00 10/02/2008 15:33
Berlusconi, Fini e Letta lo hanno chiamato era in treno per comunicargli la decisione
Dopo la rottura il leader centrista chiama il cardinale Ruini


Casini-Cdl, divorzio sull'Eurostar
"La lista unica? È una vigliaccata"


Fini: "Pier, a questo punto ti conviene andare da solo alle elezioni"

di CLAUDIO TITO

ROMA - "Lo sapete come si chiama questa cosa? Una vigliaccata, fatta alle mie spalle". Pier Ferdinando Casini è seduto sulla poltrona dell'Eurostar che lo sta portando a Bologna. Con lui c'è la moglie Azzurra. L'appuntamento è inderogabile: un'ecografia per controllare il "piccolo Casini" che nascerà tra pochi mesi. Gli squilla il telefonino e dall'altra parte c'è Gianni Letta. Accanto a lui ci sono Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Paolo Bonaiuti. Letta attiva il vivavoce e il colloquio, dopo i primi convenevoli, si infiamma in un istante. "Stiamo qui con Silvio e Gianfranco - gli dice l'ex sottosegretario alla presidenza del consiglio - e ti volevamo dire che la lista unica si fa. Pensiamo che debba farne parte pure tu. Non ci sono motivi perché tu non aderisca. Il Pdl è nei fatti e tu sei il benvenuto. Ma sappi che se non ci stai, noi andiamo avanti lo stesso". Qualche secondo di silenzio. Anche nella sala di Palazzo Grazioli sale la tensione. Poi, incredulo, il leader dell'Udc risponde: "Ma come? Io sto qui in treno, voi state lì tutti insieme e mi dite che sta nascendo un nuovo partito. Oltre al fatto che mi sembra un'idea bislacca, vi pare questo il modo di fare? Mi annunciate un'operazione di questo tipo tra una galleria e l'altra? E dovrei pure accettare? No, questa è una vigliaccata. È un complotto bello e buono".

Ecco, la fine della Cdl si consuma proprio così. Sui binari della Roma-Bologna. Con l'ex presidente della Camera che non riesce a nascondere la rabbia e con Berlusconi, algido, che non spende una parola per tentare di ricucire. Nemmeno una sillaba. Eloquenti solo gli sguardi rivolti a "Gianni e Gianfranco". "Io - sbotta il capo dei centristi - fino a ieri non avevo il minimo sentore di questo disegno. E ora venite a dirmi "o dentro o fuori"". Ci prova ancora Fini a convincerlo.

Ma non c'è niente da fare. Tanto che alla fine il presidente di An gli dà persino un consiglio che a Casini non appare disinteressato: "A questo punto ti conviene andare da solo". La stessa frase con cui, un paio d'ore prima, si era conclusa un'altra telefonata sempre tra Fini e Casini. Un breve colloquio nel quale il leader di Via della Scrofa avvertiva che sarebbe andato a Palazzo Grazioli a chiudere l'intesa. "Sì, è vero. A questo punto mi conviene andare da solo", replica seccato il numero uno dell'Udc. E clik, attacca il telefono.

Da quel momento nessun contatto. Il treno nel frattempo arriva Bologna. E, rispettato l'appuntamento con l'ecografista, il capo centrista cerca di smaltire la botta. Prima di pranzare nello storico ristorante "Diana", la sua prima telefonata è per monsignor Camillo Ruini, vicario di Roma e punto di riferimento della Cei. Dal prelato qualche rassicurazione la ottiene.

Il cardinale gli dice che non condivide l'"umiliazione" dell'Udc. Soprattutto gli conferma che la Chiesa considera "insopportabile" che in entrambi gli schieramenti i cattolici diventino irrilevanti. Una preoccupazione così grande che lo stesso ragionamento se l'è sentito fare anche Berlusconi. Che, però, non ne vuol più sapere degli ex Dc. "Se ne vadano per conto loro - sibila con un sorriso ai suoi - e vediamo che combinano. Verranno cancellati. Io, invece, ho sempre avuto ragione. Ho avuto ragione sul Partito delle libertà, ho avuto ragione sulla crisi di governo e ho avuto ragione sulle elezioni anticipate". Frasi taglienti, che prendono forza dopo aver letto gli ultimi sondaggi: "Possiamo fare a meno di loro". Gli stessi sondaggi che vedono An oscillare tra l'8 e il 10%. E che, per il Cavaliere, dovrebbero suggerire "un pranzo di riappacificazione tra Fini e Storace".

Casini a questo punto si chiede come replicare all'affronto degli ex alleati. Come rimediare all'immagine di "espulsi" dalla coalizione. "Io non recedo - ripete - le condizioni per stare insieme non cambiano". Ossia, i centristi vogliono il loro simbolo. "Altrimenti andremo per conto nostro. Gli accordi si fanno se c'è rispetto e autonomia. E non sono tacitabile con una poltrona. Non posso far finta che le mie idee non esistano". Ma "per conto nostro" con chi?

Per ora niente è definitivo. All'Udc stanno valutando di riallacciare un dialogo con la "Rosa Bianca" di Tabacci e Pezzotta. Anche Antonio Di Pietro. La perlustrazione non potrà che essere a 360 gradi. "Di certo sarò candidato con una lista che farà una scelta diversa rispetto a quella fatta da Berlusconi e Fini".

Certo, forse la partita non è definitivamente chiusa. In agenda non c'è ancora un faccia a faccia tra "Silvio e Pier". Ma dentro Forza Italia è partita una "micro-offensiva" diplomatica. "Si può trovare una soluzione tecnica", dice Bonaiuti. Ma anche a Via del Plebiscito, la preoccupazione principale - in particolare dopo i segnali giunti dal Vicariato - adesso è quella di non passare come i responsabili della frattura. E di far ricadere sui centristi la scelta di correre da soli. Anche se, è la stoccata di Marco Follini, "dopo aver servito gli interessi di Berlusconi nel momento cruciale, per Casini ergersi ora a campione della lotta di liberazione mi sembra una fantasia improbabile. Le giravolte, prima o poi, si pagano".


(9 febbraio 2008)
Repubblica.it