00 26/04/2005 16:53
Un testo descrittivo fatto per scuola, ma che mi piace molto. Ovviamente l'idea è venuta proprio dalla canzone di De Andrè...

Descrizione Soggettiva di un pescatore

Me lo ricordo bene, era sulla riva. Non aveva niente di particolare quell’uomo, a parte quel suo essere così silenzioso e quieto, sebbene l’occhio fosse bene attento ai movimenti della sua canna da pesca. La prima volta che lo vidi io e mio padre passavamo per caso presso lo stagno.
Non aveva fatto rumore, quando ci aveva visti, forse non aveva neanche girato lo sguardo stanco verso di noi. Era seduto, con la schiena su un albero di noce.
Guardava fisso l’acqua muoversi e i pesci girare diffidenti attorno alla sua esca.
I suoi vestiti mostravano la sua estrema povertà. Doveva essersi costruito una casa lì vicino, da solo, per non spendere troppi soldi.
Doveva avere una moglie e dei pargoletti che lo aspettavano pazienti, attendendo di poterlo tornare con un secchio pieno di pesci dall’aspetto appetitoso.
Forse il più piccolo avrebbe detto di voler liberare i pesci, altrimenti sarebbero morti. Il vecchio pescatore si sarebbe girato verso di lui, gli avrebbe scompigliato i capelli e si sarebbe seduto, da brav’uomo, per raccontare al giovane l’affascinante storia della vita. In cucina. Mentre la moglie avrebbe preparato il pesce con un sorriso sul suo viso.
Ma ora potevo immaginare solo quel personaggio che si alzava, a piedi scalzi, per dare maggiore forza nel momento in cui il pesce sarebbe rimasto attaccato all’amo, agitandosi furiosamente, nella speranza di liberarsi.
Per quanto poteva essere una persona come le altre, quell’uomo ispirava fiducia a prima vista. Ogni qual volta si alzava si poteva osservare il suo piccolo e fragile corpo, pronto a spezzarsi nel caso in cui il vento avesse iniziato a tirare più forte. Aveva dei lunghi baffi grigi e gli occhi coperti da un cappello di paglia intrecciata che supposi gli avesse regalato la moglie.
Sembrava che stesse dormendo, ma come un predatore, stava sempre all’erta.
Eccolo. Un pesce. Si alzò di scatto e cominciò a tirare la canna da pesca verso di sé, fino a che, con un ultimo sforzo, riuscì a tirare fuori l’animale che ora si agitava, incastrato all’amo.
Lo prese con le mani screpolate e grandi, posandolo sul suo secchio di legno.
Io continuavo ad osservarlo mentre mio padre cercava sulla cartina un luogo di ristoro.
Tirò su il cappello di paglia, lasciando intravedere il suo volto stanco e i suoi occhi piccoli.
Le iridi assomigliavano ad un ruscello che rispecchia il colore degli alberi e la luce del sole. Quasi riuscivo a sentirlo, il canto degli uccelli che volano sopra a quel ruscello. Il suo viso era solcato da rughe, ed ognuna sembrava essere il risultato d’ogni cosa che, con l’esperienza, aveva appreso negli anni della sua vita, costruendosi la sua saggezza, quella che né un libro, né un’enciclopedia e ma neanche un’istituzione scolastica ti può dare.
Gocce di sudore s’intravedevano sulla sua fronte abbronzata e lui le asciugò con una mano.
D’improvviso si girò e mi vide. Mi sentii, d’un tratto imbarazzata, poiché lo avevo osservato così insistentemente per tutto questo tempo. Ora, era del tutto inutile guardare da un’altra parte.
Poi, fece una cosa che non mi aspettavo minimamente, che mi lasciò il suo ricordo per anni. Lui, mi sorrise.
Le labbra secche che si muovevano fino ad assumere quella posizione che ti scioglie e che ti mette a tuo agio.
Sarei voluta andare da lui ed imparare tutto ciò che lui aveva appreso nella vita ma non potei. Appena cominciai ad incamminarmi verso di lui, mio padre mi bloccò con una mano.
E furono inutili le urla da bambina…
Rassegnata mi voltai nuovamente verso di lui e notai che mi stava osservando divertito.
Ora il suo viso era pienamente in luce, quindi potei osservarlo bene, senza che le ombre nascondessero alcun tratto. Aveva delle fosse profonde sulle sue guance e gli occhi allungati.
Riconoscevo quei tratti somatici: quell’uomo apparteneva al nobile popolo indiano. Nei suoi occhi erano nascosti i segreti di un popolo affascinante.
Me lo immaginavo con i vestiti tipici dei pellirosse e col suo copricapo. Serio e inflessibile, ma allo stesso tempo l’attrazione principale di tutti i bambini, che non potevano fare a meno di provare simpatia per lui.
Magari scriveva anche poesie sulla sua terra ormai occupata dai bianchi e piangeva per le vite dei suoi avi, fatte schiave da uomini senza cuore.
Con la mia piccola anima innocente potevo leggere la sua anima, intuivo che provava rancore per chiunque avesse la carnagione pallida tranne che per i bambini.
Sembrava che dalla sua bocca uscissero parole che discolpassero questi piccoli esseri che provavano dei sentimenti con un cuore puro, che ancora non era stato invaso dalla così detta civiltà.
Mio padre mi aveva messo una mano sulla spalla e mi aveva chiesto cosa stessi facendo. Io gli risposi che stavo pensando e mi girai nuovamente nel luogo desolato dove prima era il vecchio pescatore.
Era scomparso. La sua figura rassicurante non era più vicina a quell’albero, sulla riva dello stagno. E già sentivo un vuoto nel mio cuore di bambina.
Mio padre mi disse di andare. Annuii.
Ogni tanto vengo ancora sulle rive di quello stagno e penso, con la speranza di veder riapparire lì, dietro a quell’albero, il vecchio pescatore, che con uno sguardo ha saputo insegnarmi più di qualsiasi libro.



·÷±!± Giulia ±!±÷





"Subito mille pensieri addormentati, fremendo dolcemente fra tenebre pesanti spiegano le ali e prendono il volo." (Charles Baudelaire)

"Preferisco essere odiato per ciò che sono, piuttosto che essere amato per ciò che non sono" (Kurt Cobain)