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La coppia Bill Murray-Sharon Stone sfida il glamour di Brad e Angelina.


Bill Murray e Sharon Stone

Un Bill Murray reduce da Lost in translation, qui nel ruolo di sciupafemmine un po' spiegazzato, e affiancato da una diva del calibro di Sharon Stone: è lui il protagonista della commedia d'autore Broken Flowers, tra le uscite più interessanti della settimana. Senza dimenticare il baby-divertimento di Chicken Little, lo scontato glamour di Brad Pitt e Angelina Jolie in Mr&Mrs Smith, l'originalità tutta francese del vitalista e giovanilista The Great Challenge.

BROKEN FLOWERS. Genere: commedia. Jim Jarmush dirige una storia che parla sì di sentimenti, di legami familiari, ma in modo originale. Protagonista Bill Murray, scapolo incallito di mezza età, che riceve una lettera anomina in cui una sua non specificata ex gli rivela che ha un figlio. Da qui la sua ricerca della verità, con la visita a quattro donne del suo passato. Tra cui Sharon Stone e Jessica Lange. Per dongiovanni un po' malinconici.

CHICKEN LITTLE. Genere: cartoon. Confezione natalizia targata Disney: protagonista un pulcino con occhialoni che prima lancia un falso allarme su un'invasione aliena, e che poi, di fronte a una minaccia extraterrestre reale, sarà costretto a salvare il mondo. La voce italiana del giovane pennuto è quella di Gabriele Cirilli, una delle star comiche di Zelig. Tra i doppiatori anche Walter Veltroni, nel ruolo di tacchino sindaco di Querce Ghiandose. Per famiglie con bambini.

MR&MRS SMITH. Genere: commedia/azione. Angelina Jolie e Brad Pitt, coppia nella vita reale dopo l'incontro su questo set "galeotto", interpretano - diretti da Doug Liman - due coniugi annoiati, con tranquilla casa in periferia. Peccato però che ciascuno dei due è un pericoloso killer, che a un certo punto riceve l'incarico di uccidere l'altro... proiettili, glamour e tanta azione. Per romantici adrenalinici.

KISS KISS BANG BANG. Genere: thriller. Un attore di talento come Robert Downey jr, finito un po' fuori dal giro che conta per i suoi guai con la droga, è il protagonista di questa pellicola diretta da Shane Black. Un ladruncolo in fuga finisce per caso a un provino per attori, e viene ingaggiato come poliziotto; e per farlo immedesimare nel ruolo, i produttori lo mandano da uno sbirro vero. E qui sarà alle prese con un cadavere di donna e con una catena di delitti. Per nostalgici dell'hard boiled.

THE GREAT CHALLENGE. Genere: azione. Film di genere francese, diretto da Julien Seri, su un gruppo di acrobati undergound seguaci del parkour, attività estrema che consiste, in sintesi, nel saltare qualsiasi tipo di ostacolo urbano; con salti, arrampicate e altro. Stavolta però il gruppo in questione, che si chiama Yamakasi, va in trasferta in Thailandia, per aprire una scuola; ma le cose si riveleranno più complicate del previsto, tra combattimenti e gesti spericolati. Per conoscere le nuove attività urbane.

IL NASCONDIGLIO DEL DIAVOLO. Genere: horror. In Romania viene scoperta un'antichissima abbazia, che si rivela essere costruita su un complicato sistema di grotte. Per esplorarle viene ingaggiato un team di speleologi americani, che scopriranno l'esistenza di nuove forme di vita. La produzione è tedesco-americana, la regia è di Bruce Hunt. Per chi non soffre di claustrofobia.

Fonte Repubblica.it


24/12/2005 09:53
 
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Vizi di famiglia


Vizi di famiglia
di Rob Reiner
con Jennifer Aniston, Kevin Costner, Shirley MacLaine, Mark Ruffalo, Richard Jenkins, Mena Suvari (Usa 2005)


L'idea di partenza è che Il laureato, il libro e poi il film, non siano solo il frutto della fantasia di Charles Webb (il primo) e di Buck Henry e Calder Willingham (il secondo) ma nascondano una parte di verità: un'avventura a tre – il collegiale, la signora agée e la sua bella figlia – che mise sottosopra il bel mondo di Pasadina. E che nel 1992 agita le fantasie di Sarah (Aniston), rispettivamente nipote e figlia delle due conquiste del colleggiale (che nella realtà si sarebbe limitato a essere, con la più giovane delle due donne, non il principe azzurro che la rapisce sull'altare ma l'amante occasionale di una fuga romantica consumata poco prima di convolare a nozze con il regolare fidanzato).

Da qui, dal fatto che la protagonista sarebbe nata otto mesi e una settimana dopo la data del matrimonio nascono tutti i dubbi di Sarah: se non fosse figlia di suo padre ma dell'ex collegiale, che tra parentesi non si è mai laureato ma è diventato un ricco e fascinoso profeta di internet? Gli elementi per una commedia degli equivoci ci sono tutti. Reiner di suo ci mette molte strizzatine d'occhio al cinema di ieri, un dialogo brillante ma non survoltato, una regia piacevolmente distesa che non vuole scimmiottare le sophisticated comedies di ieri ma cerca un ragionevole compromesso tra ritmo e notazioni realistiche.

E soprattutto una scelta di attori impeccabile (su tutti Shirley MacLaine, la signora allupata che sullo schermo sarebbe diventata Mrs. Robinson). A cui va aggiunto il gusto agrodolce e anticonformista per un mondo dove un piacevole «adulterio» prematrimoniale può diventare un valore positivo (e in tempi di morale Bush non è poco). Resterebbe da chiedersi perché sempre più spesso certa commedia hollywoodiana finisca per cercare ispirazione proprio dal mondo del cinema. Perché per sorridere sia meglio partire dallo schermo che dalla vita reale. Ma forse per trovare una risposta basta guardarsi in giro: l'America di oggi è più adatta alle lacrime (o ai dubbi) che ai sorrisi.

Fonte Corriere.it


24/12/2005 09:59
 
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Natale a Miami


Natale a Miami
di Neri Parenti
con Massimo Boldi, Cristian De Sica, Massimo Ghini, Vanessa Hessler, Francesco Mandelli, Giuseppe Sanfelice, Paolo Ruffini, Raffaella Bergé, Caterina Vertova (Italia 2005)


Si ride? Sì, si ride. La domanda che si fanno tutti di fronte al cine-panettone di Boldi e De Sica, il ventiquattresimo e ultimo della serie (ma le polemiche dichiarazioni di divorzio si sono già trasformate in momentanea separazione consensuale…), è solo questa. E la risposta non può essere che affermativa.

L'inizio è un po' macchinoso (due mariti piantati dalle rispettive mogli cercano di dimenticare il dramma passando le vacanze a Miami) ed eccessivamente debitore degli sponsor pubblicitari, ma poi i meccanismi della farsa prendono il sopravvento su tutto, Ranuccio (Boldi) rovinando le vacanze al figlio e ai suoi amici, Giorgio (De Sica) cercando di resistere alle avance della nipote.

Gli argomenti sono quelli usuali della commedia alla De Laurentiis (Aurelio): corna, membri, tette, equivoci e malintesi. Come dire, gli elementi fondanti della farsa boulevardienne aggiornati alla trivialità imperante del nuovo millennio: non ci sono più connotazioni di classe o di censo, le donne esistono in quanto possibili oggetti di conquista (e quindi con le caratteristiche permesse dalla censura ben in evidenza. Leggi: scollature), gli uomini sono costretti nell'unico ruolo a cui sembrano predestinati: andare in bianco. Forse andrebbe approfondita questa filosofia dell'atto mai compiuto (o compiuto in modi risibili: vedi De Sica), forse andrebbe letta come una specie di involontaria confessione del maschio italiano e del suo tanto strombazzato gallismo: lasciamola come spunto di riflessione per un prossimo convegno.

Qui va notato che, diversamente dalle puntate precedenti, c'è una maggior compattezza di racconto (la sceneggiatura è di Neri Parenti, Fausto Brizzi e Marco Martani), senza le divagazioni spesso inutili degli altri comici in cartellone (sono scomparsi Enzo Salvi, i Fichi d'India, Biagio Izzo), sostituiti dal figlio di Boldi e dai loro due amici, sufficientemente incolori per funzionare bene da spalla al maldestro padre. Ma soprattutto c'è un uso meno prevedibile dei due protagonisti: De Sica (finalmente senza il peso morto di Paolo Conticini) non è più il mandrillo eternamente allupato ma deve per una volta tenere a freno le proprie pulsioni, mentre Boldi passa dal ruolo dell'eterno imbranato al personaggio che sbaglia per eccesso di impazienza e di entusiasmo (un po' sulla falsariga dell'innarrivabile Alberto Sordi, ma senza ahinoi la sua salutare e autopunitiva cattiveria).

Fonte Corriere.it


24/12/2005 10:02
 
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Shanghai Dreams


Shanghai Dreams
di Wang Xiaoshuai
con Li Bin, Gao Yuanyuan, Tang Tang, Wang Xueyang, Yao Anlian (Cina 2005)


Forse per evitare di incorrere nelle censure che gli avevano bloccato il precedente «Le biciclette di Pechino», Wang sceglie di dire le cose in maniera non esplicita e di raccontare con meno cattiveria del prevedibile la crisi familiare e professionale di una famiglia «deportata» da Shanghai nel centro della Cina per lavorare in una fabbrica. Era successo negli anni Sessanta, quando la paura di un attacco sovietico aveva consigliato di decentrare alcune industrie essenziali ma quando comincia il film, all’inizio degli anni Ottanta, quel pericolo non c’è più e gli adulti si chiedono come poter tornare a Shanghai e assicurare un futuro migliore ai loro figli. Mentre i figli si chiedono come evitare le rigide regole educative dei genitori e conquistare quella libertà che la musica pop sta facendo loro conoscere. Il tema centrale del film è evidentemente il fallimento dei modelli maoisti di organizzazione sociale ma anche di educazione personale: un soggetto ancora tabù in Cina, che Wang affronta con mano leggera, sfumando le contraddizioni e distribuendo le colpe un po’ per uno, tra le vecchie e le nuove generazioni.

Così, alla fine, mentre la famiglia protagonista tenta una «fuga» verso Shanghai di cui non si conoscerà l’esito, la legge dello Stato ribadisce la propria centralità annunciando attraverso un altoparlante le pene (di morte) che sono comminate a chi ha infrante le regole. Ma a lasciare il segno, e a mettere in crisi l’equilibrio un po’ pilatesco che si può dedurre dalla trama, ci pensa lo stile con cui il regista filma la storia: con una macchina da presa sempre un po’ a «rimorchio» delle cose e delle azioni, con uno stile distaccato e quasi «schiacciato» dagli avvenimenti, con un montaggio che lascia molto spazio ai tempi morti. Il risultato è un atmosfera malinconica e rassegnata, dove la sconfitta che la storia sembrerebbe voler evitare di raccontare si legge chiarissimamente nelle immagini e nello stile. Che si trasmette allo spettatore con una forza che nessun «finale accomodante» potrà far dimenticare.

Fonte Corriere.it


Shanghai Dreams
di Wang Xiaoshuai
con Li Bin, Gao Yuanyuan, Tang Tang, Wang Xueyang, Yao Anlian (Cina 2005)


Forse per evitare di incorrere nelle censure che gli avevano bloccato il precedente «Le biciclette di Pechino», Wang sceglie di dire le cose in maniera non esplicita e di raccontare con meno cattiveria del prevedibile la crisi familiare e professionale di una famiglia «deportata» da Shanghai nel centro della Cina per lavorare in una fabbrica. Era successo negli anni Sessanta, quando la paura di un attacco sovietico aveva consigliato di decentrare alcune industrie essenziali ma quando comincia il film, all’inizio degli anni Ottanta, quel pericolo non c’è più e gli adulti si chiedono come poter tornare a Shanghai e assicurare un futuro migliore ai loro figli. Mentre i figli si chiedono come evitare le rigide regole educative dei genitori e conquistare quella libertà che la musica pop sta facendo loro conoscere. Il tema centrale del film è evidentemente il fallimento dei modelli maoisti di organizzazione sociale ma anche di educazione personale: un soggetto ancora tabù in Cina, che Wang affronta con mano leggera, sfumando le contraddizioni e distribuendo le colpe un po’ per uno, tra le vecchie e le nuove generazioni.

Così, alla fine, mentre la famiglia protagonista tenta una «fuga» verso Shanghai di cui non si conoscerà l’esito, la legge dello Stato ribadisce la propria centralità annunciando attraverso un altoparlante le pene (di morte) che sono comminate a chi ha infrante le regole. Ma a lasciare il segno, e a mettere in crisi l’equilibrio un po’ pilatesco che si può dedurre dalla trama, ci pensa lo stile con cui il regista filma la storia: con una macchina da presa sempre un po’ a «rimorchio» delle cose e delle azioni, con uno stile distaccato e quasi «schiacciato» dagli avvenimenti, con un montaggio che lascia molto spazio ai tempi morti. Il risultato è un atmosfera malinconica e rassegnata, dove la sconfitta che la storia sembrerebbe voler evitare di raccontare si legge chiarissimamente nelle immagini e nello stile. Che si trasmette allo spettatore con una forza che nessun «finale accomodante» potrà far dimenticare.

Fonte Corriere.it


24/12/2005 10:04
 
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Ti amo in tutte le lingue del mondo



Ti amo in tutte le lingue del mondo
di Leonardo Pieraccioni

con Leonardo Pieraccioni, Marjo Berasategui, Giulia Elettra Gorietti, Giorgio Panariello, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini, Francesco Guccini, Barbara Enrichi, Luis Molteni (Italia 2005)


L’ultimo film di Pieraccioni è di quelli che ti fanno arrabbiare. Perché potrebbe essere una bella commedia, spigliata e divertente, e invece man mano che procede il film ti accorgi che le idee non vengono sviluppate, che i personaggi perdono spessore, che le gag sono ripetitive e… ti arrabbi! L’inizio del film è folgorante. Poi l’idea di un professore di ginnastica (Pieraccioni) «insidiato» da una sua allieva (Gorietti) che pretende di essere follemente innamorata di lui, e per questo gli scrive «ti amo» in tutte le lingue del mondo, non è così scontata; anzi sembra vagamente controcorrente rispetto al perbenismo che ormai accompagna ogni tipo di rapporto tra professori e allievi o tra adulti e giovani. E quando entra in campo Margherita (Berasategui), psicologa animale di cui si innamora il professore di ginnastica, la storia che sembrava procedere verso un lieto fine si ingarbuglia ancora di più.

Ma è a questo punto che vorresti chiedere a Pieraccioni e al suo sceneggiatore Giovanni Veronesi uno sforzo maggiore di elaborazione, una ricerca della battuta meno scontata, un guizzo inventivo. Invece ogni cosa è lasciata come morire. Anche la scena iniziale: la sorpresa, per il protagonista e per lo spettatore, non è rafforzata da una serie di battute e gag all’altezza, no, viene come abbandonata e la depressione del protagonista contagia tutti, gli altri attori in scena e lo spettatore in sala. E così è per tutto il film: per gli equivoci che potrebbero crearsi a scuola, per i rapporti con il fratello un po’ toccato (Panariello), per il colpo di scena di scena che svela che Margherita… Vi ricordate A qualcuno piace caldo: lì, quello che lo spettatore sa già e cioè che Jack Lemmon è un uomo e non una donna, serve per inventare nuove e fulminanti battute (che si concludono con un epocale «nessuno è perfetto»). Qui le idee sparse per il film non producono niente. Solo la rabbia per una commedia che avrebbe potuto essere simpatica e invece ti strappa solo qualche magra risatina.

Fonte Corriere.it


24/12/2005 10:08
 
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King Kong


King Kong
di Peter Jackson
con Naomi Watts, Jack Black, Adrien Brody, Andy Serkis, Jamie Bell, Kyle Chandler, Thomas Kretschmann, Lobo Chan (Nuova Zelanda/Usa 2005)


Forse non bisogna aver perso lo sguardo un po’ innocente della fanciullezza. Forse bisogna credere ancora nelle favole, del tipo che la Bella possa davvero innamorarsi della Bestia (e non solo viceversa) ma con queste premesse, praticamente obbligatorie per chi ama il cinema, la nuova versione di King Kong di Peter Jackson può essere una bella sorpresa. Jackson ha dichiarato da sempre la sua ammirazione per il film del 1933 di Cooper e Schoedsack e, almeno all’apparenza, gli resta molto fedele: stesso prologo nella New York ferita dalla Depressione, stesso incontro casuale grazie a una mela galeotta (nel 1933 solo sfiorata, qui decisamente rubata) tra il regista Carl Denham (Jack Black) e l’attrice disoccupata Ann Darrow (Naomi Watts), stesso viaggio sulla nave Venture verso una destinazione sconosciuta. Di diverso, e significativo, c’è la caratterizzazione dei due personaggi: Denham è un regista che non ha più la fiducia dei suoi produttori e che sembra infiammato da una passione a metà cinefila a metà mercantile; la Darrow è un’attrice del vaudeville con qualche abilità di ballerina e di comica. Ma soprattutto di nuovo Jackson (e i suoi cosceneggiatori Fran Walsh e Philippa Boyens) inventano il personaggio dello sceneggiatore Jack Driscoll (Adrien Brody), costretto a viaggiare con la troupe verso l’isola misteriosa, destinato a innamorarsi di Ann e decisissimo a salvarla (nel film del '33 Driscoll era il vicecomandante della nave).

Con questi aggiustamenti curiosi (visto che lo sceneggiatore impersona il buono e il regista invece è più vicino al cattivo di turno. O meglio all’affarista egoista), il film riprende i binari della vecchia edizione con l’arrivo nell’Isola del teschio, l’incontro con la popolazione nativa (qui decisamente aggressiva, a differenza di quella del '33), il rapimento di Ann per essere offerta al mostro Kong, con Denham, Driscoll e una parte dell’equipaggio che si mettono sulle sue tracce scoprendo di essere finiti in un’isola popolata da mostri preistorici. È a questo punto che il film di Jackson gioca i suoi due «assi», imprimendo al film una lettura decisamente più personale: da una parte sfrutta fino in fondo tutte le possibilità offerte dall’accoppiata tecnologia digitale/cinefilia, dall’altra ribalta i termini dell’attrazione tra la Bestia e la Bella facendo «innamorare» la donna della scimmia.

La fauna preistorica dell’Isola è il pretesto perfetto per mettere in campo un armamentario di tecnologie digitali davvero straordinarie, ai limiti quasi dell’incredulità (la fuga tra le gambe dei brontosauri pur realizzata perfettamente spinge troppo il pedale dell’avventura «impossibile»), con combattimenti di ogni tipo, strizzatine d’occhio a mezza storia del cinema ma anche la dichiarata volontà di non fermarsi alla «citazione» ma di portare lo spettatore su un terreno «già visto» per poi sorprenderlo con un inaspettato colpo di scena.

Come nel combattimento con i tirannosauri che da «clone» kolossal di Jurassic Park diventa qualcosa di completamente diverso nella scena in mezzo alle liane del burrone. È l’anima della megaproduzione che si fa largo in queste scene e conquista la ribalta, superando per perfezione tecnica quanto si era visto fino a ieri e imprimendo alla storia un’andatura da film di avventure (più che da film fantastico/horror come era il King Kong del '33). Svelando così le preoccupazioni produttive e di marketing dell’operazione, tesa a catturare un pubblico anche più giovane (e più vasto) di quello che aveva fatto la fortuna della trilogia tolkeniana (pur con qualche concessione quasi-splatter, come nel primo incontro con la tribù nativa e nello scontro tra il gruppo degli inseguitori e gli insettoni giganti).

L’altra, sostanziale, differenza rispetto al film del 1933 è nel rapporto tra Kong e Ann che evolve quasi subito dall’attrazione provata dallo scimmione per la sua prima vittima bianca (e bionda) a un rapporto di reciproca tenerezza che trova la sua giustificazione nel bisogno di protezione della donna, accortasi che solo Kong può salvarla da tutti i pericoli dell’isola. Tanto che invece di attraversare il film mezza svenuta come faceva nel 1933, questa Ann Darrow finisce per condividere con il mega-gorilla anche un abbozzo di sentimento: per la bellezza del tramonto ma evidentemente anche per la sicurezza che la Bestia riesce a far provare alla Bella.

Con una perdita irrimediabile, però: in questo modo sparisce dal film qualsiasi pulsione sessuale tra Kong e Ann, che nel romanzo di Wallace era esplicitato più volte, con scene addirittura di spoliazione, che nel film di Cooper e Schoedsack era fatta intuire in maniera piuttosto chiara ma che qui viene negata a ogni livello, compreso quello più banalmente visivo: sottoveste rigorosamente intatta (spalline comprese) e vestito che deve aver perso solo qualche bottone ma che continua a coprire pudicamente la protagonista. Le conseguenze di queste due scelte artistico/produttive si faranno sentire pesantemente nella parte finale, quando la troupe torna a New York con il gorillone cloroformizzato per esporlo come «l’ottava meraviglia del mondo». La liberazione dalle catene e la fuga per le strade di New York è più lunga e complessa di quella del film di Cooper e Schoedsack, con una precisione nella ricostruzione ambientale che ha del maniacale (le auto usate sono per la maggior parte autentiche e perfettamente funzionanti, i biplani della scena finale sono stati ricostruiti usando i progetti originali dell’epoca, conservati allo Smithsonian Institute) e l’intermezzo sentimental-comico sul laghetto ghiacciato di Central Park è la conferma obbligata del rapporto che esiste tra i due e la premessa necessaria allo straziante finale sul tetto dell’Empire State Building, dove la fuga con la propria preda (com’era nel film del 1933) diventa il combattimento per difendere la propria donna.

In questo modo, il film finisce quasi per prendere la forma di un melodramma, una specie di riflessione disperata sulla forza dell’amore e sull’impossibilita dello stesso, capace di rendere credibile il nuovo coinvolgimento dell’eroina nel già annunciato sequel (che dovrebbe essere un remake molto, molto libero di «Il figlio di King Kong», ambientato durante la seconda guerra mondiale). La versione di Peter Jackson finisce così per mettere in secondo piano la riflessione sul mondo del cinema e dello spettacolo, nonostante il personaggio più caratterizzato di Carl Denham, che però riduce praticamente tutto al diktat The Show Must Go 0n (e soprattutto la gente deve pagare un biglietto per vederlo), mentre mantiene le sue promesse sul piano dello spettacolo e dell’avventura, aggiungendo nel finale una capacità di commuovere che sicuramente avrà il suo effetto sull’andamento del botteghino.

Fonte Corriere.it


24/12/2005 13:42
 
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Un film molto bello ke(secondo me) merita di essere visto è "Le cronache di Narnia".....
26/12/2005 01:38
 
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Già, anche a me è piaciuto molto [SM=g27811] Posto la recensione!

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C’è una ragione speciale per cui Lucy, la più piccola dei fratelli Pevensie, giocando a nascondino finisce per scegliere di entrare nell’armadio, e mentre osserva la porta dell’armadio rinchiudersi retrocede sino ad affondare fra le pellicce e sentire il pizzicore degli aghi di pino sulla pelle, il gelo della neve cadente, e a perdersi in un bosco stretto dalla morsa di un inverno secolare.

La stessa ragione che conduce i fratelli Pevensie Peter, Susan, Edmund e Lucy nella nella vechia casa del professor Kirke (uno stralunato e delizioso Jim Broadbent), immensa e piena di stanze e passaggi e manufatti che qualsiasi castello potrebbe invidiare, lontano dai bombardamenti che devastano Londra; la stessa che rende una giornata piovosa in una strabiliante avventura.

La ragione è una profezia che recita:
Il tempo del male sarà terminato
Quando i figli di Adamo e del suo costato
I troni di Cair Paravel avranno conquistato

Ma prima di arrivare a capire la profezia, i fratelli Pevensie dovranno passare attraverso alcune prove che sottoporranno l’unione famigliare a dura prova.

E’ la piccola Lucy (Georgie Henley), con lo sguardo incantato e il sorriso sulle labbra, a scoprire per prima il passaggio che conduce alla favolosa Narnia, in un’ampia foresta selvaggia dove cresce una solitario lampione a gas (la cui origine è legata al primo libro delle cronache di Narnia), e a fare la conoscenza con uno dei suoi abitanti: il fauno Tumnus (James McAvoy), combattuto fra l’amicizia della piccola Lucy e il dovere imposto dalla crudele sovrana di Narnia di denunciare la presenza dei figli di Adamo e delle figlie di Eva.

Ovviamente i fratelli non credono alla versione dei fatti raccontata dalla piccola Lucy (anche a causa della proprietà della terra di Narnia: molte ore trascorse nella terra fata equivalgono a pochi istanti trascorsi nel mondo reale).

Edmund è il secondo a scoprire Narnia, seguendo la sorellina, e il primo a incontrare l’algida Jadis, la Strega Bianca incarnazione del male, bella come il diamante e gelida come l’eterno inverno che affligge Narnia (è sempre inverno, ma mai natale, spiega Mr Tumnus). La Strega Bianca vince la sua fiducia offrendogli dolci particolari, deliziosi al punto da creare dipendenza e lo convince a condurre a lei tutti i fratelli Pevensie.

I fratelli trovano a Narnia una situazione diversa da quella che Lucy aveva lasciato: il fauno Tumnus è stato catturato dalla Strega Bianca, e i signori Castoro s’incaricano di prendere in consegna i ragazzi e spiegare loro cosa sta accadendo a Narnia, fino ad accompagnarli da Aslan, il grande leone, figura positiva che si contrappone alla Strega.

Edmund, com’era previsto, rinnega Narnia e denuncia i suoi fratelli. La famiglia Pevensie dovrà scavare in profondità all'interno di se stessa per trovare le motivazioni necessarie per unire le forze a quelle del grande leone Aslan (voce di Liam Neeson nella versione originale e di Omar Sharif in quella italiana) e il suo esercito nella grande battaglia finale che deciderà il dominio sulle terre di Narnia…


Tumnus e Lucy
Di Lewis abbiamo detto molto (così come del film, uno degli eventi più attesi dell’anno) e per non correre il rischi di ripeterci, vi rimandiamo agli speciali che abbiamo già pubblicato

Oltre l'armadio: la vita di Clive Staples Lewis
Un approccio alla vita, all'opera e al tempo dell'autore delle Cronache di Narnia
http://www.fantasymagazine.it/rubriche/105

Le Cronache di Narnia
Un viaggio attraverso i sette romanzi che compongono la saga
http://www.fantasymagazine.it/rubriche/109

Il meraviglioso mondo di Narnia
Quelle immagini le avevo in testa dall'età di sedici anni. Poi, quasi quarantenne, un giorno mi sono detto «Proviamo a scriverci su una storia»" Clive Staples Lewis
http://www.fantasymagazine.it/rubriche/107

Lo scrittore e le opere:
J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis: osservando un'amicizia trentennale
Indaghiamo la lunga e complessa amicizia che ha unito i due scrittori: come ha influenzato le vite e le opere di entrambi.
http://www.fantasymagazine.it/rubriche/125

Guida a Narnia: i personaggi 1
Umani e creature fedeli ad Aslan
http://www.fantasymagazine.it/notizie/3733/

Guida a Narnia: i personaggi 2
La strega bianca e le sue orde
http://www.fantasymagazine.it/notizie/3734/

Attenzione: è quasi impossibile commentare Le Cronache di Narnia senza parlare di alcuni aspetti del film che potrebbero essere considerati 'rivelatori'. Chi non vuole rovinarsi la sorpresa, o non ha ancora letto il libro, non prosegua nella lettura.


L'esercito di Aslan
Diciamo subito che Le cronache di Narnia è, in generale, un adattamento fedele, rispettoso del libro nei toni e nell’immaginario. L’allegoria cristiana sottintesa nel romanzo non è amplificata o celata, e niente è stato trascurato (anche se nella terra magica di Narnia i miti e le religioni occidentali — classico, cristiano, celtico, norvegese — sono confusi in modo da essere considerati simili). Il regista, Adamson riesce a rendere magistralmente il magico ‘sense-of-wonder’ e quando Lucy Pevensie (l’adorabile Georgie Henley) passa attraverso l’armadio per ritrovarsi sotto un lampione che ha radici, nessuna spiegazione viene data, e nessuno ne sente il bisogno.

Il film segue il diagramma e la struttura di base del libro e i relativi temi più importanti sopravvivono intatti: colpa ed espiazione, lealtà e fede, sacrificio e redenzione, morte e resurrezione, il trionfo del bene sul male. Il regista porta in vita la storia di Lewis con magia sufficiente per rendere il film una delle storie per tutta la famiglia più felici degli ultimi tempi.

Ovviamente ci saranno puristi poco disposti ad accettare cambiamenti del testo originale, anche se il cambiamento in sé non è necessariamente una cosa negativa.
Altri potrebbero eccepire al regista d’aver tradito il proprio suo pedigree, d’essere stato troppo fedele, e quindi di non aver saputo dare alla pellicola la stessa impronta molto personale che ha caratterizzato Shrek, ma rischiamo di entrare in una spirale critica da cui non esiste uscita.

Le variazioni dell'adattamento (principalmente espansioni rese necessarie dalla brevità del libro) sono in gran parte efficaci. L'arrivo di Babbo Natale (James Cosmo) è rimaneggiato con successo, così come è efficace il terribile inseguimento della Strega Bianca sulla sua slitta trainata da renne. Il conflitto fra Peter ed Edmund approfondisce meglio di quanto Lewis avesse fatto la psicologia dei protagonisti, e anche Susan, nel libro la più trascurata dal punto di vista caratteriale, guadagna in spessore.

Qualche cosa, com’è naturale, non funziona, come la scelta di abbandonare l'uso dell'inverno come simbolo di malvagità, tornando a un più consumato e stereotipato dualismo luce/tenebre, o la dilatazione dei tempi di battaglia; diverso nel film è l’effetto che la presenza delle due figure carismatiche, Aslan e la Strega Bianca hanno su chi li circonda.


La Strega BiancaIl terrore che la Strega Bianca incute con la sola presenza viene giustificato solo dalla sua crudeltà; la sensazione di benessere e pace che la figura di Aslan trasmette viene sminuita, umanizzando così il rapporto tra divino e diabolico. Anche la transizione dal glaciale inverno alla primavera, uno dei principi centrali del libro (il simbolo della caduta del vecchio mondo e la nuova creazione, il momento in cui il bene dormiente da cento anni si risveglia) al quale Lewis dedica molto spazio nel libro con la descrizione della neve che si scioglie, l’acqua corrente, la ricomparsa dei fiori, viene risolta in rapide sequenze nel film.

Altre sequenze potrebbero far storcere il naso degli appassionati più accaniti: la sofferenza di Aslan durante il percorso di Aslan alla Tavola di pietra, o l’importante scena del ritorno alla vita delle statue vittime della crudeltà della Strega Bianca (scene per le quali si direbbe che gli effetti speciali siano stati creati, e che invece vengono riprese quasi distrattamente, come se il regista fosse concentrato su altri accadimenti), che avrebbero avuto bisogno di maggiore enfasi, ma si tratta di scelte imposte dalla spettacolarizzazione del film. Andrew Adamson alla fine ha girato con la meticolosa attenzione che ci si aspettava dal creatore di Shrek; e l’estrema fedeltà spesso si trasforma in poesia (l’incontro fra Lucy e Tumnus) anche se non sempre si tratta del sorprendente capriccio che conquista.

Rimangono sempre molte le ragioni per essere riconoscenti alla Disney per questo adattamento delle Cronache di Narnia. Da noi la maggior parte dei lettori di Lewis lo ricorda per opere quali Perelandra o Lontano dal pianeta silenzioso, e questa è un ottima occasione per riscoprire le Cronache di Narnia, molto conosciute nei paesi anglofoni e poco lette in Italia.

La tecnologia dell’industria cinematografica è maturata al punto da potersi accostare al linguaggio figurato di Lewis in modo pressoché perfetto. Il lavoro degli effetti speciali è superbo e visivamente, la pellicola rimane notevolmente vicina alle semplici illustrazioni del libro di Pauline Baynes dando vita a un mondo spettacolarmente realistico. Il regista Adamson è cresciuto attraverso la disciplina degli effetti speciali e "in Narnia" ha realizzato brillantemente il quasi impossibile: rendere credibili musi animali malleabili ed espressivi.


AslanGli abitanti animali di Narnia potrebbero passare per reali fino a che non rivelano la loro straordinarietà aprendo la bocca per parlare.
Aslan è visivamente un trionfo. Una creazione digitale sbalorditiva: non assomiglia esattamente a un leone reale, ma è una realizzazione magnifica – la sua morbida criniera s’increspa morbidamente nel vento, e con King Kong è uno dei protagonisti interamente digitali della stagione cinematografica.

A questo proposito dobbiamo segnalare la scelta sciagurata di far doppiare la carismatica e possente figura di Aslan a Omar Shariff. Il leone con la voce stentorea e l’accento straniero perde gran parte della sua credibilità. Davvero una scelta inspiegabile.

Uno degli effetti più magici delle Cronache di Narnia non è nella fluidità della criniera digitale, o nelle creazioni generate dal computer, bensì nella meraviglia che gli occhi della piccola Georgie Henley esprimono la prima volta che varca la soglia nell’armadio e si ritrova a Narnia.


LucyLa piccola Lucy è il cuore e l'anima della storia con la sua tenera meraviglia e l’innocente sensibilità. Le sue interazioni con il sig. Tumnus e Aslan sono particolarmente riuscite.

Le interpretazioni degli altri attori sono convincenti. Bravo il giovane Skandar Keynes a rendere il disagio e il tormento causati dall’attrazione esercitata dalla Strega.
Brava Tilda Swinton, che fa un lavoro notevole nel non trasformare la strega bianca in un cliché. Crudele e con l’atteggiamento di un aristocratico costretto in una stia insieme alle galline, quanto superba e terribile valchiria in battaglia, senza per questo risultare comica.

Persino Peter, il fratello maggiore dei Pevensie, che soffre del complesso di Aragorn (la riluttanza che speriamo non diventi a sua volta un cliché) cade in una sola, incolpevole incogruenza quando nel cuore della battaglia Peter si preoccupa di convincere Edmund e le ragazze ad abbandonare il conflitto ed il ritorno a casa in Inghilterra (una sciocchezza, dal momento che la profezia si può avverare solo se tutti e quattro i fratelli salgono al trono di Narnia).

La colonna sonora di Harry Gregson Williams è altrettanto magica. Il compositore, che già aveva collaborato con Adamson in Shrek e Shrek 2 sottolinea con molta efficacia i momenti decisivi del film, tanto da guadagnarsi una nomination ai Golden Globe.

Narnia è un vero film natalizio, il primo, dopo tanto tempo, che rimette Cristo al centro della pellicola, o almeno la metafora messianica. E’ un piccolo tesoro, un regalo per tutta la famiglia.


Aslan attacca la Strega BiancaAlcuni lo considereranno come una versione più delicata della Passione di Cristo, a causa dei molti riferimenti biblici e della figura di Aslan, il leone idealizzato che con il suo soffio è in grado di ridare la vita. Altri apprezzeranno il film semplicemente come una saga epica paragonabile al Signore degli Anelli, il cui successo la Disney spera di emulare, sapendo comunque che lo stesso Lewis consigliava un approccio multilivello alle sue opere.

Narnia è affascinante e spaventosa allo stesso tempo ed è lì, proprio dentro l’armadio, unico arredo di una piccola stanza della grande casa del professor Kirke, nascosta fra le pagine di un libro, o i fotogrammi di un film.
Ma non è per sempre, e non per tutti.

Fonte: fantasymagazine.com

[Modificato da ChoAila 26/12/2005 1.39]



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26/12/2005 01:45
 
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Mio commento
Come film mi ha lasciato una strana impressione, non so [SM=g27837] nel senso che gli effetti speciali erano impressionanti!Il leone è stupendo [SM=g27836] e la voce italiana mi piace molto anche se si sente che è straniera.

Come recitazione è ottima,la ragazzina [Lucy] recitava benissimo! Mi è piaciuta molto la sua espressione di fronte l'armadio, comunicava molto [SM=g27811] X la sua età [quanti anni avrà avuto? 7- 8?] è davvero brava , e poi anche la strega bianca me piace un caos [SM=x322187] è un cattivo fatto benisshimo, è spietata al punto giusto, incuote terrore ecc. e poi quella capigliatura è fatta trppo bene!

Anche gli altri attori erano molto bravi, in effetti hanno scelto dei protagonisti molto capaci [e poi Peter... [SM=x322267] [SM=x322253] ].

Poi è un film molto profondo, anche perchpè dietro ha un sacco si significati religiosi [del tipo:il leone è Gesù perchè resuscita, dà la sua vita x un traditore e non viene ucciso, ha il potere di resuscitare le persone, Lucy e Susan guardano il leone che resuscita, Edgard è come Giuda che tradisce, i nomi sono cristiani, infatti Peter (=Pietro) è alla fine + o - il protagonista, che prende le vedi del leone quando è morto], però è un pochino troppo banale, alla fine si riduce alla solita cosa lotta bene--male, e poi alla solita profezia, che io avrei fatto meglio insomma, èm una cosa un pò scontata alla fine che vincano Però il personaggio di Edgard non lo definirei strxxxxo, perchè alla fine si rivela coraggioso, e cmq x non fare uccidere la volpe dice la verità, che alla fine gli si ritorce contro..alquanto complicato, però mi piace.

Come voto totale gli dò un bell'8, xchè comunque mi ha tenuta un sacco sulle spine [non vedevo l'ora di vedere come finiva!], e mi sentivo il protagonista davvero [nel senso, mi chiedevo in continuazione: "Cosa avrei fatto io al suo posto...? Avrei accettato il destino o sarei scappata dopo aver recuperato mio fratello?"] e mi ha emozionato, e un film x me deve fare anche quello! [SM=g27822]

Che post lungo [SM=g27831] sorry, è che quando parlo di un film ne devo descrivere tutto, non posso dire solo "bello brutto"XD


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