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SAGGIO
Ristoc portò in Italia bimba senza permesso. Il sottosegretario: stato di necessità
Violò la legge per la figlia,
oggi va a Palazzo Chigi

Giovanardi sfida la Lega e riceve il macedone assolto in Cassazione: «Avrei agito come lui»

La signora Carmela Cimini, che da bambina passò due anni di incubo vivendo nascosta da clandestina in una casetta vicino a Zurigo, è oggi un po' più fiera d'essere italiana: il papà della bimba macedone appena assolto in Cassazione per aver portato la figlioletta nel nostro Paese senza permesso, viene ricevuto stamattina a Palazzo Chigi. Dove il sottosegretario Carlo Giovanardi gli dirà: «Avrei fatto la stessa cosa anch'io». Un piccolo gesto storico. Che sfida le ire degli xenofobi.

Piccolo riassunto delle puntate precedenti. Immigrato in Piemonte, il macedone Ilco Ristoc, 38 anni, di Stip, riesce anno dopo anno a inserirsi, a guadagnarsi la stima di chi lo conosce, a trovare un lavoro fisso e ottenere l'agognato permesso di soggiorno. Trovata una casa in affitto, la arreda e avvia finalmente le pratiche per portare in Italia la moglie e i due figlioletti. Il più piccolo ha otto anni, la grandicella dodici. Macché: niente da fare. Sulla base di una legge del 20 giugno 1896 (l'anno in cui scatta la corsa all'oro nel Klondike e i fratelli Lumière inventano il cinema proiettando per la prima volta l'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat), legge rivista e aggiornata ma di fatto ancora buona nel suo impianto generale, esistono regole rigidissime per i «requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione». Dicono queste norme, parzialmente riviste trentatré anni fa, che «per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi. Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone. Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14. Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile». E chi non sta dentro questi parametri? Niente abitabilità.

Certo, come ammette lo stesso Giovanardi, nessuno si è mai ottusamente impuntato a far rispettare queste regole per le famiglie italiane sennò sarebbero state fuorilegge a centinaia di migliaia. Ma la legge è legge. Ed è a quella che nel '98 si agganciarono le nuove norme per consentire agli immigrati il ricongiungimento familiare. Norme che, oltre a pretendere che lo straniero dimostri «un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale (oggi pari a 5.142 euro) se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari», gli chiedono di avere un certo tipo di casa. Anzi: non bastano più i parametri della legge del 1975. Devono avere, loro, gli stranieri, «la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio».

Leggi regionali che a volte sono più restrittive. Morale: quando va a farsi dare il documento di idoneità, il comune cuneese di Rocca de' Baldi, dove Ilco Ristoc risiede, scrive nero su bianco che l'alloggio «rientra nei parametri minimi richiesti » ma solo «per un nucleo di tre persone». Un disastro: i figli sono due. Come fare? Rientrato in Macedonia, come metterà a verbale davanti al magistrato, l'immigrato cerca col cuore a pezzi di convincere la bambina più grande a restare lì, a Stip, con i nonni: «Possiamo andare in Italia solo in tre». Ma la piccola, che si chiama Silvana, scoppia in un pianto inconsolabile. Finché il papà non cede, carica in macchina anche lei e partono tutti insieme. Attraversano senza problemi il confine a Trieste, raggiungono Rocca de' Baldi, parcheggiano. Dopo di che l'uomo, che evidentemente ha un senso della legalità più forte di tanti italiani, va dritto dai carabinieri a raccontare tutto: «Non me la sentivo di lasciare mia figlia là. Ha solo dodici anni. L'avrei fatta morire di dolore. Non lo si può chiedere a un padre ». Detto fatto, l'autodenuncia viene girata alla magistratura. La quale porta avanti il suo processo contro Ilco Ristoc in assise, in appello e pure in Cassazione. Dove il presidente Edoardo Fazzioli chiude finalmente la faccenda con l'assoluzione.

Causa di forza maggiore. Una sentenza sacrosanta. Obbligata dalla legge stessa. Ma che solleva le proteste di leghisti come Paolo Grimoldi («Mi chiedo se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità oppure il fortino dell'eversione ») o forzisti come Isabella Bertolini, che bolla il verdetto come «un'altra mazzata alla legalità». E' lì che Carlo Giovanardi, sottosegretario con la delega alla famiglia, ha deciso di fare quel passo sorprendente: «È mio compito specifico difendere i principi fondamentali che attengono alla famiglia. Al primo posto c'è l'unità familiare. Tanto più se i figli sono minorenni. Ho letto questa storia e mi sono immedesimato nel dramma di quel genitore di dover abbandonare un bambino a migliaia di chilometri per un intoppo burocratico. Era una cosa insensata. Con gli stessi criteri non avrebbero l'abitabilità moltissime famiglie italiane. E non solo nei bassi napoletani. Allora ho chiamato quel padre e gli ho chiesto di venire a Roma, a Palazzo Chigi. Perché voglio dirgli che l'Italia vuole distinguere i buoni e i cattivi. Certo, ha violato una legge. Ma forse è una legge da rivedere. E voglio dirgli che, al posto suo, io avrei fatto la stessa cosa». Quanto agli eventuali strepiti della Lega, fa spallucce: «Sono sicuro che non ce ne saranno. Siamo d'accordo o no che vanno colpiti gli spacciatori e i delinquenti ma vanno aiutati quelli che vogliono inserirsi?». Lassù in Svizzera, vicino a Zurigo, la signora Carmela Cimini che visse una storia uguale a quella oggi di Silvana Ristoc e ieri di decine di migliaia di bambini italiani clandestini in Svizzera, dice che oggi «è proprio un giorno bello». Restò due anni senza uscire di casa, lei: «Vivevamo in tre in una stanza, ci facevamo da mangiare con un fornelletto nascosto nell'armadio. Non avevo il permesso di giocare, di ridere, di far rumore. Avevo il terrore di essere scoperta. Il giorno che finalmente mi fu permesso di uscire non lo dimenticherò mai. Era l'aprile del 1963. Una domenica di primavera. Andammo insieme a messa e poi a mangiare un gelato. Mai mangiato, da allora, un gelato più buono».

Gian Antonio Stella
10 dicembre 2008
corriere.it
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