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I progetti per il rilancio della nostra economia subiranno un brusco stop
Il monito del ministro Padoa-Schioppa: sbagliato fermare ora il governo
Salari, tasse e Alitalia
con la crisi tutto in alto mare
Damiano: lavoreremo fino all'ultimo minuto all'intesa su redditi e prezzi
ROMA - "Questo è il momento meno adatto per fermare l'azione in corso", dice il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa a Bruxelles dove incassa la conferma che la Ue non ha più motivo per sanzionare il nostro deficit. Siamo rientrati nei parametri, ma la crisi di governo - se arriverà - spazzerà via, invece, più d'uno dei progetti del governo per rilanciare l'economia e attenuare gli effetti a cascata della recessione americana. Anche se Fitch, una delle agenzie internazionali di rating ha detto che per ora non cambia nulla nel giudizio sull'Italia.
Comunque resterà nel cassetto il piano di Prodi per i salari più bassi (quelli fino a 40 mila euro l'anno) ed è difficile che decolli (senza gli sgravi fiscali e gli interventi di politica dei redditi) anche il confronto tra le parti sociali per riformare il modello di contrattazione.
Le nuove liberalizzazioni di Bersani e di Lanzillotta, già colpite da più d'un cecchino in Parlamento, sono destinate a rimanere al palo. Il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (3,5 milioni gli interessati) entrerà in zona rischio e in Borsa ieri è scattato l'allarme Alitalia: i titoli sono stati sospesi per eccesso di ribasso in apertura della seduta e hanno chiuso a -1,31% sul timore che la caduta del governo possa compromettere il negoziato per la vendita ad Air France. I francesi andranno avanti con il presidente Maurizio Prato che ha il pieno mandato a chiudere entro marzo. "Non vedo alcuna turbativa. Non cambia nulla. Stanno discutendo e trattando", ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani. L'alternativa è netta: "O fanno l'accordo o si portano i libri in tribunale", parole del vice ministro
dell'Economia Vincenzo Visco.
Alla Magliana hanno liquidità per non più di sei mesi (la compagnia perde un milione di euro al giorno). Dunque la possibilità, per una eventuale nuova maggioranza, di riaprire il dossier, e in particolare il caso Malpensa, sul quale il centro destra ha dato battaglia, è piuttosto remota.
Prodi punta ancora (lo ha ripetuto a Montecitorio) sulla riduzione delle tasse a favore dei redditi da lavoro dipendente. In corso c'è anche un tentativo di accelerare il confronto ("lavoreremo fino all'ultimo minuto", ha dichiarato il titolare del Lavoro, Cesare Damiano) dopo l'ultimatum dei sindacati che hanno proclamato lo sciopero generale per il 15 febbraio. La fine del governo Prodi bloccherà tutto. E complicherà anche il negoziato tra sindacati e Confindustria sul modello contrattuale. Perché se è vero che si tratta di materia di competenza delle parti sociali, è anche vero che il governo (non solo perché datore di lavoro degli statali) avrebbe potuto mettere sul tavolo gli sgravi fiscali per incentivare la contrattazione aziendale legata alla produttività.
C'è poi la delicatissima partita delle nomine ai vertici delle aziende partecipate dallo Stato (200 e passa miliardi di capitalizzazione con imprese del calibro di Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, Poste e Tirrenia) che scadono in primavera. Senza dimenticare il progetto di fusione tra gli enti previdenziali per dar vita a Grande-Inps, che dovrebbe servire anche a garantire il passaggio dallo scalone Maroni agli scalini di Damiano. In tutto circa 600 poltrone.
(23 gennaio 2008)
Repubblica.it |