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Alitalia, CAI e i conflitti d'interesse. Il premier mette le mani su Mediobanca
di Gianni Rossi
Alitalia, CAI e i conflitti d'interesse. Il premier mette le mani su Mediobanca
La telenovela di Alitalia è arrivata così alla sua ultima puntata. “Prendere o lasciare” è stato il leitmotiv dei nuovi proprietari, la cordata messa in piedi da Berlusconi, contro l’ipotesi ben più proficua avanzata agli inizi dell’anno dall’Air France-KLM di Jean Cyril Spinetta. Il CDa della cordata "caravanserraglio" ha rimesso le carte in mano al Sottosegretario Gianni Letta, perchè non in grado di rispettare gli accordi di 35 giorni fa e quindi in rotta di collisione con la maggior parte dei sindacati aziendali.
Un passaggio spinoso, quasi studiato a tavolino per cercare di ripensare ai termini dell’accordo raggiunto poco più di un mese a Palazzo Chigi con le 9 sigle sindacali, dopo un sofferto “braccio di ferro”. Anche se la CAI ha deciso un aumento di capitale ad 1,1 miliardi di euro, la compattezza della cordata nata sotto l’ombrello di un conflitto d’interessi è sempre più evanescente, anche perché, come denunciano i sindacati, la stima della Banca Leonardo (della quale fanno parte alcuni dei soci di CAI!) sembra salita dai 300 milioni a oltre un miliardo di euro da sborsare nelle casse asfittiche del commissario Fantozzi per acquistarne il controllo totalitario.
Non solo, ma un altro macigno è rotolato sul tavolo della trattativa: il futuro industriale della nuova Alitalia non può prescindere dall’ingresso di un alleato già operativo nel settore, Air France o Lufthansa, entrambe interessate a “papparsi” la nostra compagnia di bandiera nel giro di tre anni , ma con l’incubo della scelta di favorire uno dei due grandi scali, Fiumicino o Malpensa.
E qui sta il secondo nodo, che evidentemente i partner della CAI non sono riusciti a sciogliere: le pressioni dei leghisti e del sistema di potere politico-economico lombardo vorrebbero che fosse la Lufthansa( che ormai dopo uno shopping di compagnie centro-europee si sente con la “pancia piena”), perché lascerebbe Malpensa con un maggior numero di slot e ridurrebbe Fiumicino a scalo internazionale di secondo livello.
Ma evidentemente non la pensavano così Roberto Colaninno, presidente della CAI, e Rocco Sabelli, amministratore delegato, più propensi ad Air France-KLM, che strategicamente vede con maggior favore lo scalo di Roma per coprire le rotte del SUD e dell’Oriente, rispetto a quello lombardo che potrebbe essere relegato a secondo HUB nazionale.
Insomma, la CAI si è trovata tra l’incudine e il martello di scelte più politiche (con Berlusconi pressato dai suoi alleati leghisti, da Formigoni e dalla paura di perdere consensi elettorali nella sua Padania), che industriali, oltre a dover sborsare più soldi di quanto aveva preventivato.
E questo proprio mentre la crisi finanziaria ed economica è sempre più nera!
Una crisi che pesa anche sulle due compagnie aeree interessate alla vicenda ( e ora molto propense ad entrare in scena direttamente per il controllo totalitario dell'azienda), per la contrazione dele mercato passeggeri: Air France-KLM ha già ipotizzato una riduzione del personale e una revisione dei programmi di espansione, la stessa cosa si profila per Lufthansa, dopo la grande “scorpacciata” di compagnie dell’Est e Centro Europa.
Infine, c’era l’incubo per la CAI della sempre più concreta sanzione della Commissione europea nei confronti dello Stato italiano per il “Prestito-ponte” di 300 milioni di euro, trasformati in conto capitale dalla “maldestra coppia” Berlusconi-Tremonti. Chi pagherà l’ammenda o comunque dovrà rimborsare la somma? Se non ci saranno garanzie adeguate da parte del governo, che definiscano la “non continuità aziendale” con la vecchia Alitalia, potrebbe essere proprio CAI a sobbarcarsene l’onere, aggiungendo quindi altri 300 milioni alla nuova valutazione di oltre un miliardo per l’intera operazione.
Se, invece, con un gioco di prestigio, il governo accontenterà CAI, allora saranno i contribuenti italiani a pagare il conto salato dell’”affaire Alitalia”: 300 milioni ai quali si dovranno aggiungere circa un miliardo per le dismissioni della “bad company” e per gli ammortizzatori sociali.
Intanto, è partita la campagna mediatica per far ricadere sui sindacati l’ennesimo rischio di fallimento delle trattative: sono loro “i cattivi, quelli arroccati a vecchi privilegi”, fanno ormai eco i media nell’orbita di Mediobanca. Se fallisce definitivamente la trattativa in esclusiva con CAI, sarà quindi per colpa dei rappresentanti dei lavoratori, gli stessi che fecero fallire (quella volta davvero, però!) il progetto Air France-KLM.
A meno che per salvare il salvabile e trovare altre garanzie finanziarie non entri in scena, seppure ancora sotterraneamente, Mediobanca, il “salotto buono” della finanza, del quale fanno parte diversi soci della cordata CAI, oltre allo stresso Berlusconi!
Proprio lui, il Cavalier Berlusconi, vero campione mondiale del conflitto di interessi, ha infatti stretto la morsa del suo potere anche nella finanza. Con una “lunga marcia” di accerchiamento verso Mediobanca è riuscito con la Fininvest e i suoi alleati (Cesare Geronzi, presidente della prima merchant bank italiana, Marco Tronchetti Provera, vicepresidente,Tarak Ben Ammar, Vincent Ballorè, Carlo Pesenti, Jonella Ligresti, figlia di Salvatore, Ennio Doris) ad impadronirsi di Piazzetta Cuccia.
Nel CDA di Mediobanca siederà sua figlia, Marina, e tutto il gotha della finanza italiana, dell’industria e delle editoria, ora dovranno fare i conti con la famiglia Berlusconi. E pensare che solo otto anni fa, all’inizio di questo secolo Duemila, al Cavaliere era stato ancora opposto un secco no all’ingresso in Piazzetta Cuccia dai “patriarchi” del capitalismo nostrano, a partire dagli Agnelli e dai Pirelli, perché non volevano che si mischiassero interessi economico-finanziari con la gestione diretta della politica nazionale. Altri tempi, un secolo fa, appunto! I delfini di quelle dinastie e i loro storici alleati si sono mostrati ultimamente privi dei geni liberali ed europei di quella generazione che rifece l’Italia nel dopoguerra.
Non è più, quindi, con l’ingresso nella stanza dei bottoni di Mediobanca,solo una questione di conflitto d’interessi mediatico, ma una fatto di degenerazione della democrazia economica, unica nel mondo occidentale avanzato, che anche le autorità internazionali, a partire dall’Unione Europea, dovrebbero indagare ed eventualmente sanzionare.
Ma sarebbe opportuno anche conoscere subito gli orientamenti delle nostre Autorità di garanzia (sull’Antitrust, le TLC e la stessa Consob, oltre che della magistratura competente): non stiamo forse assistendo alla distorsione delle regole del mercato e della libera concorrenza? Non si è dunque esteso il “cancro” dei conflitti di interessi?
Che dire, infatti, delle continue esternazioni del Presidente del consiglio-Primo imprenditore d’Italia che invita ad acquistare azioni di ENI ed ENEL (società quotate in Borsa e partecipate dal Tesoro), oltre quelle Mediaset della propria famiglia? E quando suggerisce illusionisticamente di chiudere la Borsa per scongiurarne i ribassi (subito bacchettato dal governo americano), seguito maldestramente solo dal suo caro amico russo Putin, che ha provocato solo ulteriori ribassi alla Borsa di Mosca? E, per finire, non è un palese caso di conflitto di interessi la sua “perorazione” a disinvestire le risorse pubblicitarie dalla RAI, rea di trasmettere “programmi ansiogeni”? E chi dovrebbe approfittarne di uno “scambio merci” così caro all’inquilino di Palazzo Chigi, se non il concorrente privato? Non è forse questa: “distorsione del mercato”?
Sono in gioco, dunque, le regole basi della libera concorrenza del mercato in Italia.
Mediobanca, attraverso le sue compartecipazioni azionarie e la sua sfera di influenza, controlla il sistema bancario, quello assicurativo, i maggiori gruppi industriali, il mondo dei media e delle telecomunicazioni. La famiglia Berlusconi si è così assicurata il proprio futuro e il “lider maximo” ora può quindi permettersi di fare la faccia feroce nei confronti dell’opposizione politica, sociale e imprenditoriale. Può ridurre gli spazi di democrazia costituzionale e farsi beffe della “piazza”.
Anche se dovesse cadere politicamente, infatti, ha sempre nelle sue mani tentacolari il cuore pulsante del paese. Il regime, di cui spesso paventano nelle loro dichiarazioni i maggiori esponenti dell’opposizione e gli intellettuali ancora liberi, è nei fatti: quando un paese è sotto il controllo economico-finanziario di un solo uomo, anche la libera dialettica democratica rischia di essere congelata.
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