Il timore dell’esistenza di fosse comuni per gli occidentali uccisi dallo tsunami si è fatto strada anche grazie al giornale tedesco Bild, che ha parlato con grande evidenza della possibilità che ben 10 mila morti tra locali e turisti siano stati sepolti in questo modo, senza funerale e senza alcun tentativo di identificazione. I responsabili della Thailandia hanno però smentito quanto affermato dal giornale, affermando che alla salma di nessun occidentale è stato riservato tale trattamento. Anche i Carabinieri del RIS che per giorni hanno cercato indizi e tracce di Dna tra le salme, assicurano che i corpi delle vittime non thailandesi non sono stati sepolti in fosse comuni, ma in luoghi separati, accessibili solo a organizzazioni internazionali. Il lavoro di riconoscimento è comunque destinato ad andare avanti per molte settimane prima di definire con esattezza il numero delle vittime identificate, fra i 338 dispersi dell'elenco ufficiale diffuso dalla Farnesina. I carabinieri erano partiti ventiquattro ore dopo il maremoto. La squadra del Ris, il raggruppamento investigazioni scientifiche, ha lavorato nella zona attorno a Pukhet per individuare le vittime. Un lavoro lungo e faticoso, ma soprattutto carico di dolore, perché i biologi e gli esperti della divisione dovevano dare un nome e un'identità ai cadaveri degli italiani. I risultati degli accertamenti vengono trasmessi nei laboratori di Roma, dove un'altro gruppo li confronta con i prelievi fatti nelle case dei dispersi. I nove carabinieri sono tornati a casa con un Falcon dell'aeronautica militare, mentre un'altra squadra ha già preso il loro posto a Pukhet. Nei prossimi giorni saranno affiancati dagli uomini del Viminale che adotteranno lo stesso sistema di lavoro, per chiudere il doloroso bilancio degli italiani uccisi quando lo tsunami ha capovolto quelle che fino al 26 dicembre erano le spiagge del paradiso.
Fonte TGCOM