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GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)

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    00 25/09/2005 13:41
    Sera d’ottobre

    Lungo la strada vedi su la siepe
    ridere a mazzi le vermiglie bacche:
    nei campi arati tornano al presepe
    tarde le vacche.

    Vien per la strada un povero che il lento
    passo tra foglie stridule trascina:
    nei campi intuona una fanciulla al vento:
    Fiore di spina!…
    (Giovanni Pascoli)
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    neve67
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    00 25/09/2005 13:42
    Mare

    M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
    vanno le stelle, tremolano l’onde.
    Vedo stelle passare, onde passare:
    un guizzo chiama, un palpito risponde.

    Ecco sospira l’acqua, alita il vento:
    sul mare è apparso un bel ponte d’argento.

    Ponte gettato sui laghi sereni,
    per chi dunque sei fatto e dove meni?
    (Giovanni Pascoli)
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    neve67
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    ADMIN UNICO

    SUPERSUPREMO
    00 25/09/2005 13:45
    GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)




    Verso il 1880 in Italia ci furono degli anni piuttosto "caldi" e movimentati: frequenti erano le manifestazioni di piazza di anarchici e socialisti per protestare contro le dure condizioni di vita dei lavoratori, e spesso scoppiavano tafferugli. Nel 1878 a Bologna durante una di queste manifestazioni venne arrestato un giovane studente che non aveva fatto in tempo a scappare. Egli rimase per ben tre mesi in carcere in attesa del processo, con l'accusa di "partecipazione a manifestazione sediziosa e resistenza alla forza pubblica". Al processo, però, il giovane fu assolto con formula piena. I giudici tennero in massimo conto quanto dichiarò un testimone d'eccezione, il grandissimo poeta Giosuè Carducci, di cui l'imputato era l'alunno preferito. Certo, lo studente Giovanni Pascoli senz'altro aveva partecipato al corteo, ma era del tutto impossibile che avesse commesso azioni violente. Chi lo conosceva in profondità sapeva che quel ragazzo pallido e dall'aria sognante era la personificazione stessa della mitezza e provava uno spontaneo orrore per la violenza, poiché proprio della violenza era stato vittima innocente.
    La tragedia che aveva sconvolto la sua esistenza aveva avuto luogo in una sera d'agosto del 1867, quando Giovanni era ancora un bimbo di dodici anni. Fino ad allora la vita della famiglia Pascoli era trascorsa felicemente nella grande fattoria di San Mauro di Romagna. Genitori e figli erano profondamente legati da un grande affetto, e in questo ambiente armonioso e sereno crescevano sani ben otto ragazzi. Indimenticabili furono quei momenti per Giovanni, indimenticabili la vecchia casa tra gli alberi, il cortile e la grande cucina dove ci si riuniva a tavola o accanto al fuoco. Il padre era l'amministratore della tenuta, e la famiglia viveva anche in una certa agiatezza economica. Ma in quella sera d'agosto quel bellissimo mondo armonioso di affetti era stato spazzato via brutalmente: un assassino, che rimase per sempre sconosciuto e quindi impunito, aveva ucciso il padre del Pascoli sparandogli a bruciapelo. Quel delitto sembrava tanto più feroce perché colpiva un uomo giusto e mite, stimato da tutti. Seguì a questo episodio una catena di lutti. Dopo meno di un anno morì la madre, disfatta dal dolore, poi una sorella, poi altri fratelli. La famiglia si era decimata e la miseria incombeva sui superstiti.
    Molto sensibile, malinconico e pessimista, in un primo momento il Pascoli non era stato capace di reagire: chiuso nel suo dolore viveva nel rimpianto di una felicità perduta per sempre. Aveva continuato i suoi studi a costo di incredibili sacrifici, e per la sua intelligenza era divenuto il prediletto di tutti i suoi maestri, che gli profetizzavano un brillante avvenire. Ma neppure gli incoraggiamenti più autorevoli riuscivano a fargli guardare al futuro con un po' di speranza in più. Dentro di sé coltivava il culto del passato: le immagini dei suoi cari ormai scomparsi, della sua casa, della sua terra e di quelle mille piccole cose che avevano costituito il mondo della sua infanzia. In questa prospettiva anche i fatti e gli oggetti più comuni assumevano così una dimensione inconsueta: quel particolare giorno di sole, o quel fiore colto nel campo, o quel canto di uccelli ascoltato a sera prima che la mamma chiamasse per cena. L'amore e il dolore gli facevano riscoprire e apprezzare tutto ciò che agli occhi degli altri può apparire insignificante.
    Il giovane Pascoli ebbe qualche slancio di entusiasmo solo durante i primi anni di Università, quando gli ideali umanitari del socialismo lo portarono a credere nella possibilità di una "fratellanza universale" di tutti gli oppressi: fu allora che il gelo della sua solitudine sembrò disciogliersi nel calore della lotta comune. Ma ben presto, disgustato dalle intemperanze di tanti irresponsabili e provato dall'amara esperienza del carcere, tornò al suo solito isolamento. Si sentiva segnato dal dolore e vittima di un'oscura persecuzione del destino alla quale era inutile opporsi. Però pian piano questo terribile pessimismo andò attenuandosi: diventando uomo, era la vita stessa che lo spingeva ad andare avanti. Dovette lavorare, provvedere a se stesso e agli altri familiari, insomma agire, fare qualcosa, pur senza rinnegare la sua indole di solitario e sognatore.
    Nel 1882 si laureò in lettere e iniziò ad insegnare, senza ambizioni di carriera, mirando solo a procurarsi da vivere nel modo più silenzioso. Così si trovò a percorrere tutti i gradini della sua professione, fino a ricoprire, nel 1906, l'incarico più prestigioso: quello di professore ordinario di letteratura italiana all'Università di Bologna, succedendo al suo antico maestro Giosuè Carducci.
    Quest'uomo timido e mite, oltre che grande poeta, fu uno studioso di grande valore. La sua conoscenza delle letterature classiche era eccezionale, e il riconoscimento della sua autorità in materia avvenne tramite i premi vinti al "Concorso internazionale" di Amsterdam, una gara annuale tra cultori di lingua latina di tutto il mondo, che sottopone al giudizio di una giuria di altissimo livello composizioni poetiche in lingua latina. Tale "olimpiade ideale" con cui si intende rendere omaggio a una grande civiltà del passato si svolge ancora oggi. Pascoli vi riportò il massimo numero di primi premi mai aggiudicati a uno stesso concorrente, rivelandosi il più grande poeta latino dei tempi moderni. Questi onori mai sollecitati lo resero meno timido della gloria e gli dettero una serenità che fino ad allora gli era mancata, anche se nella sua indole rimase sempre lo stesso "fanciullo dolente" di un tempo.

    Trascorse gli ultimi anni della sua vita tra Bologna e Castelvecchio di Barga, un piccolo paese toscano dove aveva comprato una villetta e una vigna. Non si sposò mai; fedele compagna della sua vita fu la sorella Maria, da lui affettuosamente chiamata Mariù, la sola che poteva condividere con lui dolori e ricordi. E nella mano di lei egli tenne la sua al momento della sua morte, il 6 aprile 1912 a Bologna.

    Rossella Maria Luisa Bartolucci
    rbart@ciaoweb.it



    OPERE

    Opere poetiche in lingua italiana:
    Myricae (1891), Poemetti (1897), Canti di Castelvecchio (1903), Primi Poemetti (1904), Poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906), Nuovi Poemetti(1909).

    Opere poetiche in lingua latina:
    Carmina (in due volumi pubblicati postumi: 1914 e 1930)

    Opere in prosa:
    Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902), Miei pensieri di varia umanità (contengono il celebre discorso sul Fanciullino)(1903), Pensieri e discorsi
    (1907)

    di R.M.L.Bartolucci
    http://www.progettobabele.it/Consiglilettura/pascoli.php
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    Cavolina
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    Forumandiano..!!
    00 08/03/2006 23:18
    Nebbia

    Nascondi le cose lontane,
    tu nebbia impalpabile e scialba,
    tu fumo che ancora rampolli,
    su l'alba,
    da' lampi notturni e da' crolli
    d'aeree frane!
    Nascondi le cose lontane,
    nascondimi quello ch'è morto!
    Ch'io veda soltanto la siepe
    dell'orto,
    la mura ch'ha piene le crepe
    di valeriane.
    Nascondi le cose lontane:
    le cose son ebbre di pianto!
    Ch'io veda i due peschi, i due meli,
    soltanto,
    che dànno i soavi lor mieli
    pel nero mio pane.
    Nascondi le cose lontane
    che vogliono ch'ami e che vada!
    Ch'io veda là solo quel bianco
    di strada,
    che un giorno ho da fare tra stanco
    don don di campane...
    Nascondi le cose lontane,
    nascondile, involale al volo
    del cuore! Ch'io veda il cipresso
    là, solo,
    qui, solo quest'orto, cui presso
    sonnecchia il mio cane.

    [Modificato da Cavolina 08/03/2006 23.20]







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