00 18/11/2005 15:58
Nelle pagine del fumetto il futuro di fantasia così come lo ha tratteggiato Shirow Masamune ci appare, fra un intrigo internazionale e l'altro, indubbiamente decadente per quanto concerne il genere umano tutto.
Con una trama che introduce la minaccia di un gruppo terroristico ed un fantomatico rapporto H-88 sul quale indagare, anche il titolo G-Artists in analisi vorrebbe appropriarsi concettualmente di questa particolare atmosfera cyberpunk.
Eppure, in “Ghost in The Shell Stand Alone Complex”, non tutto funziona come dovrebbe.
Da una parte, infatti, esso riproduce l'aspetto fisico dei componenti della “Sezione 9” con sufficiente perizia e rispetto della fonte originaria, dall'altra fatica e fallisce nel palesare esteticamente al meglio l'aura postmoderna che funge da indiscussa forza motrice di anime e manga di riferimento.









I membri della special force appena chiamati in causa sono chiaramente i volti noti del brand e ben rappresentano quel dualismo che intercorre, in questo ipotetico terzo decennio del 2000, fra stirpe d'Adamo ed una scienza oramai degenerata.
Così la sensuale maggiore Motoko Kasunagi preserva il suo cervello umano in un gran bel corpo cyborg, mentre l'energumeno Batou deve parte della sua forza fisica alle componenti meccaniche innestategli.
Saito dal canto suo possiede un occhio robotico (il che spiega l'assoluta affinità con i fucili di precisione) e lo stesso Togusa non è alieno ad impianti cibernetici per così dire standard. Non manca all'appello neppure l'anziano Aramaki, il quale però (al contrario dei quattro summenzionati) non verrà direttamente controllato nelle sparatorie singleplayer (egli è comunque presente all'interno della modalità multigiocatore, la quale garantisce combattimenti a squadre e deathmatch tutti contro tutti).

Ciononostante, nel concreto, ambienti di gioco spogli e nemici poco particolareggiati prendono negativamente la supremazia sugli aspetti positivi riscontrabili.
Né risulta migliore di quello visivo il reparto acustico dove, in verità, il parlato anglosassone sarebbe anche accettabile se non discreto (benché la “recitazione” dei Tachikoma possa potenzialmente irritare i più). Il vero problema risiede nel semplice ma doloroso fatto che quanto i personaggi si dicono sia del tutto privo di interesse (complice senz'altro la piattezza della narrazione) e che le esigue tracce musicali si ripetono costantemente nel loro anonimato.
Tutto questo comunque (ed al novero aggiungiamo i filmati a dir poco invasivi, spesso poco dinamici e privi di creatività scenica) non basterebbe da solo a decretare un'insufficienza totale.









Difatti è nella struttura di gioco, ancor più che nel reparto audiovisivo, che le sempre più pretenziose e giustificate richieste dell'utenza non vengono qui soddisfatte.
Come accennato, il gioco concede di vestire i panni di quattro protagonisti; uno solo, tuttavia, scenderà in campo e questi andrà scelto prima delle singole missioni. Completare quest'ultime con tutto il quartetto, dunque rigiocarle per quattro volte, dà evidenza a due cose: la prima rivela che i Nostri non sono poi tanto differenziati ludicamente, la seconda che cimentarsi nel completamento totale del gioco non è esattamente il massimo del divertimento.

Per il resto, e non è un resto piacevole, i principali deficit si riscontrano nell'IA insoddisfacente dei nemici, nell'eccessiva linearità delle aree esplorabili (o meglio, percorribili) e nei fallimentari tentativi di variegare l'esperienza di gioco. E' dire che sulla mera azione “blastatoria” è incentrato maggiormente il concept di gioco, laddove pur con la presenza di svariati diversivi (bombe da disinnescare, countdown di contorno, carri-armati ed elicotteri da abbattere, computer da analizzare, personaggi da scortare e/o accompagnare, ostaggi da salvare che sembrano non rischiare nulla, civili da non ferire per i quali vale lo stesso ed abbozzate sessioni stealth) l'impressione è che nessuno di essi lasci il segno. Dando accezione negativa ad un termine che non la merita (e che dovrebbe far scaturire invece un moto di rispetto), qualcuno definirebbe il presente FPS come “arcade”.
Chi scrive si limita a sottolineare la facilità di fondo riscontrata nell'incamminarsi all'epilogo, lo sterminio meccanico di chi si oppone virtualmente a questa marcia e ben pochi meriti da citare. Fra i pregi trovano luogo l'armamentario (sufficientemente ampio) e la personalizzazione dei Tachikoma (mech aracnoidi di media grandezza che faranno da spalla ai protagonisti e che saranno, volendolo, anche utilizzabili; parte degli equipaggiamenti difensivi ed offensivi di quest'ultimi, inoltre, sono disseminati qua e là per i vari livelli sotto forma di segreti custoditi da piccoli robot).

In ultima istanza, da giocatori, non ci si può che definire delusi da questo passo falso firmato G-Artists (distribuito in Giappone da Sony, portato in America da Bandai e giunto per mezzo di Atari nel vecchio continente).
Lo stesso episodio interattivo di Ghost in The Shell apparso non troppi mesi fa su Playstation 2 (omonimo a questo ma diverso in tutto a partire dal genere interpretato) era di tutt'altra pasta rispetto a questo shooter in soggettiva. Si rimane insomma contrariati dalla mancata efficienza raggiunta dall'UMD in questione sul quale gravano, peraltro, dei caricamenti fin troppo continui ed una mancata traduzione italiana, invero indispensabile almeno nei testi a schermo, per quanti non trattino con la lingua d'Inghilterra (pertanto quest'ultimo non è da considerarsi certo come un difetto quanto semmai come un limite per alcuni utenti alla fruizione dell'esperienza).