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Ripasso di storia.

All’epoca della sua pubblicazione, Brothers in Arms: Road to Hill 30 fece ben parlare di sé, e a giusto merito, grazie ad una meccanica di gioco dannatamente geniale a scapito dell’apparente semplicità. Scardinando le convenzioni non scritte vigenti negli sparatutto in prima persona con velleità strategiche (alla SWAT tanto per citarne uno), Gearbox ne sovvertiva i tradizionali rapporti tra giocabilità arcade e simulazione spinta appioppando la prima all’aspetto tattico e la seconda a quello dinamico della sua creatura. Insomma: in un settore, quello degli fps cosiddetti strategici, fino a quel momento dominato da giochi nei quali era più facile sforacchiare una moneta a ottocento metri piuttosto che convincere un compagno di squadra virtuale a salire una scala, Road to Hill 30 contrapponeva un sistema esattamente opposto. Grazie a poche ed intuitive combinazioni dei tasti del mouse diventava ridicolmente semplice coordinare fino a due squadre di uomini in manovre di assalto e accerchiamento, mentre di converso l’impresa di piazzare un proiettile nel corpo di un nemico si faceva degna di un docente di fisica balistica. Messi da parte un paio di difettucci, quali la scarsa reattività delle forze ostili e la struttura eccessivamente labirintica di alcuni livelli, il sistema di gioco si rivelava foriero di abbondanti soddisfazioni sia per i patiti dell’azione tout court sia per gli estimatori della strategia più meditabonda. Oh gioia, oh nirvana.

La quale si ripete
Cinismo di mercato a parte era lecito aspettarsi che da tanta speme scaturisse prima o poi un seguito, meno lecito però è lo scoprire che per produrlo bastassero due sole stagioni metereologiche. Eppure tant’è: a soli sette mesi dalla pubblicazione del suo capostipite la serie BiA infrange ogni record videogiochistico, cinematografico e letterario in tema di blockbuster sfornando questo Earned in Blood. Noi di Ludus lo ammettiamo: il pretesto di trama esile quanto una velina (rivivere la fatidica settimana successiva al D-Day non più nelle vesti del riflessivo tenente Matt Baker quanto nel ruvido incarnato del caporale Joe ‘Red’ Hartsock) e i ridotti (soprattutto per gli standard odierni) tempi di sviluppo ci hanno creato più di una perplessità sulla buona riuscita del titolo. Una settimana intensiva sul gioco è bastata a dissipare in larga parte la nostra preoccupazione, ma non al punto da convincerci al cento per cento che quella che abbiamo innanzi non sia altro che un’espansione molto ben congeniata piuttosto che un genuino seguito dell’illustre capostipite.

Di quel che resta lo stesso
Come accennato in precedenza, il nostro ruolo all’interno del gioco sarà quello di un caporale dell’esercito americano nel periodo immediatamente successivo al Giorno di tutti i giorni. Ciò che distinguerà le nostre imprese rispetto a quelle proposte dai numerosi fps ad ambientazione bellica sarà l’abilità di controllare, oltre ai nostri, anche i movimenti e le azioni di un massimo di due squadre di fanti o, all’occorrenza, di mezzi corazzati. A queste due squadre spetteranno i compiti fondamentali per il buon esito di uno scontro a fuoco: il martellamento sistematico a suon di proiettili dei drappelli di unità avversarie (teso ad inibirne fuoco e movimenti) e l’aggiramento con conseguente sterminio degli stessi (teso a farne concime per le primule). A noi spetterà invece il compito di coordinare adeguatamente le azioni suddette, fornendo al contempo adeguato supporto ad una od entrambe le squadre e badando a non concludere prematuramente la nostra missione causa pesante intossicazione da piombo. Le nostre scorribande attraverso le incantevoli campagne francesi saranno scaglionate in una quindicina di capitoli, motivate dal perseguimento di obiettivi specifici (si và dal recupero di preziosi rifornimenti alla conquista di avamposti strategici, dallo smantellamento di pezzi di artiglieria alla bonifica di perniciose postazioni di mitragliatrice) e rallegrate da centinaia di animatori in divisa tedesca appiedati, trincerati e cingolati, i quali non vedranno l’ora di trasmutarci in una tacca sul calcio del fucile. A darci una mano nello sforzo bellico interverrà l’interfaccia di gioco, la quale ci indicherà con un bollino posto sulle unità avversarie l’effettiva efficacia delle nostre azioni di soppressione: col bollino rosso i nemici non avranno problemi a ridurci in groviera non appena metteremo il naso allo scoperto, mentre col bollino grigio potremo gettarci all’assalto in relativa tranquillità. L’assenza di tale bollino, unita alla latitanza di default di un qualsivoglia puntatore per le armi, ci costringeranno a far ricorso unicamente a vista, udito e facoltà paranormali per uscire indenni dai numerosi incontri ravvicinati con la marmaglia crucca ai più alti livelli di difficoltà.

Di quel che invece è cambiato
Uno degli appunti rilevati nei confronti del primo BiA riguardava la scarsa intraprendenza e il poco istinto autoconservativo delle truppe tedesche, inclini ad appisolarsi sotto al fuoco di soppressione e restie ad abbandonare le loro postazioni nonostante le frequenti esposizioni al tiro incrociato. La buona notizia è che Gearbox ha tenuto conto delle critiche ritoccando pesantemente le Intelligenze Artificiali, l’ottima notizia è che il lavoro ha sortito effetti rivitalizzanti sull’intera dinamica di gioco. E’ bastato infatti affrontare la nuova campagna in single play alla maniera del ‘vecchio’ Road to Hill 30 per trovarci di fronte a parecchie sorprese. In più di un’occasione ci siamo fatti strada a fatica verso una trincea avversaria scoprendo che gli occupanti avevano saggiamente ripiegato verso più sicure protezioni. Siamo più volte venuti alle mani contro i soldati tedeschi che avevano intuito la nostra manovra di accerchiamento ed erano corsi ad attenderci a braccia aperte. Infine, abituati come eravamo a sorbirci un caffè decidendo sul da farsi mentre la nostra squadra di soppressione faceva il suo lavoro, ci siamo fatti beccare con le braghe calate da un’unità nemica che stufa dell’attesa aveva deciso di aggirarci a sua volta. Insomma, quel che ci si è parato innanzi è stato un gioco subdolamente diverso, sadicamente difficile e tremendamente appagante persino se confrontato col pure illustre predecessore.

Sassi nello stivale
Proprio dal livello di difficoltà sono cominciate le storture di naso. Nonostante la nostra buona inclinazione verso i giochi impegnativi, merce ormai rara in un mercato che ha come caposaldo quello di proporre al consumatore titoli da completare in fretta onde acquistarne altri, abbiamo constatato con dispiacere come la curva di apprendimento di Earned in Blood somigli al tracciato di un elettrocardiogramma eseguito sotto stress. L’imprevista complicità della nuova AI ha avuto come spiacevole effetto collaterale quello di alternare, a singhiozzo e nel corso della medesima missione, passaggi di una facilità offensiva a scogli da emicrania coatta. Le inedite reazioni avversarie alla nostra condotta, generatrici da un lato di scontri furiosi e mai uguali a loro stessi, sono anche causa di frustranti situazioni di stallo nelle quali la perdita di uomini diventa più un frutto del caso piuttosto che di errori oggettivi del giocatore. Nonostante il buon numero di checkpoint disseminato per i livelli e la sempre presente opzione ‘mulligan’ (che risana e resuscita tutti i membri della squadra dopo tre passaggi a vuoto nella stessa sezione), il processo di trial and error necessario a superare alcuni passaggi non risparmierà nemmeno chi aveva completato con successo Road to Hill 30 al massimo livello di difficoltà.

Finalizzando
Quello dell’altalenante livello di difficoltà resta il difetto più palese di questo Earned in Blood, ma non costituisce l’unico indice di una realizzazione quantomeno ‘affrettata’ del titolo nel suo complesso. Nonostante gli ottimi sforzi compiuti per venire incontro a chi aveva criticato questo o quell’aspetto dell’originale (è encomiabile la possibilità di mantenere defunti i compagni caduti tra una missione e l’altra, cosiccome è benvenuto il premio per chi completa un livello senza subire perdite) e l’aggiunta di una modalità di gioco alternativa parecchio ben riuscita, nulla si è fatto per mitigare la struttura artificiosamente labirintica che inficiava anche parecchie sezioni del primo BiA, e l’introduzione di un motore fisico è idea che non ha lontanamente sfiorato gli sviluppatori. Peccato, perché per godersi un gioco nel quale le nostre azioni avrebbero potuto determinare cambiamenti sia sui nemici che sullo scenario, non dubitiamo che molti di noi avrebbero sopportato senza patemi una molto più lunga attesa.
29/10/2005 14:59
 
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