Alitalia: storia e attualità, colpe e responsabilità

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silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:07
scrissi...

silvercloud87, 04/06/2008 8.32:

Mi sembra il caso di dedicare più di qualche articoletto di giornale al caso Alitalia.

Premesso che non sono italiano, ma una parte della mia nazionalità lo è, credo che la compagnia di bandiera debba restare italiana (non necessariamente ma sarebbe "bello"), ma necessità un piano di risanamento serio, violento ma capace di salvare la compagnia. I sindacati devono fare un passo indietro se non vogliono vedere tutti i dipendenti a casa, Alitalia ha bisogno di centinaia e centinaia di licenziamenti (migliaia forse), perché c'è un esubero di personale spaventoso. Perché? Semplicemente come tutte le aziende in mano allo stato, è servita in passato per fare "clientelismo" e allora ad ogni tornata elettorale, ogni governo, ha voluto mettere dentro qualche amico o qualche elettore o "galoppino" di fiducia.

Altro che economia, l'Alitalia era una fra le 7 più grandi compagnie del mondo, perché non può ridiventarlo!?

silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:07
1946 nasce Alitalia, il 47% è pubblico, il primo volo effettuato il 5 maggio 1947 su un aereo Fiat. In un decennio sale ai primi posti fra le compagnie.
1950 Alitalia assorbe la Lati e aggiunge rotte per il sud America.
1952 investe in nuovi aerei con cabina pressurizzata e si vola sopra le nuvole. E' una delle compagnie più sicure al mondo.
1957 La fusione con la Lai (azienda IRI) con cui si spartiva il traffico italiano. Nasce una grande compagnia di bandiera.
1960 Alitalia "muove" un milione di passeggeri
1969 La prima compagnia a portare in cielo il Papa
1977 Alitalia è la settima compagnia al mondo e la terza in Europa, con 10000 dipendenti, 140.000.000.000 anno

Crisi ANNI '70

La crisi petrolifere, non risparmia nemmeno Alitalia.

1978 "deregulation di Charter", il regime di monopolio creato da Roosevelt (38) stava per finire e con esso anche le compagnie pronte a servire lo stato al costo di rimetterci perché tanto erano coperte/protette dallo stesso stato.

La deregulation fa saltare tutto il meccanismo, apre il mercato alla concorrenza e scatena la competizione spietata e senza regole, che straccia i prezzi e le compagnie.

La Pan Am la più grande compagnia del mondo fallisce nel 1991, e dagli Usa la deregulation rimbalza in tutti i paesi Europa, Italia e Alitalia compresa.

Dopo 15 anni di trattative e 3 direttive comunitarie, nel 1997 anche l'Europa è pronta alla deregulation: compagnie di bandiera perdono il monopolio dei mercati nazionali ed europei, i mercati vengono aperti alle compagnie private che aumentano i vole ed abbassano i prezzi.

Finiscono gli aiuti economici da parte dello stato per coprire i debiti spesso causati dallo stato stesso, come i voli antieconomici per assicurare al politico di turno il rientro a Roma dalla Sicilia la mattina presto.

Fine anni '80 in tutta Europa, stati e compagnie preparano piani industriali e leggi per avviare la privatizzazione e far crescere le compagnie creando buone alleanze.

Nel 1996 Alitalia è ancora una compagnia figlia dell'economia nazionale monopolista che vive gli accordi bilaterali e i passeggeri arrivano ancora.
A questo punto il peso governativo è ancora pesante:
- il tesoro controlla ancora il 100% delle quote di Alitalia, che si trova senza alleanze
- debiti per 3.000.000.000.000
- 10 anni di perdite
- le lotte intestine fra sindacati impediscono un risanamento ed un rilancio serio
- Alitalia vende un prodotto che non sta più sul mercato
- la capitalizzava in borsa di 600 miliardi, mostra che Alitalia era tecnicamente fallita

SERVE UN PIANO INDUSTRIALE
Crescita e privatizzazione
Risanare sviluppare e privatizzare

Il costo del lavoro viene portato dal 27% al 20%:
- in cambio di azioni, i dipendenti lavorano di più allo stesso stipendio(520 miliardi di azioni) più lavoro allo stesso prezzo
in 4 anni niente scioperi

lotta fra sindacati, uno voleva la proprietà dei dipendenti altro voleva dividere le cose

1997 I conti cominciano a tornare e la capitalizzazione in borsa passa da 600 a 6000miliardi

Quanto ho trascritto qui, l'ho estrapolato da un video che potete trovare su lastoriasiamonoi.rai.it
silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:07
Prestito, sì tecnico a procedura Ue contro l'Italia

Le azioni Alitalia, i warrant, le obbligazioni convertibili e i derivati relativi rimarranno sospesi in Borsa a tempo indeterminato. Quello che Consob e Borsa Italiana stanno aspettando, dopo il conferimento del mandato di advisor a Intesa Sanpaolo martedì scorso, è una «decisione politica chiara sulla vicenda a tutela degli azionisti e del mercato». In pratica il titolo Alitalia potrebbe essere riammess una volta che l'advisor abbia compiuto una scelta, e in questo caso probabilmente si ricorrerebbe al già utilizzato metodo dell'asta unica di chiusura per sottrarre il titolo alla speculazione. Se invece il consiglio dei ministri decidesse direttamente l'acquirente, e quindi il futuro della compagnia di bandiera, i titoli potrebbero essere riammessi in contrattazione continua già dal giorno seguente.

Via libera alla procedura contro l'Italia. Intanto, i capi di gabinetto dei commissari europei hanno dato questa mattina il via libera tecnico alla procedura comunitaria contro l'Italia per sospetti aiuti di stato illegali a favore di Alitalia. Le misure dell'Italia a favore della compagnia di bandiera sono sospettate di essere «incompatibili con il mercato comune» e il governo ha un mese di tempo per fornire a Bruxelles tutte le osservazioni che riterrà opportune. Questa la conclusione che l'esecutivo europeo formalizzerà mercoledì prossimo con l'avvio della procedura di indagine, contenuta nella comunicazione preparata dal neocommissario ai trasporti Antonio Tajani.

La lettera di Bruno Ermolli all'Alitalia, che dimostra secondo le autorità italiane l'interesse di imprenditori e investitori italiani per l'elaborazione di un progetto di rilancio della compagnia, non potrebbe essere considerata come una prospettiva di tale natura. La Commissione europea nutre dei dubbi sul fatto che «lo stato si sia comportato come un azionista avveduto che persegue una politica strutturale, globale o settoriale guidato da prospettive di rendimento a più lungo termine dei capitali investiti rispetto a quelle di un investitore normale».

Il vantaggio economico alla comnpagnia di bandiera, secondo la commissione, è presto dimostrato: Alitalia è il solo beneficiario del prestito, dunque si tratta di una misura «selettiva». Gli scambi tra gli stati nel mercato unico ne sono influenzati mettendo a rischio la concorrenza, «poiché la misura riguarda una sola impresa in concorrenza con altre compagnie aeree comunitarie in Europa, in particolare dopo l'entrata in vigore del terzo pacchetto di liberalizzazioni del trasporto aereo il primo gennaio 1993». Per la Commissione si tratta quindi di un aiuto di stato. Ne consegue che «lo stato membro interessato non può mettere in atto le misure previste prima che la procedura (di notifica) non sia conclusa». Non essendo state notificate le decisioni italiane, la Commissione ritiene quindi che l'Italia abbia agito in modo illegale concedendo l'aiuto.

Nel documento si fa poi riferimento alle norme sulle deroghe previste dalle direttive europee per considerare legale un aiuto di stato. Nel caso di Alitalia non ci si può appellare alla necessità di rimediare a danni provocati da calamità naturali o da «altri eventi straordinari»; la misura di aiuto «non costituisce un progetto importante di interesse europeo comune e non rimedia a una perturbazione grave dell'economia italiana» e neppure promuove la cultura; non si tratta di «facilitare lo sviluppo di attività particolari» nel settore e non sono in gioco la copertura del servizio aereo in territori «ultraperiferici» o «la necessità di garantire per delle ragioni di ordine pubblico e di continuità territoriale il servizio pubblico assicurato da Alitalia».

L'assenza di un piano di ristrutturazione è poi un'altra delle questioni contestate dalla commissione allo stato italiano, accusato di non aver preso l'impegno a trasmettere entro sei mesi un «piano di ristrutturazione o di liquidazione», o la prova del rimborso integrale del prestito. Inoltre, si legge nella comunicazione, c'è la regola "one time last time" (regola della non ricorrenza dell'aiuto di stato): «L'Alitalia ha già beneficiato di un aiuto alla ristrutturazione approvato dalla Commissione il 18 luglio 2001 e di un aiuto al salvataggio sottoforma di una garanzia pubblica per un prestito ponte di 400 milioni di euro approvato il 20 luglio 2004. Le eccezioni alla regola della non ricorrenza legate all'esistenza di circostanze eccezionali, imprevedibili e indipendenti dalla volontà dell'impresa, non sembrano potersi applicare in queste circostanze».

IlMessaggero.it
silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:08
dico che....
La storia di Alitalia è ambigua e travagliata come quella del suo paese. Non è riuscita ad attraversare quel frangente di cambiamento derivante dalla deregulation di Charter, infatti non ha specializzato il suo traffico ma è sempre stata, come tutt'ora, una compagnia tuttologa, ciò per mancanza di un'amministrazione serie e imprenditoriale, e per lo sfruttamento della compagnia di bandiera da parte della classe politica e dirigente italiana.
Alitalia è fondamentalmente una compagnia di stato che però deve competere in un mercato di "privati", la stessa AirFrance è riuscita a distaccarsi dallo stato francese che è molto nazionalista.
Un primo approccio di specializzazione di Alitalia è stato il "lovcost" che però è inpraticabile con i costi che l'azienda deve sostenere, ad esempio per i dipendenti, troppi e troppo pagati per i servizi offerti da una lovcost. Gli stessi aerei sono troppo costosi per una compagnia che vuole fare politiche di prezzo a ribasso.
In sostanza, fino a quando non ci sarà un governo capace di gestire o di trovare qualcuno (dandogli i mezzi e i poteri) seriamente e in maniera imprenditoriale l'azienda, Alitalia non potrà avere che una sola sorte.
silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:08
sospetti..
Alitalia, CAI e i conflitti d'interesse. Il premier mette le mani su Mediobanca

di Gianni Rossi

Alitalia, CAI e i conflitti d'interesse. Il premier mette le mani su Mediobanca

La telenovela di Alitalia è arrivata così alla sua ultima puntata. “Prendere o lasciare” è stato il leitmotiv dei nuovi proprietari, la cordata messa in piedi da Berlusconi, contro l’ipotesi ben più proficua avanzata agli inizi dell’anno dall’Air France-KLM di Jean Cyril Spinetta. Il CDa della cordata "caravanserraglio" ha rimesso le carte in mano al Sottosegretario Gianni Letta, perchè non in grado di rispettare gli accordi di 35 giorni fa e quindi in rotta di collisione con la maggior parte dei sindacati aziendali.

Un passaggio spinoso, quasi studiato a tavolino per cercare di ripensare ai termini dell’accordo raggiunto poco più di un mese a Palazzo Chigi con le 9 sigle sindacali, dopo un sofferto “braccio di ferro”. Anche se la CAI ha deciso un aumento di capitale ad 1,1 miliardi di euro, la compattezza della cordata nata sotto l’ombrello di un conflitto d’interessi è sempre più evanescente, anche perché, come denunciano i sindacati, la stima della Banca Leonardo (della quale fanno parte alcuni dei soci di CAI!) sembra salita dai 300 milioni a oltre un miliardo di euro da sborsare nelle casse asfittiche del commissario Fantozzi per acquistarne il controllo totalitario.
Non solo, ma un altro macigno è rotolato sul tavolo della trattativa: il futuro industriale della nuova Alitalia non può prescindere dall’ingresso di un alleato già operativo nel settore, Air France o Lufthansa, entrambe interessate a “papparsi” la nostra compagnia di bandiera nel giro di tre anni , ma con l’incubo della scelta di favorire uno dei due grandi scali, Fiumicino o Malpensa.
E qui sta il secondo nodo, che evidentemente i partner della CAI non sono riusciti a sciogliere: le pressioni dei leghisti e del sistema di potere politico-economico lombardo vorrebbero che fosse la Lufthansa( che ormai dopo uno shopping di compagnie centro-europee si sente con la “pancia piena”), perché lascerebbe Malpensa con un maggior numero di slot e ridurrebbe Fiumicino a scalo internazionale di secondo livello.
Ma evidentemente non la pensavano così Roberto Colaninno, presidente della CAI, e Rocco Sabelli, amministratore delegato, più propensi ad Air France-KLM, che strategicamente vede con maggior favore lo scalo di Roma per coprire le rotte del SUD e dell’Oriente, rispetto a quello lombardo che potrebbe essere relegato a secondo HUB nazionale.
Insomma, la CAI si è trovata tra l’incudine e il martello di scelte più politiche (con Berlusconi pressato dai suoi alleati leghisti, da Formigoni e dalla paura di perdere consensi elettorali nella sua Padania), che industriali, oltre a dover sborsare più soldi di quanto aveva preventivato.
E questo proprio mentre la crisi finanziaria ed economica è sempre più nera!
Una crisi che pesa anche sulle due compagnie aeree interessate alla vicenda ( e ora molto propense ad entrare in scena direttamente per il controllo totalitario dell'azienda), per la contrazione dele mercato passeggeri: Air France-KLM ha già ipotizzato una riduzione del personale e una revisione dei programmi di espansione, la stessa cosa si profila per Lufthansa, dopo la grande “scorpacciata” di compagnie dell’Est e Centro Europa.
Infine, c’era l’incubo per la CAI della sempre più concreta sanzione della Commissione europea nei confronti dello Stato italiano per il “Prestito-ponte” di 300 milioni di euro, trasformati in conto capitale dalla “maldestra coppia” Berlusconi-Tremonti. Chi pagherà l’ammenda o comunque dovrà rimborsare la somma? Se non ci saranno garanzie adeguate da parte del governo, che definiscano la “non continuità aziendale” con la vecchia Alitalia, potrebbe essere proprio CAI a sobbarcarsene l’onere, aggiungendo quindi altri 300 milioni alla nuova valutazione di oltre un miliardo per l’intera operazione.
Se, invece, con un gioco di prestigio, il governo accontenterà CAI, allora saranno i contribuenti italiani a pagare il conto salato dell’”affaire Alitalia”: 300 milioni ai quali si dovranno aggiungere circa un miliardo per le dismissioni della “bad company” e per gli ammortizzatori sociali.
Intanto, è partita la campagna mediatica per far ricadere sui sindacati l’ennesimo rischio di fallimento delle trattative: sono loro “i cattivi, quelli arroccati a vecchi privilegi”, fanno ormai eco i media nell’orbita di Mediobanca. Se fallisce definitivamente la trattativa in esclusiva con CAI, sarà quindi per colpa dei rappresentanti dei lavoratori, gli stessi che fecero fallire (quella volta davvero, però!) il progetto Air France-KLM.
A meno che per salvare il salvabile e trovare altre garanzie finanziarie non entri in scena, seppure ancora sotterraneamente, Mediobanca, il “salotto buono” della finanza, del quale fanno parte diversi soci della cordata CAI, oltre allo stresso Berlusconi!

Proprio lui, il Cavalier Berlusconi, vero campione mondiale del conflitto di interessi, ha infatti stretto la morsa del suo potere anche nella finanza. Con una “lunga marcia” di accerchiamento verso Mediobanca è riuscito con la Fininvest e i suoi alleati (Cesare Geronzi, presidente della prima merchant bank italiana, Marco Tronchetti Provera, vicepresidente,Tarak Ben Ammar, Vincent Ballorè, Carlo Pesenti, Jonella Ligresti, figlia di Salvatore, Ennio Doris) ad impadronirsi di Piazzetta Cuccia.
Nel CDA di Mediobanca siederà sua figlia, Marina, e tutto il gotha della finanza italiana, dell’industria e delle editoria, ora dovranno fare i conti con la famiglia Berlusconi. E pensare che solo otto anni fa, all’inizio di questo secolo Duemila, al Cavaliere era stato ancora opposto un secco no all’ingresso in Piazzetta Cuccia dai “patriarchi” del capitalismo nostrano, a partire dagli Agnelli e dai Pirelli, perché non volevano che si mischiassero interessi economico-finanziari con la gestione diretta della politica nazionale. Altri tempi, un secolo fa, appunto! I delfini di quelle dinastie e i loro storici alleati si sono mostrati ultimamente privi dei geni liberali ed europei di quella generazione che rifece l’Italia nel dopoguerra.
Non è più, quindi, con l’ingresso nella stanza dei bottoni di Mediobanca,solo una questione di conflitto d’interessi mediatico, ma una fatto di degenerazione della democrazia economica, unica nel mondo occidentale avanzato, che anche le autorità internazionali, a partire dall’Unione Europea, dovrebbero indagare ed eventualmente sanzionare.
Ma sarebbe opportuno anche conoscere subito gli orientamenti delle nostre Autorità di garanzia (sull’Antitrust, le TLC e la stessa Consob, oltre che della magistratura competente): non stiamo forse assistendo alla distorsione delle regole del mercato e della libera concorrenza? Non si è dunque esteso il “cancro” dei conflitti di interessi?
Che dire, infatti, delle continue esternazioni del Presidente del consiglio-Primo imprenditore d’Italia che invita ad acquistare azioni di ENI ed ENEL (società quotate in Borsa e partecipate dal Tesoro), oltre quelle Mediaset della propria famiglia? E quando suggerisce illusionisticamente di chiudere la Borsa per scongiurarne i ribassi (subito bacchettato dal governo americano), seguito maldestramente solo dal suo caro amico russo Putin, che ha provocato solo ulteriori ribassi alla Borsa di Mosca? E, per finire, non è un palese caso di conflitto di interessi la sua “perorazione” a disinvestire le risorse pubblicitarie dalla RAI, rea di trasmettere “programmi ansiogeni”? E chi dovrebbe approfittarne di uno “scambio merci” così caro all’inquilino di Palazzo Chigi, se non il concorrente privato? Non è forse questa: “distorsione del mercato”?
Sono in gioco, dunque, le regole basi della libera concorrenza del mercato in Italia.
Mediobanca, attraverso le sue compartecipazioni azionarie e la sua sfera di influenza, controlla il sistema bancario, quello assicurativo, i maggiori gruppi industriali, il mondo dei media e delle telecomunicazioni. La famiglia Berlusconi si è così assicurata il proprio futuro e il “lider maximo” ora può quindi permettersi di fare la faccia feroce nei confronti dell’opposizione politica, sociale e imprenditoriale. Può ridurre gli spazi di democrazia costituzionale e farsi beffe della “piazza”.
Anche se dovesse cadere politicamente, infatti, ha sempre nelle sue mani tentacolari il cuore pulsante del paese. Il regime, di cui spesso paventano nelle loro dichiarazioni i maggiori esponenti dell’opposizione e gli intellettuali ancora liberi, è nei fatti: quando un paese è sotto il controllo economico-finanziario di un solo uomo, anche la libera dialettica democratica rischia di essere congelata.

articolo21.info
silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:09
i sindacati inutili..
Gli ultimi sviluppi mostrano che i sindacati confederati hanno ceduto alle pretese della CAI. Ma è stato un armistizio a totale svantaggio dei lavoratori e dell'Italia.
Per la prima volta sono dalla parte dei ribelli e fidatevi che senza Piloti e Controllori di volo, l'azienda non va da nessuna parte!
Vorrei sollecitare questi sindacati minori a non mollare.

Berlusconi e i sindacati maggiori hanno fatto fallire il primo accordo Air France ora devono pagare loro e non il lavoratori!

Intanto ecco l'articolo sul Corriere.it - Alitalia, Cai va avanti.
silvercloud87
00giovedì 20 novembre 2008 01:09
stessi problemi in italia...
Il problema italiano è sempre lo stesso, prima nasce Alitalia (settima compagnia mondiale) la strepitosa compagnia di bandiera. Poi la politica ci "ficca" migliaia di dipendenti, li illude che così possano vivere serenamete la loro vita con i loro figli perché finalmente hanno uno stipendio sicuro. Allora dopo qualche decennio scopriamo che Alitalia è al collasso, si dice ci siano troppi dipendenti e troppi voli inutili. E anche i politici se ne accorgono, come svegliati da un innoquo sogno, in cui Scaiola aveva il suo volo privato con Alitalia e tanti altri politici la medesima storia. In passato sono stati cancellati voli perché il politico di turno abbisognava proprio di quell'aereo per fare il suo viaggio privato, spesso Milano - Roma. Allora dopo il risveglio tutti incazzati si decide di lincenziare qualche migliaio di dipendenti, ma non può farlo lo stato altrimenti che figurà ci fa il governo?! Privattizazione e lincenziamenti, binomio perfetto per scaricare le responsabilità da parte della solita classe politica.
Oggi siamo felici che vengano licenziati migliaia di dipendenti che prima di tutto sono persone con famiglie a carico, ingannati dalla politica che gli aveva assicurato un posto di lavoro stabile.
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