Le mille anime dell'acqua

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Frida07
00venerdì 9 gennaio 2009 11:25

Dagli antichi egizi a Bill Viola passando per Caravaggio un itinerario fra simboli e visioni legati all'elemento primordiale


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MILANO
Rumore dell’acqua, che ruscella da alcuni apparecchi tv tipici delle istallazioni di Plessi, che con alcuni sacchi di carbone rifà, sfrontatamente, Kounellis. Gli elementi: siamo subito dentro il rumore dell’immagine, dentro il cuore ruscellante dell’anima (mitica) dell'acqua, che trasforma Palazzo Reale in una spelonca umida di liquori, anche auditivi. Parola araba, immemorabile (Sa'Di, poeta medievale persiano): «La più piccola goccia di rugiada è assorbita dal sole, che la innalza sino alle stelle». È antichissima, dunque, quest’immagine ciclica, rotonda, infinita (sinchè non si scopre la forza contraria dell’entropia) questa metaforica ruota cosmica dell’acqua, che dall’infimo fangoso della terra si solleva sino a far brillare il firmamento. Goccia dopo goccia. Ed ancor più affascinante, a monte, l’immagine egizia del respiro acqueo, che circonda tutto l’universo come un luminoso, protettivo mantello liquido, e stillando gocce dalla volta celeste riverbera sulla terra una sacra pioggia rigenerante, che dà origine alla vita.

Bell'idea, questa, di dedicare all’acqua, come elemento, simbolo, racconto, una mostra, che insegue tutti i temi, che si dipanano fluidi da questa piccola monade autosufficente che è la goccia, che vive, respira, rotola, genera vita (e morte e paura: la piccola goccia innocente che si fa tempesta assassina: basta un piccolo rabbuffo di vento, che cresce, come la calunnia rossiniana a dar vita da un lato alla catastrofe, dall’altra al sublime). Certo, ci voleva uno studioso della tempra di Jean Clair, maestro di queste mostre diramate tra universi paralleli, arte, antropologia, scienza, per affrontare un tema così complesso ed inesauribile. Ma trovandoci in Italia, accontentiamoci e riconosciamo che quest’articolata rassegna è più che soddisfacente ed il voluminoso catalogo Dnart-L'Erma di Bretschneider (che coinvolge iconologi, storici, studiosi di archeologia e di mitologia, poeti, scienziati e religiosi) ne è un riflesso, specchiato e polifonico. Anche la mostra si dipana, liquida e serpentinata, per capitoli: creazione, maternità, viaggio, trasformazione, purificazione, ecc. con l’ambizione di coprire l’intiero scibile, partendo dal porto presocratico di Talete e sbarcando in un video poco visto di Bill Viola (che rischiando d’annegare, da piccolo, aveva goduto insensatamente dello splendore notturno-luminoso-numinoso dell’agitarsi subacqueo) grazie alla cura d’un accademico dei Lincei come Cosimo Damiano Fonseca e della responsabile della Fondazione Dnart, Elena Fontanella.

Ci si domanda inoltre il perché del destino mediatico di certi strani percorsi carsici di mostre, più che nobili, che però hanno un risultato in sordina e quasi soffocato, rispetto a tante mostre ignobili e strombazzate, che però incantano i media: bel tema da ricerca. Qui, non foss’altro, ci sono alcuni pezzi formidabili, che basterebbero a richiamare folle consapevoli, a parte l’interesse, forse un po’ sgusciante, del tema. A noi basterebbero, a parte notevoli reperti di vasaria classica, il celebre volto del presunto Ulisse di Sperlonga (oggetto d'un memorabile saggio di Andreae) e la Madonna di Masolino (testè restaurata dalla Dnart) a rendere appetitosa la mostra (che annunciava anche la Madonna del Parto di Piero della Francesca, non esageriamo! Ma è vero che il tema dell’allattamento cristiano convoglia reliosamente l’antico mito della rigenerazione, via acqua, e della pioggia sacra, che feconda la terra. Peccato non sia stato esemplificata qui l’iconografia abbastanza sensazionale della Lactatio di San Bernardo. Rivediamo anche volentieri il Narciso di Caravaggio, in una compagine ragionevole, dopo la deportazione demenziale di Vespa a Porta a Porta, per far ala al narcisismo di Parietti & C. Chi si vanta d’essere un martire della divulgazione avrebbe almeno potuto annunciare questa mostra, facendo réclame ad una bella iniziativa e non alla propria trasmissione. Qui Narciso, tra gorgoni, sirene, divinità ippopotamee, silfidi e ninfe, ha un ruolo ben preciso, ben illuminato in catalogo da un vero esperto come Maurizio Bettini. Ed è un conoscitore dell’interiorità e dell’inconscio collettivo come Jung, che ci avverte che il problema di Narciso, incapace di amare, non è tanto quello di innamorarsi di sé, ma di affrontare per la prima volta il proprio volto, privo di maschera, ripulito di quell’inconsapevole farina immaginaria, con cui ci esponiamo al mondo, credendoci diversi. Insomma, di riconoscersi, vedersi: con orrore e stupore. Ci pensino vespe, silfidi e gorgoni (utile gemellaggio tra questa mostra e quella fiorentina, sulla Medusa).




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