Abituati a vederci sempre dalla stessa angolazione, in una obbligata soggettiva che fatica a mantenere lucidità nello sguardo, rischiamo di non capire la direzione che stiamo imprimendo alla nostra vita. Anche questo racconta il bel film di Ferzan Ozpetek, che dopo il successo di "Le fate ignoranti" torna a parlare con pudore e (maggiore) incisività di sentimenti. Giornate in apparenza sempre uguali fluiscono nell'ignavia, fino a quando un incontro casuale può aiutare a cambiare le prospettive.
Come in tutti i lungometraggi del regista italo-turco, il soggetto è molto intrigante. Se nel film precedente la brillante idea di partenza sfumava in una serie di luoghi comuni, ne "La finestra di fronte" Ozpetek riesce a mantenere fino alla fine una grande tensione emotiva, un miracoloso equilibrio nel dipanare il non facile destino dei personaggi. Al centro della storia, una famiglia con due giovani sposi con prole, stanchi della routine matrimoniale che regala più impegni che soddisfazioni. L'unica via di fuga, per l'inquieta Giovanna, diventa spiare il bel tenebroso nell'appartamento di fronte, che sembra racchiudere gli ideali inespressi di una vita più subita che davvero vissuta. A smuovere il mesto menage familiare arriverà un vecchio che nasconde un prezioso segreto. Il film procede intrecciando i molteplici fili narrativi in una sorta di thriller dei sentimenti, con colpi di scena, scoperte inaspettate, complicità, liti, riconciliazioni. Davvero tanta la carne al fuoco, ma il regista riesce a dosare i vari ingredienti mantenendo alto l'interesse e, soprattutto, rendendo i personaggi vivi. La famiglia è solo in apparenza "tipo", in realtà e molto ben caratterizzata. Bella l'idea di una protagonista che lavora come contabile in un'azienda che macella e confeziona polli ma sogna di diventare una provetta pasticcera. Con piccoli sapienti tocchi, quindi, i personaggi escono dal "tipo" e acquisiscono uno spessore autentico, in grado di parlare in modo diretto. Molto azzeccato anche il cast: Giovanna Mezzogiorno ha carisma da vendere, anche se rischia di restare imprigionata in personaggi tosti e incazzosi (i bisticci casalinghi ricalcano un pò troppo le liti de "L'ultimo bacio"); Filippo Nigro è un credibile marito a mezze tinte che alterna slanci affettivi a rigidità caratteriali; Raoul Bova non sfigura in versione Clark Kent nel ruolo dell'introverso e un pò bamboleggiante bancario; ritroviamo Serra Yilmaz, che è un pò una macchietta dalla evidente funzione sdrammatizzante (ma almeno è simpatica e fa ridere) e Massimo Girotti conclude la sua carriera con un'interpretazione vibrante e sensibile. Come al solito far recitare i bambini non è facile e alcuni quadretti familiari sanno un pò di artefatto. Ma il film riesce a toccare le corde giuste per emozionare, racconta in modo non banale il "must" del millennio "diventa quello che sei" e non limita lo sguardo alla dimostrazione di una tesi, ma aggiunge dettagli narrativi importanti e ricchi di implicazioni.
Determinante il contributo sonoro di Andrea Guerra e la scelta delle canzoni. In particolare "Gocce di memoria", cantata da Giorgia, che conclude con perfetto tempismo la bellissima sequenza finale. Sarebbe divertente un faccia a faccia tra i personaggi di Ozpetek e quelli di Muccino, evitando i fatui salotti televisivi ma preferendo un pub, magari davanti a una birra schiumosa. Chissà, forse l'intenso monologo finale della protagonista riuscirebbe a placare il cinismo dei membri della famiglia Ristuccia e a dare un senso meno effimero all'ansia di "essere ricordarti" che li affligge.