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In seguito alle oservazioni di Don Giovanni, Sebastiano Veniero fece qualcosa per migliorare lo stato delle proprie galee e specialmente di quelle giunte da Candia in disordine. Alla fine, accettò anche, se pur malvolentieri, di imbarcare truppe italiane e spagnole per rinforzare il numero di quelle venete, che era veramente un pò scarso. Con tutto ciò, alla partenza di Messina, i soldati imbarcati su ogni galea veneziana non superavano in media il numero di cento.
Questi contrasti sullo stato e sull'armamento delle galee fornite alla Lega di Venezia finirono per rendere poco cordiali a Messina i rapporti tra Spagnoli e Veneti e a creare fra loro spiacevoli screzi, che culminarono venti giorni dopo, nel porto di Gomenizza, in un increscioso incidente a bordo di una galea veneziana (ndr: alcuni dei soldati veneziani rimasero uccisi e Sebastiano Veniero per ristabilire l'ordine e la disciplina, dopo un giudizio sommario, fece impiccare un capitano e tre soldati spagnoli). I rapporti tra Veniero e Don Giovanni ne vennero a soffrire, tanto che i due Capi evitarono di incontrarsi da quel giorno fino a dopo la vittoria di Lepanto.
La partena della flotta da Messina venne confermata per il 16 settembre dopo che furono arrivate le prime informazioni sulla forza e sulla dislocazione della flotta ottomana. Si venne infatti a sapere che essa era tutta riunita nella importante base navale di Lepanto (golfo di Corinto) e che era costituita di un numero di galee di poco superiore a quello della flotta cristiana, ma di dimensioni e potenza minori. Queste notizie rafforzarono in Don Giovanni e nei Capi italiani la decisione di muovere senza ritardo incontro al nemico; e infatti, la mattina del 16 settembre, tutta la flotta cristiana uscì dal porto di Messina, defilando a breve distanza da un brigantino, dal quale, all'estremità del molo foraneo, Mons. Odescalchi impartiva solennemente la benedizione papale a tutte le unità, man mano che passavano. Le galee rispondevano, con gli equipaggi inginocchiati, ammainando i pennoni, in segno di omaggio devoto.
Prima di partire da Messina, ogni comandante di galea ricevette dal Comandante in capo un memorandum con le disposizioni per la navigazione e per il combattimento. Secondo una norma molto saggia, si evitò di riunire le galee in gruppi a seconda della loro nazionalità, si rinunciò cioè a suddividere le 208 galee della flotta in tre Squadre, una pontificia, una spagnola e una veneziana, e si preferì ripartire la formazione di combattimento in cinque gruppi: un'ala sinistra, un corpo centrale e un'ala destra, oltre a una avanguardia e a un corpo di riserva. In ognuno di questi cinque gruppi, le galee delle varie nazionalità erano mischiate tra loro, in modo da evitare possibili rivalità nazionalistiche ed eventuali manifestazioni di indipendenza o addirittura di abbandono del campo, come si era verificato qualche volta, nel passato.
L'avanguardia, al comando di Don Juan de Cardona fiu quindi composta da otto galee, quattro di Sicilia e quattro di Venezia; esse, in caso di incontro col nemico, dovevano ripiegare sul grosso e disporsi tra il gruppo centrale e l'ala destra della flotta.
L'ala sinistra, al comando di Agostino Barbarigo, era formata da 52 galee, distinte da un guidone (bandierina triangolare) giallo; 41 di esse erano veneziane, 7 di Napoli, 3 di assentisti genovesi, e una del Papa.
Il gruppo centrale, al comando diretto di Don Giovanni, era costituito da 64 galee, distinte da un guidone blu in testa d'albero: 27 erano veneziane, 9 spagnole, 4 di Napoli, 7 del Papa, 6 di G. A. Doria, 3 di Malta, una di Savoia, 5 di Genova e 2 di assentisti genovesi.
L'ala destra, al comando di Gian Andrea Doria, era composta di 52 galee, che portavano un guidone verde in testa d'albero e delle quali 25 erano veneziane, 6 di Napoli, 5 di Sicilia, 5 del Doria, 2 di Savoia, 2 pontificie, una di Genova e 5 di assentisti genovesi.
Infine il corpo di riserva, al comando del marchese di Santa Cruz e distinto da un guidone bianco, contava 31 galee, di cui 12 di Napoli, 2 di Sicilia, 3 spagnole, 11 veneziane e 3 del Papa.
La galea Reale, dove era Don Giovanni, e le galee Capitane dei vari gruppi portavano in testa d'albero, in luogo delle bandierine distintive, lunghe fiamme dello stesso colore. Le sei galeazze veneziane, al comando di Francesco Duodo, non avevano bisogno di ditintivi, date le loro maggiori dimensioni; esse navigavano in un gruppo autonomo fuori formazione, per approfittare di ogni favorevole occasione di spiegare le vele, data la loro scarsa mobilità con i remi. Spesso, se il vento era contrario e il mare agitato, bisognava incaricare qualche galea di prenderle a rimorchio.
Durante la navigazione, l'avanguardia precedeva il grosso di una trentina di miglia (ridotte a 10 durante la notte); seguivano, a circa 7 miglia di distanza l'una dall'altra, la Squadra verde del Doria (cioè l'ala destra della formazione di combattimento) la blu di Don Giovanni (il corpo centrale) e infine la gialla di Barbarigo (cioè l'ala sinistra). Ciascuna di queste tre Squadre navigava su quattro colonne parallele e, nella stessa formazione, seguiva, a sei miglia di distanza, il gruppo di riserva. Fuori formazione, e a più grande distanza, navigavano a vela (non avevano remi) le navi onerarie, che dovevano tenersi lontane dal campo di battaglia.
A tutti i comandanti erani state distribuite le norme generali per la navigazione, per le segnalazioni di giorno e di notte e per il combattimento. Tutto era stato previsto con ogni cura onde evitare equivoci e far tacere le animosità esistenti tra le varie nazionalità, che componevano la flotta. Era questo infatti il punto debole della Lega cristiana, e cioè la fatale mancanza di coesione spirituale in una massa così numerosa di bastimenti di diversa nazionalità, riuniti per la prima volta nell'imminenza dell'incontro col nemico.
La battaglia di Lepanto fu una battaglia consensuale, cioè voluta da ambedue le flotte, dato che tanto i turchi quanto i cristiani ritenevano di essere superiori di forze all'avversario; tuttavia, in pratica, lo scontro ebbe luogo di sorpresa poichè, dati gli insufficienti mezzi di esplorazione dell'epoca, nè da una parte nè dall'altra si sapeva con precisione dove era l'avversario. Avvenne così che quando, il mattino del 7 ottobre, al sorgere del sole, le due flotte, in assetto di navigazione, si avvistarono a poco più di 10 miglia di distanza fra loro, al largo di Punta Scropha, esse ne furono ambedue sorprese. Si affrettarono tuttavia subito a prepararsi per il combattimento; e don Giovanni fece alzare sulla galea reale, appoggiandola con un colpo di cannone, la grande bandiera bianca che ordinava alle sue unità di schierarsi al più presto in linea di fronte per la battaglia.
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