Lo stesso Rasmussen, che ha ammesso di aver mentito alla UCI, rischia ora 2 anni di stop. "Ha corso il Tour de France, lo avrebbe vinto, anzi stravinto, se solo i suoi capi non glielo avessero impedito spedendolo a casa quando era in maglia gialla, tacciandolo di baro e subito licenziandolo. Ma in realtà quel Tour de France Michael Rasmussen non avrebbe dovuto neppure cominciarlo.
Si è espressa così Vogelzang, la Commissione Indipendente, chiamata, dal team Rabobank, ad indagare sulla vicenda del corridore danese, l'uomo classifica Rabobank all'ultimo Tour de France, divenuto però per il team olandese l'uomo della vergogna.
Rasmussen, che ha ammesso nei giorni scorsi di aver a suo tempo, ovvero nel periodo antecedente al Tour, mentito alla UCI sulla propria reperibilità, lo ha fatto, così dice Vogelzang, per sottrarsi ai controlli antidoping a sorpresa, non era infatti in Messico, come aveva detto alla UCI, ma in Italia, a far la gamba sulle Dolomiti.
Vogelzang muove seri rimproveri, però anche all'allora team manager Rabobank De Rooy, che dal 16 agosto 2007 ha raggiunto Rasmussen nell'universo sempre più affollato dei disoccupati, o scaricati che dir si voglia, del pedale. De Rooy che non si è mai accorto delle continue nefandezze di Rasmussen, De Rooy che non si è mai preoccupato di avvertire i suoi vertici che questo Rasmussen, prima del Tour, gli aveva chiesto via mail, di non andare in ritiro con la squadra sui Pirenei, preferendo restarsene tranquillo, in Italia. O meglio in Messico, secondo quanto ne sapeva la UCI. Il gioco dello scaricabarile è dunque costato il posto a De Rooy, rischia di costare il proseguo di carriera a Rasmussen, uno che nell'estate 2009, scontati i probabili 2 anni di stop, avrà 35 anni suonati.
La Rabobank prosegue invece il suo impegno nel ciclismo; la lotta al doping nel ciclismo prosegue invece secondo il suo iter classico: paga sempre e solo il corridore. Paga perché viola le regole del gioco, perché non fa i nomi di chi gli regge il gioco. Ma se li fa, sa che nel ciclismo non troverà più posto, nemmeno con il più umile degli incarichi. La catena da spezzare, più che quella di Rasmussen, è proprio questa. Ma chi governa il ciclismo, impegnato a lucidare la sua poltrona, non ha tempo per afferrare le tenaglie.
Fabio Panchetti / Eurosport
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