I Lemme di Ariccia

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!Serenella!
00giovedì 22 novembre 2007 20:15
In mostra a Palazzo Chigi i 128 dipinti del Seicento e Settecento romani donati da Fabrizio Lemme
al Museo del barocco romano. La particolarissima raccolta di modelli e bozzetti


ARICCIA (Roma) - Fabrizio Lemme, avvocato romano, collezionista con il "vizio" della donazione di quadri antichi, rigorosamente del Seicento e Settecento romani. Al Louvre 20 dipinti e una scultura ("Sala Lemme", "Aile Denon"). Alla Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini 28 dipinti. Ora al Museo del barocco romano, Palazzo Chigi di Ariccia, Castelli Romani, 128 dipinti: donazione "che non ha precedenti a Roma per consistenza e coerenza scientifica" con un "valore di perizia di 13 milioni di euro". A Lemme sono rimasti 165 dipinti sempre Seicento-Settecento romani, notificati, come quelli donati, dal ministero per i Beni culturali ("complesso di elevato interesse storico-artistico") e quindi praticamente invendibili, sottratti ad ogni speculazione.

La donazione Lemme dà il colpo d'ala al Museo di Palazzo Chigi nato per una idea dello scomparso storico dell'arte Maurizio Fagiolo dell'Arco che all'idea aveva fatto seguire la donazione della propria collezione di quarantotto dipinti del Seicento romano. Museo del barocco romano nel palazzo progettato (come la piazza di Corte antistante e il borgo) dal Bernini, il regista del barocco, fra il 1664 e il 1672. La donazione Fagiolo si aggiungeva alla dotazione in quadri, quadroni, affreschi, sculture, arredi, rare tappezzerie in cuoio, di Palazzo Chigi acquistato nel 1988 "a condizioni di favore" e di quasi rudere dal Comune di Ariccia. Ora, prima che siano disposti a quadreria nel palazzo, su più file con molto meno godimento, tutti i dipinti sono in mostra fino al dieci febbraio. Curatore Francesco Petrucci, architetto, conservatore del palazzo. Catalogo De Luca.

Caratteristica forse unica della collezione-donazione Lemme è lo "spiccato interesse per i modi del processo ideativo" dei dipinti, i bozzetti, modelli finiti o studi preliminari, "prima idea" con o senza varianti per pale e palette, affreschi, stendardi. Servono a scegliere fra vari artisti, ad anticipare l'opera, a impostare la scena, gli accostamenti di tonalità, o sono opere autonome, doni. Stesura pittorica sintetica e immediata che perde in precisione, ma guadagna in freschezza.

Dei 128 dipinti almeno 39, più di un quarto, appartengono a questa particolare classe di opere d'arte ancora più preziose per noi quando le opere alle quali si riferiscono non esistono più, sono in brutte condizioni, non sono identificate come per la pala "Martirio di Santo Stefano" di Michele Rocca o il "San Bruno penitente" di Ludovico Stern. In un caso c'è l'"en plein", bozzetto e opera finita: "Carlo Marchionni umilia alla Santità di Pio VI il progetto per la sagrestia di san Pietro" di Francesco Manno in cui Lemme ha riconosciuto l'autoritratto del pittore.

I soggetti sono storie sacre (la quasi totalità), mitologiche, ritratti. Le dimensioni piccole, contenute, rare le grandi. Ci sono modelli di ragguardevoli dimensioni usati per quadroni come "La vestizione di Santa Bona" (74 per 74) di Antonio Cavallucci, per il quadro di 4,55 metri per 4,65 della cattedrale di Pisa. Altra particolarità: i dipinti hanno cornici originali, molto spesso coeve o antiche. Continua...

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