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SUPERSUPREMO

A Venezia, Palazzo Grassi, la più vasta mostra mai organizzata sullo scontro-incontro fra l'impero romano e i Germani, i popoli dell'Europa centrale, delle coste scandinave e delle steppe asiatiche da cui sono nate le moderne nazioni europee. Tesori artistici mai esposti e materiali appena scavati come le "insegne del potere" di Massenzio dal Palatino e il gigantesco piede in bronzo da Clermont-Ferrand



VENEZIA - Un tema immenso (Roma e i Barbari). Un migliaio di anni di storia. Un numero di pezzi in mostra da far girare la testa (1.700). Come il catalogo (696 pagine, peso quattro chili, ma c'è una "Guida" di 80 pagine). Cinque milioni di euro di costo. Un sollievo: i materiali sono riuniti in quaranta complessi, con tesori nazionali, alcuni esposti per la prima volta. Come le "insegne del potere" di Massenzio scavate alle pendici del Palatino. E il cofanetto-reliquario detto di Teuderico che dopo 1400 anni ha lasciato la sua abbazia in mezzo alle Alpi. E materiali di fresco scavo come il piede di bronzo di Clermont-Ferrand lungo 55 centimetri, di grande perizia tecnica e minuziosa cesellatura (anche se non è dell'autore del "colosso" di Nerone). Sono stati rifiutati oggetti bellissimi, ma privi di contesto. In ogni caso questa mostra a Palazzo Grassi è la più vasta mai dedicata ai popoli dell'Europa centrale, i Germani, delle coste scandinave e steppe asiatiche, che posero fine all'impero romano mettendo in moto un "melting-pot" continentale. Fine in apparenza perché l'impero romano non è mai scomparso. Grazie a ibridazione- contaminazione-composizione, "conflittuale coesistenza", "osmosi fra vincitori e vinti" di leggi, prassi giuridico-istituzionale, cerimoniali, costumi, usi funerari, lingua, religione, cultura, arte e arti ornamentali, architettura, tecniche di metallurgia e oreficeria, sistemi organizzativi in particolare per l'esercito romano che dal III secolo è in buona parte composto ed equipaggiato con truppe barbare, "truppe federate", barbari a difesa dell'impero. Con personaggi come Stilicone di origine vandala, tutore dell'imperatore Onorio, vincitore di Alarico che mise a sacco Roma. Merovingi in Gallia, ostrogoti e poi longobardi e franchi in Italia, visigoti in Spagna, vandali in Africa, anglosassoni nelle isole britanniche, si sono sempre considerati delegati dell'impero col proposito di "perpetuare" l'autorità imperiale. E Carlo Magno farà rinascere l'Impero Romano d'Occidente (e si farà seppellire in un sarcofago antico).

Altro elemento fondamentale l'adozione del cristianesimo. Straordinaria di effetti per l'Italia (architettura, creazione di abbazie e monasteri), la conversione dei longobardi. Storia affascinante e storie terribili (il tradimento di Arminio decise il massacro di Teutoburgo), ma non nuove rispetto a quanto accaduto per secoli in nome e per la porpora imperiale romana.

Insomma è in mostra tutto ciò che diede vita alle moderne nazioni europee, la "nascita di un nuovo mondo" come dice il titolo. Con "scopo precipuo" di "mettere in evidenza l'ibridazione tra le radici greco-romane e le radici germaniche da cui ha origine la cultura europea" afferma il curatore Jean-Jacques Aillagon (responsabile della reggia di Versailles). Ben lontano dall'idea radicata di popoli "barbari", solo invasori, predoni, distruttori ("vandali"). Per Roma (e prima per la Grecia) "barbari" sono coloro di cui non si comprendeva la lingua e che non avevano sistemi urbani stabili.

La mostra riprende al veneziano palazzo ora in "stile François Pinault" (dall'atrio a pareti rosso pompeiano, ai due piani a pareti marrone brunito, tremila metri quadri), l'impegnativa tradizione delle grandi mostre di archeologia di Palazzo Grassi "stile Fiat". Durata quasi sei mesi, dal 26 gennaio al 20 luglio. E con "L'ultimo Tiziano" alle Gallerie dell'Accademia, farà l'"occasione che vale il viaggio". La produzione è di Palazzo Grassi, École française de Rome, Skira e Kunst-und Ausstellungshalle della Repubblica tedesca perché la mostra andrà in trasferta. Per il bimillenario di Teutoburgo, estate del 9 dopo Cristo, la vittoria grazie alla quale i germani non diventarono romani.

La lunga navigazione della mostra comincia con la gloria di Roma sui Barbari trasformata nel marmo della Colonna traiana, di altari e sarcofagi come i due pezzi più imponenti esposti. L'"ara della vittoria" da Augsburg (alta quasi due metri, 1.800 chili), esempio degli altari che in tutto l'impero celebravano la "Pax Romana" dopo il sangue. E un capolavoro assoluto, il "sarcofago di Portonaccio" dal Museo romano di Palazzo Massimo: un miracolo in altorilievo, stipato di 49 combattenti e prigionieri, cavalieri fra lance e teste mozze e il condottiero senza volto, non lavorato.

La gloria e il capovolgimento. Il massacro delle tre legioni di Varo nella selva di Teutoburgo per il quale Augusto bloccò l'avanzata dell'impero al Reno e al Danubio. Fu il tradimento di Arminio, ma la vittoria "con i suoi biondi Germani" fu cantata come quella che fece sopravvivere la libertà tedesca. Un dipinto di Lionel-Noël Royer del 1896, ci trasporta all'anno 16 quando l'imperatore Germanico, circondato da un numero sterminato di legioni (che vendicheranno la sconfitta), si trova di fronte ai resti dei soldati di Varo. L'imperatore a testa scoperta sul cavallo che si blocca di fronte ai teschi dei legionari che emergono dal terreno. Da un rosseggiante faggio o acero pende un corpo con l'armatura, uno scheletro. Il pittore sparge nel vento un nugolo di foglie rosse come sono stati dispersi i legionari. Ma non furono soltanto soldati, osserva Umberto Roberto dell'Università di Roma La Sapienza: c'erano famiglie, mercanti, schiavi, in tutto circa 30 mila persone annientate.

In un "flash-back" un grande dipinto di Paul-Henri Motte del 1886 fa rivivere il momento in cui Vercingetorige, sconfitto da Giulio Cesare, sta per entrare nell'accampamento del conquistatore della Gallia. C'è anche una statua in marmo acefala e mutilata, un prigioniero gallo, che fa parte di uno dei trofei (policromi), eretti per ricordare le vittorie. Con anticipo sui "culti della personalità", i ritratti degli imperatori sono diffusi in tutto l'impero e "proclamano l'unità del mondo romano". L'imperatore è il "garante della sicurezza e della prosperità di Roma". Nulla di più rassicurante del busto di Marco Aurelio, un chilo e 590 grammi d'oro, alto 34 centimetri, trovato in Svizzera (forse usato in cima all'asta di uno stendardo da parata o piuttosto nella celebrazione del culto imperiale). Qui ricompare il gigantesco piede scavato nel 2007 a Clermont-Ferrand, antica capitale degli arverni. Un pezzo eccezionale di una statua alta circa tre metri e mezzo, con tracce di doratura e decorato da un'aquila (quindi un imperatore o Giove, non il celebre Mercurio del I secolo, opera perduta di Zenodoro, lo scultore del Colosso neroniano). Uno straordinario elmo che sembra tutto d'oro (è d'argento dorato e ferro) parla invece dei duri scontri con i barbari. Apparteneva ad un alto ufficiale dell'epoca di Costantino ed è stato trovato in un terreno acquitrinoso in Olanda. Potrebbe essere stato abbandonato così dai barbari per i quali l'elmo era simbolo della potenza guerriera.

L'impero continuò ad esistere perché era già una comunità "omogenea e multiforme". Nei confronti della civiltà greca, delle divinità locali ed esterne (dalla Persia Mitra con lo "splendido" altare di Bonn), delle classi di punta delle province. Lo prova lo straordinario piatto rotondo in argento in parte dorato detto "Scudo di Scipione" (o "Scudo di Achille") della fine del IV-inizio V secolo. Con 71 centimetri di diametro è uno dei pezzi di argenteria antica più imponenti che siano sopravvissuti. Fuso e martellato con rilievi cesellati e dettagli incisi. Potrebbe essere la disputa fra Achille, "l'ira funesta", e Agamennone per la figlia del sacerdote Crise che apre l'Iliade. Dono imperiale ad un santuario è stato ripescato nel Rodano, vicino ad Avignone, nel 1656. La "Tavola Claudiana" ha inciso nel bronzo il testo del discorso pronunciato dall'imperatore Claudio nel 48 al Senato per chiedere di accordare ai notabili galli l'accesso alle istituzioni romane, Senato compreso.

L'ambra parte dal Baltico e oltre le Alpi viene trasformata nei laboratori romani di Aquileia da cui riparte in mille fantasie di gioielli e decorazioni ritrovate nelle tombe anche dei principi dell'Europa settentrionale e orientale. Sembrano campionari di gioielli i corredi da Lebork, Bratislava, Varsavia.
Ma la ricchezza culturale multietnica è la regola per i popoli barbarici, osserva Umberto Roberto: nei corredi si trovano materiali diversissimi, ellenistici, persiani, orientali.

I motivi delle monete romane sono imitati al Nord da germani e sassoni nei "bratteati", i dischi d' oro battuti per parure (o amuleti). Spesso la lamina d'oro è ottenuta appiattendo monete romane su una matrice di bronzo o legno. In mostra è il "bratteato" di Gerete dal Museo di Stoccolma con Odino, il Giove germanico. C'è una prova infallibile per capire i momenti più brutti: i ritrovamenti di tesori e tesoretti in monete, gioielli, suppellettili nascosti in buche, pozzi, muri. Come i pezzi di argenteria di Rethel (Ardenne francesi) e di Augst (Svizzera). Le argenterie di Hildesheim sono state paragonate alle splendide di Boscoreale e qualcuno ha parlato del bottino di Teutoburgo.

Le "insegne del potere" di Massenzio sono uno dei complessi più importanti della mostra, esposto per la prima volta in un contesto completo. Sono una decina fra scettri e punte di lancia da parata in calcedonio e oricalco (rame e zinco), scoperti in un nascondiglio negli scavi condotti da Clementina Panella dell'Università La Sapienza alle pendici del Palatino lato Colosseo, al bordo della via Sacra. Questi simboli del potere imperiale dopo Augusto sono pezzi unici, attribuiti a Massenzio e datati al 312, quando con Costantino alle porte e Massenzio che si prepara alla battaglia del 28 ottobre a Ponte Milvio, i palazzi del potere si svuotano e i simboli vengono messi in salvo per un dopo.

Anche per ragioni pratiche il cristianesimo fa proprie le espressioni culturali e artistiche del paganesimo. Così il sarcofago di Tolosa ha la cassa con la caccia di Meleagro e il coperchio con la Croce inalberata da Costantino. E nel sarcofago dei Dioscuri da Arles, gli elementi pagani (nozze e addii) sono affiancati da quelli cristiani (moltiplicazione dei pani e cattedra di San Pietro). E già nel primo quarto del V secolo una donna germanica di alto rango è stata sepolta in una necropoli romana: la cosiddetta "Dama di Pollenzo", in provincia di Cuneo.

Il 24 agosto 410 è una data epocale. Roma, mai più attaccata dopo l'assedio dei Galli nel 390 avanti Cristo, è saccheggiata per tre giorni dai visigoti di Alarico. Cronista romantico del "Sacco" è Joseph-Noël Silvestre con un dipinto del 1890 in cui i goti seminudi (ma erano già cristianizzati), incendiano e scorazzano per la città di marmo. I corpi color del cuoio contrastano col candore degli edifici. Un paio di barbari stanno sistemando una fune attorno al collo di una statua di imperatore per tirarla a terra. Ma ci sono anche i capolavori della raffinata oreficeria cloisonné di cui i goti erano specialisti (corredi di Apahida in Romania). In generale queste lavorazioni sono l'occasione per inglobare cammei e pietre antiche come nel minuscolo cofanetto-reliquario detto di Teuderico (12,5 per 13 per 6,5 centimetri) uscito per la prima volta dalla abbazia di Saint-Maurice d'Agaune. Fatto d'oro è ricoperto di una rete di filetti d'oro saldati con paste di vetro a cabochon e cammei.

Oreficerie "splendide e molto particolari" (corredi di Conceþti dall'Ermitage di Pietroburgo) sono anche degli unni, i barbari dell'Asia guidati da Attila, che più di tutti "colpirono l'immaginazione dei posteri". Nella tela di Alfredo Tomiz del 1894, sul saccheggio di Aquileia del 452, i cavalieri unni agitano quelle che sembrano teste mozzate dai lunghi capelli. Degli unni sono le spettacolari spade lunghe quasi un metro, dalla lama a doppio fendente e complete di fodero in oro brillante scoperte nello spazio rituale di Pannonhalma nella Pannonia (attuale Ungheria).

La scomparsa dell'impero d'Occidente (nel 476 Odoacre depone Romolo Augustolo) favorisce la nascita di regni barbarici come gli ostrogoti di Teoderico a Ravenna e in buona parte della penisola. Con loro "fiorì una delle espressioni più ricche della sintesi tra la cultura romana e quella barbarica" nell'arte e nel diritto. In una tavoletta di pentadittico di inizio VI secolo, dal Bargello, molti riconoscono Amalasunta, figlia di Teoderico e regina degli ostrogoti. Vestita come un'imperatrice di Costantinopoli, incoronata di perle, regge uno scettro simile a quello di Massenzio.

Da Parigi è arrivato parte di quello che è rimasto dopo dispersioni e furti del corredo della tomba di Childerico, re dei Franchi Salici, datata al 481-482. Childerico fu sepolto come un capo barbaro, con armi e gioielli, ma rivestito di un manto di porpora e con le insegne dell'autorità romana esercitata per delega di Costantinopoli rappresentata da una moneta di Leone I. Per garanzia, per assisterlo nel viaggio nell'aldilà, sulla tomba furono sacrificati dei cavalli.

C'è un terrore indicibile nella frase incisa su di una formella trovata in una località della Serbia: "Cristo Signore! Aiuta la città, scaccia gli Avari, proteggi le terre romane e colui che ha scritto queste parole. Amen". Gli avari erano cavalieri nomadi originari della Tartaria. Nel 540 Belisario sconfigge gli Ostrogoti e riconquista Ravenna in nome di Giustiniano, ma è una "effimera rivincita della romanità" ormai ellenizzata e relegata in Oriente. E i modelli artistici sono quelli di Bisanzio, come il " bellissimo" avorio di Tongeren che raffigura San Paolo. Sul retro sono incisi i nomi dei Merovingi, i re franchi salici, che l'hanno posseduto. Forti influssi bizantini anche nella Croce in lamina d'oro e pietre dure (11 per 11 centimetri), del cosiddetto "duca Gisulfo", primo duca longobardo del Friuli, scavata a Cividale. Otto testine lavorate a sbalzo sono volti di Cristo o ritratti.

Il terrore nella frase contro gli avari, la poesia nella frase in greco che decora il bordo di una acquasantiera bizantina in marmo. Dice: "Prendete l'acqua con gioia poiché è abitata dalla voce del Signore". L'acquasantiera, del VI secolo, è dalla chiesa dei Santi Marco e Andrea di Murano.

Una società come quella barbarica formata da guerrieri e cavalieri, deve possedere competenze e tecniche avanzate per la costruzione di armi e quindi di metallurgia. Spicca il "piatto di Annibale", oltre dieci chili di argento in parte dorato, tutto percorso da una raggiera con al centro un tondo con un leone e un albero in rilievo. Reca inciso il nome del misterioso proprietario franco ("sono di Agneric"). Il piatto fu scoperto nel 1714 in una valle del Delfinato forse percorsa da Annibale.

Molte regine e principesse dei popoli barbari fondano monasteri nei quali trascorrono gli ultimi giorni di vita, come Batilde morta a Chelles nel 680 circa. In mostra c'è la tunica di lino usata sopra gli altri abiti per vestire il corpo di questa schiava sassone andata in moglie a Clodoveo II. Sembra ricoperta di gioielli, ma sono ricami e la grande croce è solo dipinta in modo elementare.

La fine del millennio è segnata da una rinascita culturale, il rinascimento carolingio. Nelle abbazie i manoscritti sono impreziositi dalle miniature. Riprendono vigore i riferimenti all'antichità (la fattura classica degli avori scolpiti dell'altare portatile di Carlo il Calvo; la placchetta d'avorio dell'evangeliario di Notger). Nel dittico del monastero di Rambona, la lupa romana con i gemelli sotto la Crocifissione fa pensare ad una "sottomissione di Roma alla fede cristiana".
L'evangeliario di Notger del X secolo è un capolavoro dell'arte medievale. Al centro c'è una placchetta col vescovo di Liegi, Notger, inginocchiato ai piedi di Cristo con questa preghiera: "Eccomi. Notger, curvo sotto il peso del peccato, mi inginocchio davanti a te, che con un gesto fai tremare l'Universo." "Roma e i Barbari, insieme, hanno fatto entrare l'Europa nel Medioevo".

Notizie utili - "Roma e i Barbari, la nascita di un nuovo mondo". Dal 26 gennaio al 20 luglio. Venezia. Palazzo Grassi, Campo San Samuele. Organizzata da Palazzo Grassi, École française de Rome, Skira, Kunst-und Ausstellungshalle della Repubblica tedesca. A cura di Jean-Jacques Aillagon con l'assistenza di Silvia Roman, Marylène Malbert e Alice Mandricardo, Elisa Fanton. Comitato scientifico internazionale. Coordinatori del comitato Yann Rivière e Umberto Roberto. Scenografia Daniela Ferretti. Catalogo Skira (696 pagine) costo 48 euro (80 in libreria con copertina rigida) e guida Skira (80 pagine, in quattro lingue).

Biglietti: intero 10 euro, ridotto 6, gruppi 8.

Orari: tutti i giorni 9-19 (la biglietteria chiude alle 18). Prenotazioni da lunedì a venerdì 8-20 (servizio a pagamento) 899 666 805; commissione prenotazione 1 euro; prenotazione obbligatoria per gruppi scolastici. Fonte
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