violenti". "Sarebbe bello e opportuno - propone Veltroni - che venissero convocati anche i rappresentanti dei sindacati di polizia, perché non può non esservi solidarietà tra i giovani
che difendono l'università e rivendicano il loro futuro e quegli altri giovani che, con la divisa addosso e per poche centinaia di euro, difendono le istituzioni e la sicurezza dei cittadini".

"Sono parole pericolose. Se Gasparri conosce nomi e cognomi le faccia. Sennò lasci lavorare e rispetti le autorità competenti senza avvelenare il clima con dichiarazioni provocatorie e parafasciste" dice Anna Finocchiaro.

Intervenendo a "Che tempo che fa", spiega invece di avere l'abitudine di non commentare le affermazioni di Gasparri il presidente del Copasir Massimo D'Alema, che però puntualizza: "E' sbagliato che il governo non apra un dialogo con gli studenti, sarebbe un modo per isolare violenza". E poi aggiunge: "L'interesse alla violenza è un interesse dei gruppi violenti, ma potrebbe diventare anche un modo di chi è al potere di rafforzare il proprio potere".

Lapidario il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli: "Gasparri fascista era e fascista è rimasto". "L'arresto preventivo è annuncio di fascismo - rincara la dose Nichi Vendola - Gasparri all'età di questi ragazzini aveva l'attitudine alla violenza teppistica. Questo Parlamento non può salire in cattedra contro la violenza. Il movimento ascolti invece le parole di Roberto Saviano". Controreplica di Gasparri: "Dice sciocchezze e protegge i violenti. Lo denuncio". Contro il capogruppo del Pdl si scaglia anche l'Idv: "Gasparri è un pericoloso provocatore", afferma Massimo Donadi.

"E' inevitabile che il pensiero corra ai metodi delle dittature latinoamericane e al riproporsi di una cultura del ventennio e accolgo l'appello per cercare di rasserenare il clima ed isolare chi si augura, come Maurizio Gasparri, che alla manifestazione di martedì ci siano scontri" afferma in una nota il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti.

Su Repubblica la reazione di Roberto Saviano - che dopo gli scontri scorsi aveva avviato un serrato dibattito con gli studenti sul quotidiano e su sito. "Le ricette del Governo contro i manifestanti sono follie autoritarie" dice lo scrittore in un audio 2 su Repubblica.it. "Vogliono risolvere la questione - prosegue - come un problema di forza da affrontare senza dare risposte, ma solo repressione. La piazza non è uno stadio, nè i cittadini sono ultras scalmanati da reprimere". "Il governo deve ascoltare le ragioni dei precari e degli studenti e a quelle ragioni dare risposta". "La violenza, che oscura e danneggia gli obiettivi di questo movimento va disarmata e non alimentata come succederebbe invece proponendo arresti preventivi e anticostituzionali e zone rosse rese più rigide a mò di provocazione". Saviano chiude il suo appello difendendo gli sforzi della polizia su cui la politica tenta di scaricare la responsabilità della gestione del problema.

Fonte: Repubblica


21/12/2010 13:52
 
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“Daspo” e “arresti” per chi manifesta:
Maroni e Gasparri si sono dimenticati
di quando i “black bloc” erano loro?


Ieri erano in prima linea per le strade, oggi propongono “Daspo nelle piazze” e “arresti preventivi” degli studenti che manifestano. Le due idee sono state lanciate rispettivamente dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Il primo paragona i manifestanti agli ultras, il secondo ritiene che siano pericolosi come i terroristi negli anni di piombo. Ma forse sia Maroni che Gasparri dimenticano quando dall’altra parte della barricata c’erano loro e quando erano proprio loro ad avere guai con la giustizia: il primo, da militante della Lega Nord, è stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. Il secondo invece fu indagato per turbativa dell’attività parlamentare dopo che, nel ’93, irruppe a Montecitorio insieme ad altri “camerati” del Movimento Sociale Italiano.

La vicenda di Gasparri è stata ricordata da Leoluca Orlando, protavoce dell’Italia dei Valori: ”Il primo aprile del 1993, Maurizio Gasparri, insieme a un gruppo di militanti del Movimento sociale italiano, assaltò Montecitorio e fu indagato, ai sensi dell’articolo 289 del codice penale, per turbativa dell’attività parlamentare insieme ad alcuni colleghi missini fra cui Teodoro Bontempo e Altero Matteoli”.

”I ‘simpatici’ manifestanti, alla cui testa c’era lo stesso Gasparri – ha spiegato Orlando – fra cui diversi militanti del Fronte della gioventù e altri deputati dell’Msi, circondarono le esigue forze dell’ordine presenti in quel momento, indossando una maglietta con su scritto ‘Arrendetevi siete circondati’ e bloccarono l’accesso all’Aula con annessi insulti ai parlamentari. Alcuni militanti missini, inoltre, tentarono anche di aggredire fisicamente i deputati. Ci fu un lancio di monetine e il vetro dell’ingresso di Montecitorio fu incrinato. Per questo, Orlando si è chiesto “se il Maurizio Gasparri di allora sia lo stesso che oggi definisce gli studenti come potenziali assassini e che chiede gli arresti preventivi in auge nel fascismo”.

E a questo punto è scattata la similitudine con la proposta odierna di arrestare preventivamente i manifestanti “violenti” che nasconderebbero armi e oggetti “offensivi” da usare durante i cortei. Forse Gasparri non sapeva che anche all’epoca i suoi “compagni” erano ben “muniti”. ”Dopo le perquisizioni di rito – ha spiegato ancora Orlando – a casa di alcuni di questi elementi furono trovati dei proiettili e tali personaggi non furono né arrestati, né denunciati. Gasparri, all’epoca, non solo non si stracciò le vesti ma presentò, insieme al suo gruppo parlamentare, un’interrogazione in cui si dichiarava ingiustificato e arbitrario l’intervento dei poliziotti”.

La vicenda che vide protagonista Maroni è stata invece ricostruita da Gianni Barbacetto in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano e ripreso da Dagospia: “Era il 18 settembre e Bobo Maroni era davanti alla sede della Lega Nord in via Bellerio, a Milano. Alle 7 del mattino la polizia si era presentata a perquisire, a Verona, uffici e abitazioni di Corinto Marchini, il capo delle “camicie verdi”, e di due leghisti a lui vicini, Enzo Flego e Sandrino Speri. Gli agenti erano stati mandati da Guido Papalia, procuratore della Repubblica di Verona, che stava indagando sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere “un’organizzazione paramilitare tesa ad attentare all’unità dello Stato”. Marchini aveva un ufficio anche in via Bellerio, a Milano. Così due pattuglie della Digos veronese arrivano alle 11 alla sede della Lega e tentano di entrare. Invano: i militanti leghisti impediscono l’accesso. Tornano il pomeriggio, con un provvedimento integrativo di perquisizione. Riescono a fatica a entrare nell’androne, ma lì sono fermati da un cordone di leghisti, tra cui Maroni, che impedisce l’accesso alla scala. Spintoni, parapiglia. Alla fine i poliziotti sfondano e riescono a salire”.

E sarebbe stato proprio a questo punto, secondo il racconto di Barbacetto, che l’attuale ministro dell’Interno si sarebbe contraddistinto: “Il primo vero e proprio episodio di violenza”, annotano le cronache, “è compiuto da Maroni che tenta di impedire la salita della rampa di scale, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu”. I due si divincolano e salgono, con tutti i loro colleghi. Ma la squadra Maroni non si ferma: insegue gli agenti, li copre d’insulti, tenta di bloccarli con la forza. I cori ingiuriosi sono diretti da Mario Borghezio, mentre “numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali” sono compiuti da Maroni, ma anche da Umberto Bossi e Roberto Calderoli: “Episodi tutti documentati dai filmati televisivi”.

Poi l’atto finale: “Con fatica, gli agenti arrivano davanti all’ufficio di Marchini che devono perquisire. Lo trovano sbarrato. Sulla porta, un biglietto scritto a macchina: “Segreteria politica – Ufficio on.le Maroni”. La porta è sfondata. “Operazione che tuttavia era ostacolata violentemente” da Maroni, Bossi, Borghezio, Calderoli e altri, “che aggredivano principalmente il dottor Pallauro e l’ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alle spalle”. La guerriglia finisce con un malore: Maroni “viene disteso a terra dall’agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso, ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela”.

All’episodio seguì un processo, nel quale Maroni fu riconosciuto colpevole di resistenza a pubblico ufficiale. E fu anche dimostrato che tentò di mentire, con l’intenzione di attribuire la colpa dell’aggressione ai poliziotti.

Ricapitolando, chi è senza peccato scagli il primo sanpietrino. Poi se la polizia o i giudici impongono foto segnaletiche, impronte digitali e compagnia bella, può sempre fare una dura nota di protesta. “Un comportamento assurdo, ingiustificato, sproporzionato e al limite, arbitrario degli agenti di polizia, una indebita prevaricazione e persecuzione”: son parole di Fini, non di un collettivo studentesco. Ed era il 1993, non il ’78. Pardon, il ’79.

Fonte: blitzquotidiano


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