00 22/07/2007 16:29
Voce da nera in corpo da pin-up efebica, lascia tiepidi i critici ma con i suoi ultimi album convince sempre di più la generazione Mtv


ANDREA SCANZI
LUCCA

La ragazza, pelle bianchissima e tatuaggio fin troppo visibile sulla caviglia destra, sale sul palco per non restarci che 60, 65 minuti: un po' pochi, per il prezzo di biglietto (32 euro). Alle spalle ha un'età acerba (20 anni), ma già tre dischi di vasto successo. Inglese del Devon, dove è nata nel 1987, Joss Stone (all'anagrafe Jocelyn Eve Stoker) ha fatto anticipatamente gridare al miracolo quando, quattordicenne, sbaragliò il programma Bbc Star for a Night con cover di Aretha Frankin e Whitney Houston.

Voce da nera in corpo da pin-up efebica, capelli ieri biondi e oggi rosso mogano, vestito celeste leggero per sfuggire all'afa spietata di Piazza Napoleone (consueto e amabile contesto del Summer Festival), Joss Stone è fugacemente gravitata a Lucca per la sua unica data italiana. Come sempre ha cantato e ballato scalza (paura di cadere dai tacchi: uno dei suoi talloni d'Achille, insieme alla dislessia).

Pubblico affettuoso, ma non delle grandi occasioni. Spettacolo piacevole, breve, una decina di canzoni - troppo simili tra loro - attinte da The Soul Sessions (2003), Mind Body & Soul (2004) e il recente Introducing Joss Stone (2007). L'unico bis è stato Right To Be Wrong, in Italia il suo brano più noto.

La parabola di Joss Stone è fortemente paradigmatica. Carina, acerbamente affascinante, alcune marche di abbigliamento l'hanno scritturata come testimonial (una, la Gap, in sostituzione di Sarah Jessica Parker). Ha il viso di una Bridget Jones con meno problemi di linea, l'ugola è quella di chi - benedetta da un talento non comune - deve sempre ostentare il timbro, la corda vocale, il gorgheggio a uso e consumo della generazione Mtv. Nel suo disco d'esordio, protetta da musicisti navigati e scafati (di fatto il Miami sound degli '80), era riuscita a canalizzare voce e incoscienza, inanellando interpretazioni d'autore: Harlan Howard, Laura Lee, John Ellison, perfino i «deviati» White Stripes e l'inarrivabile Aretha Franklin.

A quel punto, per Joss Stone come per tutti, il bivio: cosa fare da grande? L'eroina del new soul, un'artista capace di svincolarsi dalle logiche di mercato, oppure un'altra ugola d'allevamento, docilmente canalizzata e irreggimentata in un genere iper-commerciale che, non senza una certa generosità, potremmo definire (blando) rhythm'n'blues? Sintetizzando: nuova Aretha Franklin (con rispetto parlando) o ennesima Alicia Keys? Secondo e terzo disco hanno fatto pendere la bilancia verso la voglia di vendere, più che di convincere. La critica se ne duole, il mercato no. E neppure Brad Pitt, che ha fatto sapere di rilassarsi con la moglie Angelina Jolie proprio con le canzoni di Joss Stone, trasferitasi nel frattempo alle Bahamas.

Lei, tra il bamboleggiante e il fatalone, dimostra di non temere il palcoscenico; che la voce, senz'altro, c'è (anche troppo); che, se volesse, potrebbe volare in alto. Per ora, la velocità è da crociera e dai finestrini il panorama non offre scorci mozzafiato.

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