00 29/07/2010 22:18
Berlusconi-Fini, arriva la rottura
Il premier: "Sono fuori dal partito"

L'ufficio di Presidenza è durato meno di un'ora. Deferimento contro tre fedelissimi dell'ex leader di An: Granata, Bocchino e Briguglio. Il Cavaliere durissimo: "Non abbiamo più fiducia in lui, iniziative perché lasci la presidenza della Camera". In 34 da Bocchino firmano il modulo per l'adesione a nuovo gruppo.

ROMA - Il Pdl non c'è più. O almeno, non c'è più per come lo abbiamo conosciuto finora. E' durato meno di un'ora l'ufficio di presidenza per decidere l'isolamento definitivo dei dissidenti. Le parole pronunciate da Silvio Berlusconi non lasciano spazio a equivoci: "Facciano pure i gruppi autonomi tanto sono fuori". Non solo. Dal Cavaliere arriva un attacco durissimo alla terza carica dello Stato: "Allo stato viene meno la fiducia nei confronti del ruolo di garanzia del presidente della Camera indicato dalla maggioranza uscita vittoriosa dalle elezioni". E alla domanda se debba lasciare il suo incarico il capo del governo ha risposto: "Riteniamo che siano i membri del Parlammento a dover assumere un'iniziativa al riguardo".

Commentando il testo uscito dall'ufficio di presidenza, nel quale si dice che "le posizioni dell'onorevole Fini sono assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con l'attività politica del partito", Berlusconi ostenta sicurezza: "Non c'è problema per il governo, ,a la maggioranza non è a rischio, e i nostri elettori non tollerano più che nei confronti del governo ci sia un atteggiamento di opposizione permanente. Non sono più disposto ad accettare il dissenso, un vero partito nel partito. Vogliono fare il gruppo? Facciano quello che vogliono, sono fuori".

Per quanto riguarda i ministri vicini al presidente della Camera, il Cavaliere dice di "non avere difficoltà a continuare una collaborazione con validi ministri".

Intanto, sul piano formale, il verdetto dell'Ufficio di Presidenza prevede anche una sanzione diretta contro tre tra i deputati più vicini al Presidente della Camera. Bocchino, Granata e Briguglio sono stati deferiti ai probiviri. Anche se a questo punto pare difficile che il meccanismo innescato non porti ad una scissione che renderebbe di fatto inutile la decisione.

Il documento. Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio saranno deferiti al collegio dei probiviri. Ma è il vero bersaglio del documento è il presidente della Camera. Le sue posizioni sono ritenute "incompatibili con i principi ispiratori del Pdl". Stando al documento approvato dall'Ufficio di Presidenza, "si pone il problema della presidenza della Camera" perché viene meno "anche la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di Presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni".

IL DOCUMENTO DELL'UFFICIO POLITICO PDL

Nel testo di Palazzo Grazioli si fa riferimento alla "volontà degli elettori" e si attacca duramente "l'uso politico della giustizia" e "il ruolo politico assunto da Fini". Che in sostanza viene accusato di essersi ritagliato un profilo di opposizione all'esecutivo, con uno "stillicidio continuo" e sistematico, attraverso una "critica demolitoria alle decisioni prese dal partito".

La giornata. Le ore della resa dei conti nella maggioranza si era aperta con il rifiuto dell'ultima mediazione. "L'offerta di tregua di Gianfranco Fini è arrivata troppo tardi, fuori tempo massimo". Così, nel vertice notturno di palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi e gli altri partecipanti alla riunione (compreso Giuliano Ferrara) avevano declinato l'invito del Presidente della Camera a "resettare tutto senza risentimenti".

Clima teso. "Che succederà oggi? Guardate le previsioni del tempo. Si annuncia una perturbazione..." E' la profezia di Ignazio La Russa, che già dalla mattina fotografa la giornata tormentata del centrodestra. Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, mette in guardia dal pericolo "di uno scontro istituzionale" e invita ad abbassare i toni. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno si spinge più in là affermando di sperare "nel miracolo". Miracolo a parte, una delle prove evidenti dello stato di tensione tra il Cavaliere e Fini è il reciproco ignorarsi durante il voto finale sulla manovra alla Camera. Tra il premier, presente sui banchi del governo, e il presidente della assemblea, neanche un saluto e nemmeno uno sguardo.

La stesura del documento. Tutta la giornata si consuma nell'attesa dell'ufficio di presidenza. E sulla formula dell'eventuale "scomunica" a Gianfranco Fini e ai finiani. Non "più politicamente vicini al partito", questo il passaggio chiave al centro del documento alla cui stesura ha lavorato per tutto il pomeriggio lo stato maggiore del Pdl, riunitosi a Palazzo Grazioli. Alla redazione del testo lavora in particolare Sandro Bondi, uno dei più polemici con Fini nelle ultime settimane. E' un documento che subisce revisioni e limature durante tutta giornata. Messa da parte l'ipotesi espulsione, la sanzione più probabile per i dissidenti, sembra la "sospensione" da tre a sei mesi.

Le mosse dei finiani. Quando diventa chiaro che le due anime del Pdl sono sempre più lontane anche i finiani non stanno con le mani in mano. Già dalla mattina si intensificano i contatti tra il Presidente della Camera e i suoi fedelissimi. Il tam tam del pomeriggio parla di 34 deputati vicini all'ex An pronti a firmare la richiesta di costituzione di un nuovo gruppo parlamentare alla Camera. Richiesta che verrebbe depositata nel momento in cui dovesse scattare il provvedimento di espulsione o di sospensione.

Gruppi autonomi. Con il passare del tempo si fa strada la possibilità di costituire un gruppo autonomo anche al Senato. Gli incontri del Presidente della Camera parlano di 12 senatori, due in più del numero minimo per formare un gruppo a Palazzo Madama. "Non è una guerra di religione", dichiara uno dei partecipanti all'incontro, "Fini ha esposto le sue motivazioni in modo pacato, sereno, equilibrato e ponderato".

Ipotesi appoggio esterno. Dopo il voto sulla manovra economica il presidente della Camera riunisce a Montecitorio i parlamentari vicini alla sua linea politica. Un incontro che dura quasi due ore. L'attesa è per l'ufficio politico e per le contromosse nel caso in cui stasera si arrivi a una rottura definitiva. Tra le ipotesi in campo anche quella di ritirare dal governo gli esponenti vicini alle posizioni del presidente della Camera, per dare all'esecutivo un appoggio esterno. Lealtà al governo anche in caso di gruppi parlamentari autonomi è quello che ripete ai suoi fedelissimi il Presidente della Camera.

Bersani: "Pronti a tutto". Nella giornata caldissima della maggioranza l'opposizione non poteva che aspettare alla finestra."Siamo oltre le colonne d'Ercole del berlusconismo, in acque sconosciute" ribadisce, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani . "A questo punto o fanno un ragionamento su una nuova fase di transizione, o scelgono di galleggiare, o strappano e non si sa dove si va. Mi auguro riflettano". Elezioni anticipate? "Non è un cosa nelle nostre disponibilità o nelle nostre intenzioni".

Poi, a ufficio politico del Pdl concluso, bersani dirà che è "un singolare tribunale che processa gli innocenti". Bersani ha salutato i deputati del Pd alla Camera, prima della pausa estiva, brindando: "A un nuovo governo". Nel frattempo il presidente della Camera ha riunito alcuni dei parlamentari a lui vicini. Sono giunti nel suo studio, Roberto Menia, Ida Germontani, Enzo Raisi e Flavia Perina.

Fonte: Repubblica