00 01/12/2009 17:03
Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, si schiera
"Questa legge danneggia i piu' poveri. Più fondi per la giustizia"
"Processo breve, un passo indietro
tutti i cittadini sono uguali"

di VLADIMIRO POLCHI


ROMA - "Sarà nostro compito vigilare affinché tutti i cittadini si rendano conto della posta in gioco e del rischio che vengano di fatto condonati reati lesivi dei diritti di tutti". Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: oltre 980mila iscritti, 4.500 circoli) è un moderato per eccellenza. Ma sulla riforma del processo breve il suo giudizio è radicale: "E' un grave passo indietro nel rispetto del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge".

L'intento, dichiarato, del disegno di legge è però solo quello d'accorciare i tempi dei processi.
"Sull'intento siamo tutti d'accordo. I guai della giustizia italiana li conosciamo bene e siamo i primi a voler tempi brevi e giusti. Ma qui si fa ben altro".

Cosa?
"Accelerare in corsa i tempi della prescrizione è pericolosissimo per la giustizia. Perché questo progetto va a colpire solo i cittadini più poveri che non hanno mezzi adeguati, mentre da sempre i potenti e la malavita organizzata hanno fatto dell'allungamento dei tempi dei processi e dell'utilizzo sofisticato delle tecniche processuali, il perno della loro strategia ai fini del raggiungimento della prescrizione. Insomma, siamo dinnanzi a un passo indietro nell'eguaglianza di tutti cittadini".

Le nuove norme varranno solo per alcuni reati. Vede in questo un'ulteriore discriminazione?
"Certo, si accelera la prescrizione per reati molto rilevanti come la corruzione, in un Paese come il nostro caratterizzato da un sistema di corruttela molto diffuso nella pubblica amministrazione: non è accettabile garantire ora una sorta di impunità. D'altro canto, attualmente si esclude dalla riforma il reato d'immigrazione clandestina, cadendo così nel ridicolo.

Ma bisogna stare molto attenti: l'opinione pubblica vede la problematicità dell'immigrazione, ma non dimentica certo la corruzione, la truffa-Parmalat, la tragedia della Thyssen. Anche per questo, le Acli sono preoccupate dello stato di salute della legalità in Italia".

Ci spieghi meglio.
"Non possiamo dimenticare lo scudo fiscale, con capitali consistenti che stanno rientrando dall'estero e con i loro titolari che mantengono l'anonimato. Proprio da noi, che siamo il Paese dei grandi capitali in mano alle mafie. La nostra preoccupazione cresce: ci vuole una riforma della giustizia, ma senza condoni di fatto".

Che tipo di riforma, allora?
"Più mezzi, più organici e più risorse. Chiediamo uno sforzo straordinario per la giustizia. Noi vogliamo avere più giustizia. Il governo invece fa il contrario: una riforma svincolata dagli investimenti significa infatti meno giustizia".

© Riproduzione riservata (26 novembre 2009)
Repubblica.it