Berlusconi a Fini: "Non mi dimetto
Se vuole, mi voti contro in Parlamento"
No dal Pdl all'ultimatum lanciato dal leader di Fli a Perugia. "Abbia il coraggio di votare la sfiducia". Bossi prende tempo: "Sto dietro il cespuglio". Bersani attacca: "Stucchevole gioco del cerino"
ROMA - Non si accettano ultimatum, non ci saranno dimissioni e se Fini vuole aprire una crisi lo faccia in Parlamento. E' un no secco quello che arriva dal Pdl a stretto giro dopo
l'affondo del leader di Futuro e Libertà lanciato dalla Convention di Perugia a Silvio Berlusconi con la richiesta delle sue dimissioni. Parlando ai suoi, Berlusconi ribadisce di non avere alcuna intenzione di cedere e dimettersi. "Se vuole la crisi, Fini abbia il coraggio di venire in Parlamento e votare la sfiducia". Questa la posizione del premier, dopo l'ultimatum dell'ex alleato. E ai suoi fedelissimi ha aggiunto: Presentino una mozione di sfiducia. Con il Pd e con Di Pietro, boccino la Finanziaria...". In questa situazione, il Cavaliere ritiene ormai inevitabili le elezioni.
Il Pdl: "Peggio della marcia su Roma". Lo schema di Fini "ripropone il peggio della vecchia politica: governi fatti e disfatti alle spalle degli elettori, ministri che rispondono ai capifazione, instabilità e fibrillazioni, e - peggio ancora - crisi al buio'', attacca Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, per cui le uniche dimissioni necessarie sono proprio quelle del Presidente della Camera. Per Bondi e Cicchitto, il presidente della Camera "getta alle ortiche con una spregiudicatezza imbarazzante un impegno comune di quasi vent'anni, liquida una parte cospicua del patrimonio della destra italiana, tenta di distruggere alcuni punti fondamentali dell'impianto riformista del governo". In questo modo Fini "si è assunto una responsabilità gravissima di fronte al Paese e di fronte agli elettori di centro destra, dichiarano in una nota congiunta il coordinatore del Pdl e il capogruppo del Pdl alla Camera. Gaetano Quagliariello, poi, giudica lo "sbrego istituzionale" che si è consumato oggi ancora "peggio di quello che un tempo provocò la Marcia su Roma".
La Lega attende gli sviluppi. Prudenza da Umberto Bossi, che non si sbilancia e prende tempo. "Sto dietro il cespuglio", dice il leader del Carroccio, rispolverando una vecchia battuta, facendo però intendere che parlerà domani quando i big della Lega, nel pomeriggio si riuniranno.
L'opposizione: "Ormai è crisi". Il segretario del Pd Pierluigi Bersani prende atto che le parole di Fini hanno reso la crisi della maggioranza "conclamata" ma giudica "illusoria" la richiesta da parte del Presidente della Camera di aprire una fase nuova con l'ingresso dell'Udc in un Berlusconi-bis. E giudica il ping-pong fra Fini e Berlusconi uno stucchevole gioco del cerino, rispetto ai problemi che ha il Paese. "Oggi Fini ha fatto un passo in avanti, piuttosto lungo, ha riconosciuto che il berlusconismo si sta spegnendo. E' stato un passo ulteriore verso l'evidenza di una crisi politica. Ma - rimarca il segretario del Pd - la risposta è stata insufficiente". Tatticismi, insomma. Ma la dinamica della crisi si sta accelerando e non ci saranno tempi lunghi.
Antonio Di Pietro, invece, rilancia l'ipotesi di una mozione di sfiducia e chiede a Pd e Fini di votarla. Il leader dell'Idv incalza: "Fini sia coerente: si faccia promotore di una mozione di sfiducia nei confronti del governo Berlusconi. Noi dell'Italia dei Valori - ha detto Di Pietro - lo appoggeremo senza riserve. In alternativa, appoggi la nostra mozione di sfiducia. A questo punto, però, è necessario che il Pd, non stia più a temporeggiare e si faccia esso stesso promotore di una autonoma mozione di sfiducia".
Per Lorenzo Cesa, Fini merita rispetto. "Ha posto oggi, con grande serietà, i problemi che noi abbiamo sollevato inascoltati fin dalla nascita del Popolo della libertà e dalla campagna elettorale del 2008", dice il segretario dell'Udc, che ha convocato per martedì l'ufficio politico dell'Unione di Centro. E a Berlusconi dice: "In politica il coraggio vero non lo si manifesta tanto salendo su un predellino, quanto avendo la forza morale e politica di dimettersi quando il proprio governo tira a campare e riceve pubbliche attestazioni di sfiducia da una parte determinante della sua maggioranza".
Fonte:
Repubblica