Ho già recensito un film di Pupi Avati, "La casa dalle finestre che ridono", ma era un film a parte, lontano dallo stile originario che si riscontra chiaramente in questo film. Un bellissimo film.
Non a caso Avati è uno dei miei registi preferiti e questo film mi fa capire che la mia scelta è giusta: stupendo. E' veramente cinema italiano doc: è un regista straordinario.
La trama è semplicissima: un uomo deve portare la notizia per le aspre motagne del centro italia dell'apertura estiva della belera della zona e incontrerà così dei bei squarci di vita rurale. Questa è la trama, a cui fanno controno piccole vicende minore dei personaggi che formano la coralità del film, ma questa trama è veramente semplice e la forza del fil msta tutta in questa semplicità: la semplicità della trama e degli stessi personaggi, ma la grandezza di una regia che ha uno stile come pochi. Avati riesce a presentarci questo paesaggio rurale e naturale con una poesia immensa, come è riusicito a fare anche in "Festa di laurea" e sorpatutto in "Una gita scolastica". Una storia qualunque, semplice, nessun intrigo, nessuna sparatoria o effetti speciali inutili, che presenta in modo straordinario con la poesia di quella storia semplice e di tutto l'ambiente che la circonda: la sua bravura sta in questo: l'emozione che trasporta attraverso questa semplicità, cosicchè agli spettatori non serve seguire la storia, perchè ci sono le emozioni che ci regala la cinepresa da raccogliere. Una semplice poesia e finezza artistica, che oggi si riscontra veramente in pochi film. Questa è arte, ragazzi, questo è cinema!
Pupi Avati ritorna tra le colline emiliane. Poesia e gran gusto della narrazione
"Forse nostra madre doveva andarsene per sempre perché io e mio fratello vivessimo l’urgenza di raccontare questa vicenda che la riguarda". Memoria dolcissima, sentimenti autobiografici, lutto composto e lirico permeano questo ritorno di Pupi e Antonio sulle amate colline emiliane. Il giardino di una giovinezza da trattenere con le sue tonalità calde e gioviali, con le sue facce bizzarre, con le sue storie collettive, con la leggerezza vaga di un racconto orale. L’ombra della madre è quella di Ines, una ragazza che si innamora del figlio di un antiquario e accanto a questa figura, cara e privata, si compone un coro di personaggi, di vicende, di umori, di attese e di rimpianti. Nell’Italia rurale degli anni del fascismo, è un appuntamento, un evento, un passaggio delle stagioni della vita a tessere la trama sottile, a segnare i destini dei tanti personaggi (quasi tutti riusciti): il ballo inaugurale della balera vicino al fiume, nella Valle del Reno. Il regista, con la consueta perizia e con i tratti inconfondibili del suo gusto per la narrazione, affabula, evoca, inventa, incornicia i ricordi, suoi e altrui, ascolta le voci perdute nel tempo.
Enrico Magrelli, FilmTV
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DOLLS - TAKESHI KITANO'S
"Il cinema americano mastica tutto il lavoro e non lascia alcuna autonomia di pensiero allo spettatore. In Giappone, la tradizione teatrale del No lascia fare gran parte del lavoro di creazione dello spettacolo alla sensibilità dello spettatore. Il pubblico carica il ballerino No di tutti i suoi fantasmi. Bisogna tornare a questa forma di espressione artistica dove tutto non è precisato e premasticato"
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"La vita è una merda, ma se ci tieni a qualcosa, non devi mollare mai!"
Stefano Benni
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