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Processi per stregoneria
Matteuccia
Il 20 marzo del 1428 venne bruciata come strega Matteuccia di Francesco abitante a Ripabianca presso Deruta. Nella lunga sentenza fatta redigere dal capitano Lorenzo de Surdis compaiono filastrocche contro gli spiriti e il dolor di corpo, fatte confessare con ripetute torture, durante le quali si teneva l’interrogatorio.

Ad un tratto, nelle confessioni di questa strega paesana, affiora un frammento estraneo: dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, Matteuccia invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e, tramutato in mosca, veloce come il fulmine, la portava al noce di Benevento dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero maggiore. La povera Matteuccia riferì anche la formula che faceva volare:
“Unguento, unguento,

mandame a la

noce di Benivento

supra acqua et supra ad vento

et supra ad omne maltempo”.

Nel caso di Todi avvertiamo l’eco delle parole di Bernardino: per due volte la sentenza sottolinea che Matteuccia aveva praticato i suoi incantesimi, prima che egli predicasse a Todi, nel 1426. È probabile che le prediche di San Bernardino suggerissero al giudice il contenuto delle domande da porre ai futuri imputati di stregoneria.

Mariana di San Sisto
Il nome di Benevento viene fatto in uno solo dei processi esaminati dal Nicolini e precisamente in quello del 1456 a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi col rogo.

Ella viene accusata di andare con una sua compagna «ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant»[2].

Mariana è accusata di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di Paolo Giacomo, detto Barbiere, e di Flora Schiavo. Condannata a pagare in prima istanza una multa di 1300 danari nel termine di dieci giorni, ella risultò insolvente e per questo fu condannata «ad essere bruciata col fuoco in modo tale che muoia».
Bellezza Orsini e Faustina Orsi
In due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma nel XVI secolo, raccolti da Bertolotti nel 1883, durante gli interrogatori salta fuori il nome di Benevento e le danze sotto al noce . Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini , accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe e fabbricava medicine. Un giovane in cura presso di lei morì in seguito a malattia, ma i parenti del morto accusarono Bellezza d'averlo stregato e ucciso. Accanto a questa denuncia se ne raccolgono anche altre. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a numerosi interrogatori con tortura, durante i quali ella «confessò» fra le altre cose: «Andamo alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro».

E più avanti ribadisce: «E andamo alla noce de Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova [gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare [stregare] e far male ad qualcheduno…».

Inoltre riporta la formula per volare: «Unguento, unguento, portace alla noce di Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo».

Stremata dalle torture la povera Bellezza Orsini si suiciderà in carcere, colpendosi più volte la gola con un chiodo. Sfuggirà così al rogo.

Secondo Bellezza la riunione a Benevento si teneva ogni tre anni.

Il secondo processo è datato al 1552 ed è a carico di Faustina Orsi , accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi farmaci. Anche ella confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha ottanta anni e ripete il solito incantesimo: «Unguento mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce del Benevento». Qui con altre quattro o sei donne balla e canta; racconta di esservi stata trenta o quaranta volte in tutta la vita, ma che manca alle riunioni da due anni perché si è pentita. Nella sua confessione manca l'abbondanza di particolari fornita da Bellezza, ma ella è bruciata ugualmente come strega[3].



Abele De Blasio ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel difficile decennio che precedette la presa di Roma .

Nell’immaginario popolare, il nome di Benevento ancora oggi è legato alla leggenda. A Navelli, paese in provincia dell’Aquila , famoso perché vi si produce lo zafferano, si narra la leggenda della donna gatto. Essa è la regina delle streghe ed è soprannominata Chicchera, cioè cresta di gallo. La donna gatto si reca al convegno di Benevento recitando la formula “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento”. Ferita ad una zampa con un coltello, mentre sotto forma di gatto cerca di fare malefici, è riconosciuta dalla gente del paese, perché quando riprende la forma umana ha ancora il coltello nella coscia.