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SUPERSAGGIO
Elie Wiesel è morto:
addio al Premio Nobel per la Pace che raccontò la Shoah


NEW YORK – Sopravvissuto ad Auschwitz ed eloquente testimone della tragedia di sei milioni di ebrei sterminati dal nazismo, Elie Wiesel è morto sabato 2 luglio nella sua casa di Manhattan. Aveva 87 anni.

Il suo, come quello di Primo Levi, sono i nomi che più naturalmente vengono in mente tra i testimoni della Shoah. Dramma raccontato in 57 libri, conferenze, reportage, due lavori teatrali e due cantate che nel 1986 gli valsero il Nobel per la Pace. Scrive il New York Times che il suo vero merito fu per il vuoto che aveva riempito facendo emergere l’enormità del genocidio: per quasi due decenni dalla fine della guerra, i sopravvissuti sotto trauma e gli ebrei americani pieni di sensi di colpa sembravano pietrificati nel loro silenzio.

“Elie Wiesel ha insegnato a non restare in silenzio di fronte all’ingiustizia”, ha detto il presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder, definendo lo scrittore “un faro di luce” nei confronti del quale il mondo ebraico “ha un enorme debito di gratitudine”. Wiesel “non dormì mai di fronte alle ingiustizie e svegliò gli altri quando dormivano. Lui, che era sopravvissuto, sapeva di cosa parlava quando sollevò il dramma delle persecuzioni in Ruanda, o nella ex Jugoslavia o in altre parti del mondo”, ha detto Lauder. Tra i primi a esprimere cordoglio è stato il premier israeliano Benyamin Netanyahu: “Ha dato espressione alla vittoria dello spirito umano sulla crudeltà e il diavolo”.

Wiesel aveva uno strettissimo rapporto con il presidente Usa Barack Obama, con cui aveva parlato a Buchenwald, il campo da cui era stato liberato a 18 anni, il tatuaggio indelebile A-7713 impresso sul braccio destro.

Eliezer “Elie” Wiesel, che ha visto gli ultimi anni della sua vita amareggiati dall’esser stato truffato dal finanziere Bernie Madoff, era nato nel 1928 nella città rumena di Sighet in una famiglia hassidica, la cui vita fu sconvolta nel 1940 quando l’Ungheria annesse la città e costrinse gli ebrei a chiudersi nel ghetto. Elie finì con il padre nel campo di lavoro di Buna Werke, un sotto-lager di Auschwitz, per otto mesi prima di esser trasferito in altri campi verso la fine della guerra.

Attirò per la prima volta l’attenzione mondiale nel 1960, quando la sua autobiografia “Notte” venne tradotta in inglese. Elie aveva scritto dei suoi sensi di colpa per essere sopravvissuto e dei dubbi che lo tormentavano su un Dio che aveva permesso tutto quel massacro. I suoi libri scavavano sulle grandi questioni emerse dall’Olocausto: il senso della vita in un universo che ha permesso qualcosa di così crudele. E qual è il senso di un mondo che è rimasto muto? Come si può continuare a credere? Tante domande, ma poche, rare, incomplete risposte.

Fonte: blitzquotidiano


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