L'Iraq sprofonda nell'orrore, strage a Baghdad
L'Iraq sprofonda nell'orrore, strage a Baghdad
di Gabriel Bertinetto
«Ero in strada con un amico. Stavamo chiacchierando. D’improvviso tutto intorno a me non ho visto altro che sangue, e il mio amico giaceva a terra, senza vita». Dal suo letto d’ospedale Zafer racconta l’ultima strage di Baghdad, o meglio quei pochi terribili attimi che gli si sono impressi nella memoria. Zafer, che viene curato per tagli al volto ed allo stomaco, è uno dei 114 feriti. Il suo amico, più sfortunato, è una delle 47 vittime.
Il massacro è stato provocato dall’esplosione di un’autobomba, in una zona centrale, quella Haifa street che domenica scorsa era già stata teatro di una prolungata battaglia fra i ribelli e le forze americane, nella quale erano rimaste uccise tredici persone.
L’attentato è avvenuto verso le 11 del mattino, nei pressi di un commissariato e di un mercato a quell’ora molto affollato. L’obiettivo del terrorista suicida che è saltato in aria assieme al veicolo, erano le giovani reclute della nuova polizia irachena, ma fra le vittime molti stavano passando di lì per caso, o erano intenti alle loro quotidiane attività alle bancarelle, o nei negozi e negli uffici circostanti. Nel punto della deflagrazione, un cratere. Tutt’intorno, corpi dilaniati, chiazze di sangue, mucchi di frutta squarciata, indumenti sparsi a terra, veicoli distrutti.
Qualcuno quasi non riesce a capacitarsi di essere sopravvissuto, come Ali Abu Amir, che fino ad un attimo prima se ne stava in fila per iscriversi al corso di addestramento della polizia, e si era allontanato per comprarsi da bere, quando è avvenuto lo scoppio.L’obiettivo dei terroristi «è di colpire il popolo iracheno»ha detto il ministro degli Interni Falah al Naqib, che ha visitato il luogo dell'attentato. «Non ci sarà spazio per i terroristi e i nemici dell'Iraq», ha aggiunto il ministro.
«Tawhid wal Jihad», il gruppo capitanato da Abu Musab Al Zarqawi, ha rivendicato la paternità della carneficina, compiuta, si legge in un comunicato diffuso via Internet, da «un leone delle nostre brigate dei martiri». Lo stesso gruppo si era attribuito la responsabilità degli scontri di domenica scorsa a Haifa street e di vari altri attentati. Ed ha firmato anche l’agguato a un minibus carico di agenti delle forze di sicurezza, martedì a Baquba, in cui sono rimaste uccise dodici persone.
Violenze anche a Ramadi, un’altra città del cosiddetto triangolo sunnita. Dieci iracheni sono rimasti uccisi nei combattimenti tra i ribelli e le forze americane. I feriti sono 22. Secondo alcuni testimoni, i guerriglieri hanno aperto il fuoco contro carri armati Usa che stavano cercando di entrare in città da ovest, e gli americani hanno reagito, sparando a loro volta.
Nei pressi di Mosul un pattuglia militare statunitense è stata attaccata dai ribelli: un soldato è morto, cinque sno rimasti feriti. Altri due soldati americani sono caduti in un’imboscata a Baghdad: una mina è esplosa al passaggio del loro convoglio e subito dopo alcuni miliziani appostati nei paraggi hanno iniziato una fitta sparatoria.
Alcuni quartieri di Baghdad e altre zone dell’Iraq sono rimasti ieri per molte ore senza corrente, dopo il sabotaggio di un oledotto nel nord del paese, che ha costretto i tecnici a chiudere la vicina centrale elettrica. L’impianto bloccato è quello di Baiji. Secondo le squadre intervenute per rimediare al guasto, lo stop alla produzione si è reso necessario perché c’era il rischio che lo stabilimento venisse raggiunto dalle fiamme divampate nel punto dell’attacco all’oleodotto.
Non è mancata purtroppo l’ormai quasi quotidiana razione di sequestri di persona. Stavolta è toccato, in due vicende distinte, a due camionisti turchi e a un giordano. Sul primo episodio si sa poco. I due sono stati bloccati e portati via da sconosciuti mentre guidavano il loro mezzo lungo la strada fra Tikrit e Kirkuk.
Maggiori dettagli sull’altro rapimento. La televisione Al Jazira ha mandato in onda un video ricevuto dai banditi, in cui si vede l’ostaggio mostrare il suo passaporto con il nome di Khalifa Al Breizat. Attorno a lui tre uomini armati dicono di appartenere ad un’organizzazione sinora sconosciuta, i «Leoni della brigata per il monoteismo».
Il prigioniero è un camionista che, secondo i suoi carcerieri, ha ammesso di avere consegnato carburante alle truppe americane. I terroristi minacciano di morte il povero autista, se entro quarantott’ore la ditta per cui lavora non avrà cessato le proprie attività in Iraq. È il solito ricatto già imposto più volte ad altre compagnie di vari paesi arabi e della Turchia, con il sequestro dei conducenti dei loro mezzi. Ricatti cui purtroppo in molti casi ha fatto seguito l’assassinio degli ostaggi.
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