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Forumandiano..!!

JUNIOR
-"Dancer in the dark", drammatico musical nel quale a differenza di quelli classici americani i pezzi non si pongono come anello narrativo ma diventano il flusso di coscienza di personaggi, situazioni e drammi.-
Tratto da "Filmup"



Lars continua a non deludermi.
Altro capolavoro. Grande capolavoro.
Uno stile indonfondibile, sorretto da una poesia inconfondibile e una grande bravura nel fare provare forti emozioni: è il primo film di Lars che mi emoziona veramente. "Dancer in the dark" è un grande esercizio di stile, in cui il regista da il massimo (non ha caso è stato premiato come miglior film a Cannes). Ne escono fuori i valori dell'amicizizia, i valori famigliari ma sopratutto il valore della vita di ognuno,sommersa nei suoi sentimenti ed una felictà, da raggiungere, ma talvolta irraggiungibile, tanto da sperare la felictà altrui, ma abbandonare se stessi al proprio destino. Sullo sfondo delle piccole frecciate alla stupidità della oscietà americana, come succede anche in "Dogville". In questo caso una bravissima protagonista (Bjork) usa l'unica cosa giusta degli americani, il musical, per uscire dalla grande sofferenza di una vita così crudele da sommergerla con cose che non sono alla sua portata, mentre lei voleva solo fare del bene. Mille significati, un film profondo quanto drammatico. Colpisce al cuore, e vi rimane.
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Lars Von Trier persegue da sempre, sin dal suo esordio, un'idea personalissima di cinema. Un'idea totale e totalizzante, al servizio della quale mettere, senza compromessi, ogni singolo aspetto del processo filmico, dal mezzo cinematografico stretto, al soggetto, alla sceneggiatura, alla direzione degli attori.
Una vera e propria ossessione dunque, perseguita con cura maniacale, con occhio attento, con precisione millimetrica. Sembra quasi di avere a che fare col lavoro di un entomologo più che con l'opera di un regista cinematografico. Di qui le continue accuse di freddezza e cerebralismo che, si badi bene: sono giuste. Salvo che la freddezza, il cerebralismo, lo studio quasi da laboratorio sono il punto di forza del cinema di Lars Von Trier.
Von Trier non è un regista dell'emozione o della commozione, sebbene ad un primo livello di lettura molti suoi film possono sembrare commoventi. O meglio, è un regista capace di suscitare emozioni che non riguardano la sfera dei sentimenti umani, bensì l'intelletto. Nel suo ultimo film Palma d'oro allo scorso Festival di Cannes, Dancer in the Dark, il regista danese riesce lì dove in "Breaking the Waves" non era riuscito completamente: mettere al servizio della sua idea un genere cinematografico, svuotandolo completamente in un modo finora riuscito solo a Stanley Kubrick. Un musical tinto di nero (il titolo allude non solo alla incipiente cecità della protagonista, dunque, e l'incipit è in questo senso memorabile: alcuni minuti di schermo completamente buio accompagnati solo dalla musica) dove i brani musicali fanno da contrappunto ad un vero e proprio dramma umano, splendidamente interpretato da attori (o non attori come Bjork) quasi difficili da riconoscere, tanto essi stati sono stati "ripensati" (si pensi solo al dolcissimo Peter Stormare).
tratto da cinemah

RECENSIONE DI ALESSANDRO PUGLISI
Un film difficile da raccontare, anzi impossibile. Proprio per questo non ci proverò, ma vi darò solo alcuni cenni sulla trama; sono sufficienti, in questa sede, solo un paio di pennellate, ma è indispensabile la visione di questo capolavoro per dipingere e poter osservare il piccolo grande affresco che un genio come Von Trier ci ha donato per sempre.
Le premesse della trama sono semplici: Selma, una umile operaia, combatte da anni contro una malattia che la renderà prima o poi cieca, e lotta giornalmente col mondo e con se stessa, in silenzio, per risparmiare i soldi che serviranno al figlio per farsi operare ed evitare così anche lui di finire nel buio. Fin dall'inizio il personaggio di Selma sembra una marionetta in balìa degli eventi, un personaggio che si muove su un immenso palcoscenico, spaesato, in attesa del prossimo colpo da incassare. Lo scorrere degli avvenimenti la costringerà a scelte difficili e dolorosissime, che affronterà sempre col suo sorriso malinconico e lo sguardo perso nel vuoto, a immaginare qualcosa che esiste solo nella sua mente, e proprio per questo è intimamente perfetta.
Sembra quasi superfluo, e peraltro di grande difficoltà, esprimere un giudizio oggettivo su quest'opera, tanto è il coinvolgimento emotivo che le immagini riescono a infondere. Giocando sulla linea che divide il film e il musical, il regista ci mostra la vicenda di Selma con occhio impersonale, eppure utilizzando la camera in maniera da sembrare sempre vicino ai personaggi: il "nostro" occhio (la camera a mano) è il fulcro attorno al quale si svolge una vicenda che spazia dalla triste ironia al dramma vero e proprio, al musical per l'appunto, sequenze nelle quali possiamo ascoltare le magnifiche canzoni curate dalla stessa Bjork; esse non fungono da anello di congiunzione tra le varie parti del film, ma sono semplicemente la liberazione della coscienza da parte dei personaggi, i quali nella trasfigurazione delle immagini sfocate, delle note e dei vocalizzi assumono un ruolo così improbabile da risultare geniale nell'economia del film.
E' proprio questa una delle chiavi interpretative di quest'opera; attraverso dei simboli immersi in una realtà plausibile, Selma trova il modo di elevarsi, in qualche modo di raggiungere una pace interiore, anche se all'esterno si troverà martoriata da una vita cattiva e sadica, che si è accanita su di lei in maniera grottesca.
Tutte grandiose le interpretazioni, ovviamente svetta Bjork per la sua grande carica espressiva, che dona una marcia in più ai dialoghi, mai scontati o stupidi, e alle parti di intermezzo che servono come raccordo funzionale alla trama e al suo svolgimento.
E' limpido il talento del regista nel farci partecipi della sua storia; pur in parte affrancandosi dal manifesto di Dogma 95, ha successo nel raggiungere una onestà artistica e una "verità" nell'uso della tecnica che si è vista raramente.
Anche la fotografia, a volte sfocata, o cupa, lucente o pallida, a seconda delle esigenze, si sposa perfettamente con il resto, senza risultare mai eccessiva o inadatta alle scene.
Una menzione speciale anche per le canzoni che Bjork ha scritto per il film, dei capolavori sui quali mi pare ci sia poco da discutere, cariche di significato, musicate ottimamente e, nel film, coadiuvate anche da coreografie spettacolari.
Ce ne sarebbero infinite parole da spendere, ma comunque l'effetto della pellicola su ogni persona è qualcosa da provare, non da vedere scritto.
Ho detto la mia, ora vado a rifugiarmi nel mio paradiso personale, in fondo ognuno di noi ne ha uno, dove ogni cosa magicamente è al suo posto, un sogno così vivido e "pieno" di noi stessi da sembrare reale, eppure breve, effimero, sfuggente. Come la dolce Selma, che continua a cantare, nonostante tutto.

[Modificato da Matty love Lili 26/05/2004 20.14]

[Modificato da Matty love Lili 26/05/2004 20.16]

[Modificato da Dale Cooper 26/05/2004 20.53]



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"Il cinema americano mastica tutto il lavoro e non lascia alcuna autonomia di pensiero allo spettatore. In Giappone, la tradizione teatrale del No lascia fare gran parte del lavoro di creazione dello spettacolo alla sensibilità dello spettatore. Il pubblico carica il ballerino No di tutti i suoi fantasmi. Bisogna tornare a questa forma di espressione artistica dove tutto non è precisato e premasticato"


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