Ecofashion, la nuova forntiera del tessile è targata "bio"

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isa46
00lunedì 10 marzo 2008 19:07
ROMA
La moda si fa buona, e sopratutto ecologica. La salvaguardia dell’ambiente oggi è particolarmente “di moda”: stilisti ed aziende si adeguano. Sono sempre di più le grandi firme della moda, le case produttrici che si stanno convertendo alla cosidetta “Ecofashion”. La prima regola è di abbatere l’inquinamento ed ecco “esplodere” la passione per i tessuti derivati da fibre naturali, la cui produzione non è un peso per l’ambiente.

L’industria tessile è infatti una delle più inquinanti e comporta forti consumi energetici. Il cotone, che suscita una sensazione di naturalità e freschezza, soprattutto se di un bianco accecante, è ad esempio una delle fibre a più alto contenuto chimico e le sue piantagioni assorbono circa il 25% della produzione mondiale di pesticidi, senza dimenticare che sono estremamente dannose per l’ambiente anche le successive fasi di lavorazione alle quali la fibra è sottoposta: azioni detergenti e sbiancanti, oltre all’uso di coloranti e antiparassitari.

Se venisse usato esclusivamente cotone biologico, decisamente meno candido, il pesante contributo inquinante di pesticidi, concimi di sintesi e tinture artificiali diminuirebbe addirittura del 92%. Per questo le fibre biologiche, quelle non sottoposte a processi di alterazione chimica o derivanti da risorse naturali rinnovabili, riscuotono un crescente successo nel mondo della moda.

Vestire naturale oggi non è più un fenomeno di nicchia, specie da quando i grandi marchi internazionali hanno iniziato a porre sempre maggiore attenzione all’ecosostenibilità dei loro prodotti: l’antesignana di questa tendenza a favore di una moda rispettosa dell’ambiente è stata l’inglese Katharine Hamnett, che già nel 1989 si presentò ad un incontro ufficiale con Margaret Tatcher indossando una t-shirt che recitava a caratteri cubitali «58% Dont’want pershing», contro la proliferazione nucleare.

La stilista britannica, coerentemente con la sua performance di allora, nello scorso ottobre ha annunciato l’intenzione di produrre una nuova linea di abbigliamento utilizzando tessuti provenienti da aziende aderenti al “Commercio Equo e Solidale”. È poi lunga la lista delle case produttrici che nel corso degli anni hanno seguito il “buon esempio” della Hamnett: Replay, Reebok, Gap, Giorgio Armani, Vivienne Westwood e i grandi magazzini inglesi Marks&Spencer, solo per citarne alcune.

Bono Vox, cantante degli U2 nel 2006 ha fondato “Edun”, casa di moda casual che propone solo capi naturali e il colosso svedese del low-cost H&M per la prossima primavera/estate ha proposto una linea di abbigliamento per bambini interamente realizzata in cotone organico, ossia non trattato con agenti chimici, inoltre Victoriàs Secrets, marchio di intimo femminile statunistense, ha realizzato una mini-collezione dedicata al pubblico più giovane chiamata “Pink”, prodotta esclusivamente con materiali ecocompatibili.

E non sono solo case produttrici di abbigliamento casual o sportivo ad essere sensibili alla questione dell’ecosostenibilità, Stella McCartney, stilista inglese figlia dell’ex Beatle Paul, che sfila a Parigi con le sue collezioni, oltre ad essere vegetariana, non realizza capi in pelle o pelliccia e lo scorso anno ha lanciato una linea di borse e accessori, in collaborazione con il marchio di sportswear “LeSportsac”, biodegradabili al 100%.

Quello dell’escostenibilità non è un tema che riguarda solo il mondo della moda, è una “missione” a tutto tondo:«È un vero e proprio stile di vita, che riguarda si il campo dell’abbigliamento, ma anche quello dell’alimentazione, dei trasporti, della cosmesi, della medicina», afferma Marta Pietribiasi, stilista vicentina di «Nathu-Italian biocouture», azienda che propone abiti realizzati esclusivamente con tessuti biologici, e colorati con tinture non chimiche.

«I motivi che mi spingono verso l’ecosostenibile sono molteplici, inoltre, gli abiti realizzati con materiali acrilici o sintetici creano numerosi problemi a livello di allergie o dermatiti e quindi costringono a spendere più in medicinali che in vestiti. Ho scelto di ’scendere in campò a mia volta -prosegue Pietribiasi- perchè non trovavo abiti femminili, alla moda e realizzati in tessuti biologici o naturali. Gli abiti della linea “Nathu” oltre ad essere realizzati con materiali naturali e attraverso processi ecosostenibili, sono sopratutto femminili e particolarmente attenti alle tendenze moda».
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