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«Un uomo che supera destra e sinistra.
Globale come l’imperatore Adriano»

Il ministro Tremonti: Obama ha la sorte di concorrere a disegnare un nuovo modello di civiltà

Ministro Tremonti, lei da che parte colloca il nuovo presidente degli Stati Uniti?
«Molto semplicemente la risposta si trova nelle parole di Obama, che si definisce post partisan. Oltre le parti, oltre la destra, oltre la sinistra. Non basato sul passato, proiettato verso il futuro. Ed è giusto così. Non si può entrare nel XXI secolo con le categorie del XX secolo».

Può davvero cambiare il mondo?
«La "cifra politica" prevalente nel nuovo presidente è quella della novità. Non solo estetica e simbolica, l’età e la forza, e non solo dialettica, la perenne sfida americana, ma anche la novità morale e culturale. È una "cifra" evidente tanto nella forma, quella di un linguaggio religioso ispirato dal principio del destino manifesto, quanto nella sostanza, oltre il liberismo radicale e l’eclettismo di fine secolo».

Obama salverà l’impero americano?
«Sconfitto il comunismo, l’America ha prima spostato il suo asse portante dall’Atlantico al Pacifico, e poi fatto un patto con l’Asia, un patto basato sulla "divisione prima" del mondo: l’Asia produttrice di merci a basso costo, l’America compratrice a debito. È così che per il default della Russia sovietica, ed in absentia dell’Europa, attraverso la sua nuova proiezione asiatica, l’America ha cominciato a configurarsi come un impero. Liberale e benevolo, seduttivo e democratico. E tuttavia, quasi per sorte ripetitiva, ha rischiato di seguire la stessa parabola dell’impero romano. Roma, conquistato il Mediterraneo, ne fu a sua volta dominata: Graecia capta ferum victorem cepit. Non solo l’America è entrata nella globalizzazione, ma la globalizzazione è entrata in America con l’Asia in testa, avviando un processo progressivo di relativizzazione, confusione, contaminazione tra usi, costumi, valori, simboli. Ed è così, tra fusion e new age, che si arriva all’eclettismo di fine secolo».

Cioè a Bill Clinton?
«Il dilemma dell’America è tra due modelli: Eliogabalo e Adriano. All’impero di Eliogabalo l’America sarebbe arrivata proseguendo con Clinton sulla sua Terza Via. Ciò che è bene per Wall Street è bene per l’America, cuore a sinistra e portafoglio a destra. Non esistono valori assoluti, ma solo valori relativi, se possibile da quotare in Borsa. Gli scandali fanno parte del paesaggio e così via. Al secondo modello, ad Adriano, può corrispondere Obama, che si riporta alla tradizione dei democratici Anni ’30, ai valori roosveltiani, e che ha la sorte di concorrere a disegnare un nuovo modello di civiltà. La crisi è globale e la soluzione può essere solo globale, non solo economica, ma politica, basata su un New Deal globale».

Resta il fatto che Obama è stato catapultato alla Casa Bianca soprattutto dalla crisi economica...
«Artefice o vittima del suo successo? Per avere successo, e Obama può averlo, devi capire che cosa è successo ed è per questo che quella intellettuale è la condizione delle condizioni. Prima le analisi sono mancate del tutto, e infatti la crisi è arrivata improvvisa e imprevista. Adesso si stanno formando alcune analisi, ma vedono gli effetti e non le cause della crisi. In questi termini non sono sufficienti. Se vuoi uscire dalla crisi devi risalire alle sue cause. La crisi è globale non tanto perché è estesa su scala globale, dall’America all’Europa, dall’Asia all’America Latina, quanto perché è nella globalizzazione stessa, fatta troppo presto e troppo a debito, che si radica e nella sua meccanica costitutiva».

Non è una crisi finanziaria quella che stiamo vivendo?
«Crisi di questo tipo si sviluppano solo quando si aprono i grandi spazi. È stato così secoli fa con la scoperta "geografica" dell’America, è così ora con la scoperta "economica" dell’Asia. La crisi finanziaria è in realtà essa stessa un "derivato" della globalizzazione, un effetto collaterale degli squilibri che ha portato cambiando troppo di colpo la struttura e la velocità del mondo. Tutto nasce nello scambio tra Asia e America, tra merci e capitali. L’America compra le merci creando debito interno, a partire dai mutui ipotecari, e debito esterno, attirando i capitali asiatici, frutto del commercio con l’America stessa, sui titoli americani. È su questa piattaforma finanziaria, sviluppata fuori da ogni giurisdizione nazionale e dunque fuori da ogni controllo, che si è radicata, con la sua dinamica degenerativa, la moderna "tecnofinanza": dai subprime ai nuovi bond, dagli hedge ed equity fund, ai derivati».

E la crisi si sta avvitando. Cosa dobbiamo aspettarci?
«È come essere dentro un videogame: arriva un mostro, lo batti, e mentre tiri il respiro ne arriva un secondo, diverso. E poi un terzo, ancora più grande, e un quarto. Il primo mostro sono stati i mutui, ed in qualche modo sono stati gestiti. Ora sta arrivando il secondo, le carte di credito, che in America sono carte di debito, e anche questo potrebbe essere gestito. Si sta avvicinando il terzo mostro, i finanziamenti alle imprese, inclusi i corporate bond in scadenza. E sullo sfondo si profila il supermostro, i "derivati"».

Che nessuno sa che forma abbia...
«Una massa abnorme. La catena di "creazione del valore" si basava su di una tecnica speciale e su un principio fondamentale. La tecnica "speciale" era la concessione di credito ad un fondo, la cessione del credito ad un terzo, la sua trasformazione in un prodotto finanziario, la sua moltiplicazione iperbolica, infine il suo collocamento sul "mercato", esteso dalle banche alle famiglie. Il principio fondamentale era quello della catena di Sant’Antonio, modernamente configurato sul presupposto dello sviluppo universale perpetuo».

Lei ha detto che il denaro non crea denaro. Secondo D’Alema citando Marx...
«A braccio non si fanno citazioni. Quella frase la usa in negativo anche Gordon Gekko, l’eroe di Wall Street. Ragionando come D’Alema si dovrebbe comunque concludere che, a sua volta, Marx ha copiato San Tommaso D’Aquino: Nummus non parit nummos».

Torniamo a Sant’Antonio.
«Meglio. Come nelle catene di Sant’Antonio, la meccanica si è bloccata quando qualcuno ha smesso di spedire le cartoline. Quando la sfiducia, causata dall’eccesso di fiducia, ha bloccato la catena. Chi sapeva, e proprio perché sapeva, ha cominciato a uscire, a vendere al meglio, e a organizzarsi il soggiorno alle Cayman in attesa dell’Fbi. Meno folcloristicamente, sono i banchieri che hanno cominciato a non fidarsi più dei banchieri, bloccando la circolazione del sangue nel "corpus" della finanza».

È possibile rianimarlo?
«Tutto dipende dai tempi e dai metodi della politica, a partire dalla politica che sarà fatta dal nuovo presidente. Molto dipende dai corsi azionari, e non per caso sono le Borse gli indicatori più sensibili della crisi. Se il livello di caduta si ferma, tutto si tiene, seppure con enormi sforzi data la concentrazione sequenziale. Un conto è uno shock ogni tre anni, un conto è uno ogni tre mesi, in sequenza parossistica».

Come spiega l’ottimismo del presidente del Consiglio?
«Berlusconi conosce benissimo la situazione. Tuttavia dice che non ha mai visto un pessimista che ha successo, ed è difficile dargli torto. Va oltre l’ostacolo, traguardando con speranza il futuro».

Molto dipenderà da Obama, ma quali sono le sue opzioni di gestione della crisi?
«Ha davanti due scenari. Uno ordinario, come è stato finora: colossali swap che caricano i debiti privati sul debito pubblico e girano le perdite dal presente alle generazioni future. Oppure Obama può essere alla fine costretto dalla realtà ad andare verso uno scenario straordinario, a non ascoltare i templari della finanza fallimentare, ad applicare pensiero laterale. Staccando la finanza buona da quella cattiva, neutralizzando la massa dei derivati. Ispirando questa politica alla logica positiva dello shabbat, l’anno della remissione dei crediti e dei debiti, l’anno simbolico della ripartenza».

A Washington si incontreranno G8 e G20. La prima pietra del nuovo ordine?
«Sta prendendo forma una nuova architettura di governo del mondo basata su principi simili a quelli del New Deal. L’idea del primato della politica sull’economia, l’idea del mercato finanziario che non si autoregola. Puoi anche scrivere un codice della strada di mille articoli, ma non funziona se non hai i semafori, i vigili e le multe. Per questo si devono vietare i paradisi legali, gli strumenti della tecnofinanza. È per questo che si deve utilizzare il Fondo Monetario anche come struttura di controllo. E tuttavia regolare la finanza non basta. Serve soprattutto un nuovo equilibrio nelle clausole commerciali, sociali e ambientali. Nel primo G8 del 2001 avevo proposto fair trade. Nei discorsi di Obama, non di altri, lei trova la parola fair trade».

Marco Sensini
09 novembre 2008
corriere.it
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