le armi della destra

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della red
00venerdì 3 giugno 2005 10:15
Potremmo considerarlo un baedeker sulla cultura della destra. Una guida preziosa al Pantheon della famiglia neo e postfascista, ai suoi idoli indiscussi come Julius Evola (tuttora evocato sui muri dei "quartieri-bene" romani), ai livres de chevet dei più devoti, al pullulare di riviste negli anni Settanta, alle feroci idiosincrasie esibite verso Calvino e Pavese, Moravia e Pasolini, Eco e Benni, di volta in volta liquidati come "degenerati", "pornografi", "sozzi", "bastardi" o più gentilmente "palloni gonfiati".

Da Salò al governo è il titolo di questo nuovo saggio-inchiesta su "Immaginario e cultura della destra italiana" - così il sottotitolo - a firma di Francesco Germinario, studioso tra i più attenti di quella tradizione, autore di libri sull´"altra memoria" alimentata da Salò, sul "razzismo spirituale" di Evola, sulla Nouvelle Droite di Alain de Benoist e sulla tentazione negazionista che serpeggia nella destra radicale (Bollati Boringhieri, pagg. 144, euro 16,00).

È un viaggio - questo intrapreso da Germinario - attraverso un´aggressiva "alterità". Stranieri in patria si sono considerati per tanti anni i neofascisti reduci da Salò e "costituzionalmente estranea alla cultura della nazione" è rimasta tutt´oggi la destra italiana più estrema.

Un´ostilità - argomenta lo studioso - essenzialmente mirata verso ogni espressione dell´Italia antifascista. Dalla letteratura al cinema, ricca è la fenomenologia degli autori italiani bastonati (verbalmente) dai seguaci missini e dai loro eredi. Se è prevedibile l´invettiva contro il Nobel Dario Fo, sorprende il disprezzo esibito per Eugenio Montale solo perché di fede antifascista. Grondano di acidità i giudizi su Fellini e Bertolucci (mentre prevale indulgenza per Fritz Lang e Bergman).

Non è un caso che gli autori di riferimento spuntino altrove: da Jünger a Mishima, da Tolkien a Ezra Pound, per citare i migliori. E tuttora le case editrici di questa area traboccano di stranieri, relegando i connazionali a presenze marginali. Ansia di sprovincializzazione? Germinario esclude questa ipotesi, motivando la scelta esterofila con la volontà di isolamento rispetto alle contaminazioni della cultura antifascista.

Al fondo agisce anche una non dissimulata diffidenza verso la figura stessa dell´intellettuale, per definizione equivoca, propensa ai principi astratti, più incline a schierarsi a sinistra. «Essere intellettuali a destra è penalizzante, e lo è soprattutto in Italia», scrive Germinario, sulla spinta di una moltitudine di savants come Marcello Veneziani, tenaci nel lamentare ostracismo dalla stessa famiglia politica di appartenenza. L´antiintellettualismo finisce per intrecciarsi con la radicata avversione alla cultura nazionale impregnata di antifascismo: un nodo niente affatto sciolto dalla "svolta" di Fiuggi.

Anche perché - qui sta la chiave più innovativa proposta da Germinario - è proprio nella metà degli anni Novanta che la cultura della destra postmissina trova un potentissimo alleato nel "neorevisionismo" mediatico che si dichiara - non senza impudenza - "liberale". Comune è l´avversario, ossia quella tradizione culturale antifascista accusata di aver esercitato per mezzo secolo - nell´ambito della ricerca storica - una sorta di "totalitarismo morbido".

La missione cui sono entrambi chiamati è rompere le catene di questa "dittatura occulta" che avrebbe sottomesso gli italiani per circa mezzo secolo. L´antifascismo va sfrattato senza esitazioni dalla coscienza civile e dalla memoria storica della nazione.

Lo studioso rintraccia negli improvvisati "riscrittori" di storia tutta una serie di elementi già pulsanti nell´opera di un Pisanò: dalla critica alla Costituzione come mera traduzione del diritto sovietico all´accusa di protratta egemonia mossa alla sinistra. La loro è «un´astuta opera di supplenza del lavoro svolto per un cinquantennio dal neofascismo nostalgico degli Anfuso e dei Romualdi, dei Tripodi e degli Almirante».

Un innesto facile, questo tra le due destre, la postmissina e la "liberale"? Per gli eredi di Pisanò, il neorevisionismo è un´occasione per acquistare cittadinanza dentro un dibattito da cui si erano autoesclusi. Ma la destra più culturalizzata, pur attingendo ad alcune delle antiche istanze, non lesina sussiego verso quella che Germinario definisce con severità «la claque plebea nel salotto dei Nolte, dei Sergio Romano, dei Galli della Loggia».

Matrimonio dunque un po´ irrequieto, attraversato da pulsioni differenti - l´"antiantifascismo" dei cosiddetti liberal muove una condanna simultanea di fascismo e comunismo - in cui comanda la componente "liberale", la più presentabile. Sono i cultori del revisionismo a condurre con mano sicura la sostituzione della memoria resistenziale con un´altra memoria.

Figura significativa, in questa concordanza tra postmissini e revisionisti, appare quella di Francesco Perfetti, il direttore di Nuova Storia contemporanea, che è poi la rivista-fucina del neorevisionismo.

Germinario ne ricostruisce la biografia intellettuale, già collaboratore di numerose riviste dell´area neofascista, tra cui la neonazista e antisemita Ordine Nuovo. Alla metà degli anni Settanta Perfetti assume la direzione di Intervento, la rivista nata nel 1972 «con il progetto di chiamare a raccolta gli intellettuali della destra sia estrema sia moderata, cattolici compresi».

Pur dichiarandosi in principio vicino alla destra liberale, nel dare vita a una delle stagioni più vivaci di Intervento, il direttore di fatto sposta la rivista sulle posizioni dell´estrema destra. «Era difficile», scrive Germinario, «far rientrare perfino in una visione crispina del liberalismo non solo gli attacchi all´antifascismo, accusato di aver creato un più completo e più opprimente totalitarismo, bensì quelli alla repubblica delle lettere, poco più che la riproposizione dei consueti attacchi neofascisti alla cultura italiana. Perfetti non faceva altro che sostanziare l´impostazione antisistemica e antidemocratica della destra che ruotava intorno all´Msi».

Se non ordinoviste, certamente estranee alla tradizione liberale, sono le categorie con cui lo studioso legge la crisi italiana: il bersaglio è la mitologia progressista, originata dall´incontro tra "sensibilità neoilluministica" e "riscoperta del marxismo". Germinario cita un editoriale del 1975, in cui Perfetti prende di mira il "mito antifascista" sfigurato a "strumento di penetrazione sovietica in Italia", cavallo di Troia del comunismo.

Argomenti che riaffioreranno anche nelle polemiche più recenti: frutto di questo inedito matrimonio tra le due destre. Germinario lo definisce "il nuovo compromesso storico dell´Italia di fine-inizio secolo". Un fenomeno che distingue il nostro paese dal resto d´Europa.

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