Tutti a L'Aquila capitale d'estate

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silvercloud87
00lunedì 3 agosto 2009 01:17
Tutti a L'Aquila
capitale d'estate

di ILVO DIAMANTI

Ne avrebbe fatto volentieri a meno, L'Aquila. Per non dire dei suoi cittadini. Ma questa improvvisa e persistente popolarità è destinata a durare a lungo. Non erano abituati, L'Aquila e i suoi cittadini, la popolazione della zona, ai riflettori. A una fama tanto ampia. Certo: L'Aquila è una bella città. Per arte, paesaggio, cultura. Però Nicolas e Carlà Sarkozy, Barack e Michelle Obama. E poi Gordon Brown e Vladimir Putin.

E gli altri Grandi della Terra - o sedicenti tali - non ci sarebbero capitati. Non l'avrebbero attraversata. Se non fosse stata ridotta in macerie. Se il terremoto di quattro mesi fa non l'avesse trasformata in un luogo di dolore, ma anche di solidarietà. Offerto agli sguardi del mondo. Un teatro mediatico. Frequentato da un pubblico globale. Perché la sofferenza e la paura, il dolore e la solidarietà: fanno grandi ascolti. Attirano la curiosità - e la partecipazione - di un pubblico infinito. Assai più delle guerre, che ormai sono nascoste. Invece, le catastrofi naturali - ma anche "tecniche", come i crolli e gli incidenti ferroviari - e, in parte, gli attentati: sono eventi accessibili e mediaticamente attraenti. Per questo L'Aquila, suo malgrado, è divenuta un'icona pop. Celebrata da concerti rock, partite di calcio. Evocata da artisti, giornalisti, uomini di sport e di cultura. Da dischi con la partecipazione di musicisti e cantanti. Mille eventi spettacolari per "fare del bene". Beneficenza. Specchio ideale per una società stanca e perfino satura del proprio spirito cinico e consumista. Per questo, L'Aquila è divenuta la capitale estiva dell'Italia. Ha affiancato, quasi rimpiazzato Villa Certosa, residenza presidenziale - anzi: reale - da alcuni anni. Teatro della mondanità più teatrale. Immersa in palmeti lussureggianti. Affollata dai leader del mondo ma anche, soprattutto, da amici e amiche. Sede di feste fastose. Canti, danze, fuochi d'artificio. Il premier ha deciso che è tempo di voltar pagina. Così, si trasferirà a L'Aquila, almeno un giorno alla settimana. Insieme alla sua corte. Ai suoi consiglieri. Inseguito, ovviamente, dai suoi oppositori. Anch'essi, a L'Aquila e in Abruzzo. In segno di solidarietà. E di opposizione. Contro Berlusconi.

L'Aquila. Nuova città presidenziale di un paese presidenzializzato. Dove il Presidente legittimo - Giorgio Napolitano - funge da Authority di garanzia. Contrappeso istituzionale. Dove il Presidente vero - il premier - ha personalizzato e mediatizzato il governo e lo stato. L'Aquila: è la città ideale per governare, nella stagione della penitenza e dell'espiazione. Teatro di sofferenza, ma anche di riscatto. Dove mettere in scena una nuova rappresentazione del "Presidente che fa". Cose concrete. Visibili. Come ai tempi della campagna elettorale, quando liberò Napoli dall'immondizia. Politica e materiale. Metafora e raffigurazione di un regime da sconfiggere. E del "nuovo che avanza". Il Berlusconi IV. Quello che non promette la luna, ma la scomparsa delle immondizie. Fino al giorno delle elezioni del 2008: un format televisivo. Tutte le sere - o quasi - nei Tg e nei salotti della video politica: comitati di cittadini e donne ammalate di cancro, in mezzo all'immondizia. Dopo il voto: tutto sparito. Dagli schermi, almeno. Neppure quando Palermo si è riempita di cataste di rifiuti ce ne siamo accorti. Perché nulla è più vero di ciò che vediamo sugli schermi. E se gli schermi non lo propongono, allora non esiste. D'altronde, nulla appare più reale dei luoghi rappresentati in televisione. E nulla è più mediale.

Scenario evocato dai media che scompare se i media rivolgono le telecamere altrove. Così L'Aquila. Una città, un territorio da ricostruire. Sotto gli occhi di tutti. In tempo reale. In diretta. Ma soprattutto sotto gli occhi del premier. Che passerà agosto lì. A giorni alterni. Per controllare che tutto proceda secondo quanto previsto e promesso. Cioè, che "entro il 30 novembre (...) 30mila persone colpite dal terremoto avranno un tetto. (...) Una operazione mai accaduta al mondo: dopo l'uragano Katrina ci sono ancora le baraccopoli, dopo i terremoti in Cina le persone non sono state ancora sistemate. Una cosa straordinaria".

Tutto il paese concentrato lì. Con il cuore e soprattutto gli occhi a L'Aquila. Dove le case e perfino le villette ri-sorgono. Il "reality della ricostruzione". Con un vincitore annunciato. Lui. Il premier. Seguito, un istante dopo l'altro, dalle reti dello spazio televisivo unificato di TivùSat: Rai, Mediaset e La 7. È (per citare un libro di Mazzoleni e Sfardini di prossima pubblicazione per "il Mulino") la politica pop. Che rende spettacolari le tragedie e le catastrofi. E unisce il sentimento nazionale, nel nome della pietà. Mentre gli interessi lo dividono. Fra nordisti e sudisti. Di fronte al dolore e alla distruzione del dopo-terremoto tutti, invece, si sentono italiani.

Tuttavia, anche questa investitura comporta dei rischi. Uno, in particolare. Quando si spengono le luci della ribalta, quando le telecamere cambiano obiettivo e i microfoni tacciono. Allora ritornano il buio e il silenzio. I protagonisti finiscono nel retroscena, insieme al loro scenario. Non importa se la ricostruzione promessa sia conclusa. Anzi: se il miracolo non avviene, meglio trasferire il teatro del dolore altrove. D'altronde, basta attendere. Le tragedie non finiscono mai.

Anche se riteniamo che L'Aquila e i suoi cittadini - protagonisti involontari di questa rappresentazione - rinuncerebbero volentieri al ruolo di capitale estiva dell'Italia pop. Dopo tanto rumore impudico e tanta luce abbagliante, infine: il silenzio. Finalmente la penombra.

(2 agosto 2009)
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