00 30/04/2005 23:34
Vernaccia di San Gimignano



Eccoci finalmente al resoconto della degustazione che ha visto protagonista, in due serate svltesi lo scorso settembre, la VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO, un bianco importante, ricavato dall'omonimo vitigno, e storico, ma forse non troppo conosciuto al consumatore medio italiano. Basti pensare che oltre il 70 per cento della Vernaccia prodotta viene esportata e se consideriamo quella che viene bevuta in loco....
O forse è più corretto dire che abbiamo deciso di confrontarci con un vino del quale non si sente parlare molto spesso, probabilmente anche perché nasce, bianco, in una terra di rossi, sovente celebri e celebrati (chi, anche tra i meno appassionati, non conosce il Chianti o il Brunello) ma che pure, probabilmente, non possono vantare una storia così nobile e antica come quella di questo bianco, che oseremmo dire unico nel suo genere.
Un vino dalla personalità forte e che spesso, soprattutto dagli abitanti di queste meravigliose terre, viene "trattato" come un rosso, sia per come viene prodotto sia per come viene bevuto, e che comunque a buon diritto viene reputato il più famoso bianco di Toscana.

Un pizzico di storia
Il luogo di origine ­ San Gimignano ­ e lo stesso nome del vino ­ Vernaccia ­ rappresentano già di per se stessi un profondo e inossidabile legame con la storia e la tradizione del nostro Paese. La splendida e turrita cittadina di San Gimignano, antico insediamento etrusco che prende il nome dall'omonimo santo patrono della città, collocata in posizione strategica lungo la via Franchigena che collegava Roma con il Nord-Europa, divenne fin dal primo Medioevo un importante centro di comunicazioni e di commerci (in primo luogo zafferano e poi vino) ed ebbe il suo periodo di massimo splendore e gloria verso la fine del XIII secolo, quando poteva contare la bellezza di 72 torri, 15 delle quali ne caratterizzano ancora oggi il profilo di borgo medievale.
Il nome poi, Vernaccia, secondo molti studiosi sarebbe una denominazione tipicamente assegnata a uve e vini tradizionali e fortemente legati ad un territorio; esso infatti rappresenterebbe la degenerazione del termine latino "vernacula" (locale, del posto), che anticamente avrebbe indicato le varietà autoctone d'uva presenti su uno specifico territorio (e ciò spiegherebbe anche il fatto che varietà spesso assai diverse tra loro e presenti in territori anche l'un l'altro distanti, abbiano assunto questo stesso nome).
Insomma, un vino ricco di fascino e del quale vale la pena continuare a raccontarne ancora un pò la storia, prima di passare, come sempre, a risultati e commenti della nostra degustazione.
Secondo la tradizione più acclarata, la Vernaccia di San Gimignano sarebbe in realtà un vitigno importato. Si narra infatti che, in un non ben precisato anno nel corso del XIII secolo, tal Vieri dè Bardi, proveniente dalla Liguria, avrebbe introdotto in queste terre le prime viti di Vernaccia che sarebbero state poi ulteriormente diffuse e coltivate da Angiolo e Zanobi, suoi discendenti. Il paese di origine di Vieri sarebbe stata Vernazza, amena località nelle Cinque Terre liguri, e dal toponimo ne sarebbe conseguito dunque il nome attribuito all'uva e poi al vino. Dobbiamo dire che questa versione, che pure viene spesso riproposta in letteratura, non è condivisa da tutti. Moltissimi, anche tra i produttori, restano convinti dell'origine autoctona dell'uva, in linea con quanto anticipato qualche riga più sopra, e addirittura non escludono che l'antenato di questo vitigno fosse già coltivato dagli etruschi, i quali come è noto conoscevano la viticoltura.
È comunque accertato che, già nella seconda metà del Duecento, la Vernaccia fosse ormai una delle voci più "pesanti" nella bilancia commerciale di San Gimignano, tant'è che risulterebbe negli "Ordinamenti della Gabella" del Comune una tassa di tre soldi per ogni soma di vino esportata al di fuori del territorio comunale. Insomma, la domanda di questo vino era certamente superiore alla sua produzione ed era persino stata introdotta una forma di acquisto anticipato del vino novello che sarebbe stato prodotto negli anni successivi a quello dell'atto di acquisto medesimo; una specie di "en primeur" ante-litteram, chiamata appunto, ad novellum.
Per garantire la qualità del vino, a difesa dei tentativi di sofisticazione messi in atto, vennero inoltre istituite delle specie di corporazioni come quella dei Pesatori o quella dei Legali, che dovevano, rispettivamente garantire la corretta misurazione del vino uscente dalla città e gli interessi dei produttori di vino, eventualmente colpiti, non solo da frodi, ma anche da calamità come ladri, cinghiali eccetera. Il vino era insomma una vera e propria ricchezza che andava salvaguardata a tutti i costi.
A partire da quegli anni e nei secoli a seguire, la Vernaccia si sarebbe sempre più imposta all'attenzione come vino ricercatissimo per le sue virtù e per la sua ottima qualità e tante sono le citazioni che molti personaggi celeberrimi della nostra storia fanno di questo vino. Dante Alighieri, nella sua Comedia, poneva Papa Martino IV in Purgatorio, a scontare la propria golosità per le anguille e la Vernaccia: "... e purga per digiuno l'anguille di Bolsena e la Vernaccia".
Boccaccio, nel Decamerone, inseriva talvolta questo vino negli splendidi scenari delle sue narrazioni, come per esempio nella terza novella dell'ottavo giorno, laddove Maso descrivendo a Calandrino il fantastico paese di Bengodi, racconta che " ... ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d'acqua". Durante i pranzi della famiglia Medici la Vernaccia era spessissimo presente: Lorenzo il Magnifico sollecitava spesso il Comune di San Gimignano a inviare Vernaccia che oltre a essere bevanda graditissima a sua madre Lucrezia, rappresentava un efficacissimo rimedio per la precaria salute del suo figlio Pietro. Ludovico il Moro, Signore di Milano, ne richiese 200 fiaschi per festeggiare le nozze del nipote Gian Galeazzo; entusiasta di questo vino si fece inviare 500 barbatelle del vitigno da impiantare nelle terre lombarde, esempio seguito anche da Guidobaldo, Duca di Urbino. I tentativi, peraltro, si rivelarono fallimentari: la qualità dei vini prodotti non era certo paragonabile a quella del vino di San Gimignano, a conferma, fin d'allora, che un fattore praticamente insostituibile per la peculiarità di questo vino è proprio il suo territorio di origine, con le sue particolari caratteristiche geologiche.
Inevitabile, poi, citare l'immancabile Sante Lancerio che nella sua opera descriveva un "Greco di San Gemignano" come "perfetta bevanda da Signori" che "è un gran peccato che questo luogo non ne faccia assai"; la maggior parte degli esperti identifica questo vino con l'attuale Vernaccia, anche se, in verità, il Lancerio, concludeva la sua descrizione aggiungendo che "In questo luogo ci sono anche di buonissime vernacciuole e di questa bevanda gustava molto S.S et faceva honore al luogo", e dunque ciò potrebbe anche far pensare ad una non necessaria identità tra i due vini descritti dal bottigliere di Papa Paolo III. Ci pare interessante aggiungere, a conferma della non semplice interpretazione dell'origine della denominazione "Vernaccia", che negli scritti di Sante Lancerio la Vernaccia compare nel paragrafo dedicato al "Vino di Pavola" che "Viene dalla terra di Calabria [] Et questo procede dalla Vernaccia, che in questo luogo fa ".
Proseguendo con la lunga lista di citazioni, Michelangelo Buonarroti il Giovane nel 1643 la definva "traditora e che bacia, morde, lecca e punge" mentre più tardi, nel 1695, Vincenzo Coppi, estensore degli Annali di S.Gimignano, descriveva la Vernaccia come vino bianco "dei migliori e più grati che si facciano in Italia ".
La fama della Vernaccia sopravvisse sino al disastro dell'invasione della fillossera, che alla fine dell'Ottocento distrusse praticamente i vigneti di tutta Europa. La crisi fu dura anche perché quando la viticoltura nell'area si riprese, molti produttori puntarono decisamente sulle varietà usate per la produzione del Chianti che viveva un momento di grande successo ed andava affermandosi anche sui mercati esteri (San Gimignano si trova nell'area di produzione del Chianti). Le aree coltivate a Vernaccia andarono riducendosi ed il vitigno visse un periodo di crisi da cui si riprese nel corso degli anni Sessanta del secolo scorso quando, forse a riconoscere una tradizione ed una qualità assolutamente da salvaguardare, divenne, nel 1966, il primo vino italiano in assoluto ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata. Nel Luglio del 1993 venne infine riconosciuta la Docg a sancire definitivamente la nobiltà di questo vino.

Il vitigno, i disciplinare
Abbiamo così citato il disciplinare di produzione e dunque andiamo a parlare un pò più in dettaglio di questo e delle uve da cui la Vernaccia di San Gimignano viene prodotta.
Delle origine, anche controverse, del vitigno da cui il vino prende il nome si è gia detto in precedenza; esso viene coltivato sui terreni collinari, non superiori ai 500 metri sul livello del mare, situati nel territorio del comune di San Gimignano, che peraltro sono i soli, secondo disciplinare, sui quali il vitigno Vernaccia di San Gimignano può essere coltivato per la produzione dell'omonimo vino Docg.
I terreni, formatisi in periodo pliocenico in conseguenza del ritiro del mare, sono costituiti prevalentemente da sabbie gialle e argille sabbiose, oltre che da sedimenti. Le viti sono allevate tipicamente a Guyot o a cordone speronato con una densità di ceppi per ettaro non inferiore a tremila, e con una produzione massima di uva per ceppo non superiore a 5 chilogrammi (ma chi vuole una grande qualità spessso si "accontenta" di molto meno), mentre la produzione massima di uva per ettaro è di 90 quintali.
Sono vietate le forme di allevamento a tendone e tutte le pratiche di forzatura.
Le uve sono caratterizzate da grappoli piuttosto grandi, di forma piramidale allungata, con acini dalla buccia gialla con riflessi ambrati, tipicamente piuttosto compatti, anche se sono in corso studi sperimentali per ottenere cloni caratterizzati da grappoli più spargoli con acini dalla buccia più spessa, soprattutto per sviluppare una maggiore resistenza alle malattie. La vendemmia avviene tipicamente tra il 15 di settembre ed il 15 di ottobre.

Come sempre, alleghiamo qui di seguito la scheda riassuntiva del disciplinare Docg, presente sul sito del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali aggiungendo che, per chi fosse interessato ad una lettura esaustiva, il testo completo del disciplinare della Vernaccia di San Gimignano, è consultabile sul nostro sito, come quello di tutte le altre Docg.

SCHEDA TECNICA DEL VINO
Vernaccia di San Gimignano:
Docg Vernaccia di San Gimignano.
Istituito con decreto del 03/03/1966.
Riportato su Gazzetta Ufficiale 06/05/1966, n. 110.
Resa uva per ettaro: 90 quintali .
Resa massima uva/vino: 70.0%.
Titolo alcolometrico minimo naturale dell'uva: 10.5%
Colore: giallo paglierino tenue tendente al dorato con l'invecchiamento.
Odore: fine e penetrante caratteristico.
Sapore: asciutto, armonico con caratteristico retrogusto amarognolo.
Titolo alcolometrico totale minimo del vino: 11.0% .
Estratto secco netto minimo: 15.0 per mille.

Vernaccia di San Gimignano Riserva:
Docg Vernaccia di San Gimignano.
Istituito con decreto del 03/03/1966.
Riportato su Gazzetta Ufficiale 06/05/1966, n. 110.
Resa uva per ettaro: 90 quintali.
Resa massima uva/vino: 70.0%.
Titolo alcolometrico minimo naturale dell'uva: 11.0%.
Colore: giallo paglierino tenue tendente al dorato con l'invecchiamento.
Odore: fine e penetrante caratteristico.
Sapore: asciutto, armonico con caratteristico retrogusto amarognolo.
Titolo alcolometrico totale minimo del vino: 11.5%.
Estratto secco netto minimo: 15.0 per mille.

Ci pare interessante ricordare ancora alcuni passaggi importanti del disciplinare suddetto. Il vino "Vernaccia di San Gimignano" deve essere prodotto con le uve ottenute dai vigneti costituiti dal vitigno omonimo e situati nel territorio precedentemente descritto, in una percentuale non inferiore al 90%; per il restante 10% devono essere utilizzati vitigni a bacca bianca non aromatici, raccomandati ed autorizzati per la provincia di Siena. Questo è un punto che vale la pena sottolineare: la composizione dell'uvaggio è infatti un paramentro che caratterizza e, in un certo senso, divide un pò i produttori: una parte di essi che, riconoscendo alla Vernaccia una tipicità e una tradizione assolutamente uniche e da salvaguardare, adotta uvaggi monovitigno (100% Vernaccia di San Gimignano); altri produttori che invece utilizzano, nelle percentuali consentite dal disciplinare, altri vitigni anche non autoctoni (per esempio, Chardonnay). Insomma, un dibattito anche acceso tra "tradizionalisti" e "modernisti", dove i primi rinfacciano ai secondi di avere tradito l'antico spirito di questo vino per strizzare l'occhio alle moderne richieste del mercato.
Altro dato da ricordare è che, secondo disciplinare, è ammessa la qualifica "riserva" per la Vernaccia di San Gimignano invecchiata per un periodo comunque non inferiore a un anno, con decorrenza dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di produzione delle uve. L'invecchiamento deve comprendere un periodo minimo di affinamento in bottiglia di almeno 4 mesi. Le operazioni di invecchiamento e affinamento devono avvenire nell'area in cui è consentita la vinificazione. Non sono invece ammesse altre qualificazioni tipo superiore, extra, fine, ecc.
Sempre da disciplinare, infine, una curiosità: le bottiglie che contengono la Vernaccia di San Gimignano devono essere di forma bordolese, pur di differenti capacità fino a 1,5 l., ed è consentita esclusivamente la chiusura con tappo di sughero o composto di sughero (a parte la capacità 0,187 litri per la quale è consentito il tappo metallico). Sulla carta dunque, i nuovi tappi sintetici sembrerebbero non ammessi.

La nostra degustazione
Veniamo finalmente a parlare della nostra degustazione.
Abbiamo ricevuto 31 campioni, di cui 4 con la qualifica "riserva", inviatici da 22 produttori, che dobbiamo ringraziare di cuore per la gentilezza e la cortesia che hanno dimostrato, dandoci la possibilità di organizzare la nostra degustazione che, come sempre, ci ha permesso di conoscere meglio un territorio, un vino e anche il lavoro che queste persone svolgono per produrlo.
La maggior parte delle bottiglie dei vini degustati è dell'annata 2001, 7 campioni (tra cui i 4 riserva) invece del 2000. Molti i vini che potremmo in qualche modo definire selezioni o cru. Come sempre, qualche nota anche sul "look" dei campioni. La maggioranza dei produttori ha scelto per la bottiglia il formato classico (si tenga presente quanto detto nel disciplinare ) anche se ci ha un pò stupito vedere dei vetri trasparenti bianchi per dei vini Docg (5 campioni di cui un riserva); presenti comunque anche bottiglie più slanciate e ricercate. Le etichette hanno impatto diverso: alcune offrono una rappresentazione molto tradizionale, classica, quasi "ottocentesca" (Guicciardini Strozzi); altre presentano una maggiore attenzione a linee e soluzioni di design più moderne (Panizzi).
E dunque, prima di introdurre più dettagliate considerazioni sui vini e sulla degustazione in generale, è il momento di mostrare i campioni in assaggio, elencati secondo la classifica finale redatta in base ai punteggi espressi (e riportati nella classifica stessa) dai consumatori. Nell'ultima riga del testo che presenta ogni vino, accanto al punteggio deciso dai consumatori (in rosso), è riportato in nero il punteggio attributo dal panel e la conseguente posizione in classifica (tra parentesi). Dunque ancora una volta ­ non ci stancheremo mai di ripeterlo, anche se pensiamo che oramai sia una conoscenza ampiamente diffusa ­ i campioni sono stati esaminati da due gruppi di assaggiatori, un gruppo di normali consumatori e uno di esperti. Una volta tanto, comunque, le due classifiche hanno un andamento abbastanza simile pur con le solite, inevitabili, differenze e l'intervallo di punteggio espresso dal panel è risultato, secondo costume, più ristretto rispetto a quello utilizzato nella degustazione dei consumatori.