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La Befana

La grande festa dell' epifania per tutti i bambini a Piazza Navona a Roma che ogni anno si ripete con tanti bellissimi doni

La Befana è una vecchia brutta e gobba, con il naso adunco e il mento aguzzo, vestita di stracci e coperta di fuliggine, perchè entra nelle case attraverso la cappa del camino.

Infatti la notte tra il 5 e il 6 gennaio, mentre tutti dormono infila doni e dolcetti nelle calze dei bambini appese al caminetto.

Insomma, è una sorta di Babbo Natale in gonnella!



Ai bambini buoni lascia caramelle e dolcetti, a quelli cattivi lascia pezzi di carbone.

La Befana si festeggia nel giorno dell'Epifania, che di solito chiude le vacanze natalizie.

Il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania” che significa “apparizione, manifestazione”.

Avvenne nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio che i Re Magi fecero visita a Gesù per offrirgli oro, incenso e mirra.

Anche la Befana apparve nei cieli, a cavallo della sua scopa, ad elargire doni o carbone, a seconda che i bambini siano stati buoni o cattivi.

Una leggenda spiega la coincidenza così:

una sera di un inverno freddissimo, bussarono alla porticina della casa della Befana tre personaggi elegantemente vestiti: erano i Re Magi che, da molto lontano, si erano messi in cammino per rendere omaggio al bambino Gesù.

Le chiesero dov’era la strada per Betlemme e la vecchietta indicò loro il cammino ma, nonostante le loro insistenze lei non si unì a loro perché aveva troppe faccende da sbrigare.

Dopo che i Re Magi se ne furono andati sentì che aveva sbagliato a rifiutare il loro invito e decise di raggiungerli.

Uscì a cercarli ma non riusciva a trovarli.

Così bussò ad ogni porta lasciando un dono ad ogni bambino nella speranza che uno di loro fosse Gesù.

Così, da allora ha continuato per millenni, nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio a cavallo della sua scopa …


02/01/2009 19:26
 
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Filastrocca


E’ tornata la Befana

A cavallo di una scopa:

nella notte nera nera.

Sulle spalle ha tanti sacchi

e li posa sui camini

tira fuori sorridente

i regali per i bambini

Bambole e trenini

Giostre e orsacchiotti,

dischi e grembiulini,

dolci e biscottini,

ma più bello ancora

essa sa di donare

una grande gioia

che non si può scordare.

Quando è l’ora, la Befana

alla scopa salta in groppa.

D’impazienza già trabocca:

l’alza su la tramontana,

tra le nuvole galoppa.

Ogni bimbo nel suo letto

Fa l’esame di coscienza:

maledice il capriccetto,

benedice l’ubbidienza.

La mattina al primo raggio

Si precipita al camino.

Un bel dono al bimbo saggio,

al cattivo un carboncino!
02/01/2009 19:55
 
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La Befana nella tradizione popolare

In Italia la figura è molto popolare in tutta la penisola, anche se il termine deriva probabilmente da una parola di origine toscana. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio la vecchietta, che si muove volando su una scopa (altro attributo proprio della strega), scivola nei camini con il suo capace sacco pieno di doni per i bambini buoni e di carbone per quelli che durante l’anno appena trascorso si sono comportati male, e sistema i medesimi nelle calze appese a bella posta vicino ai letti.
In Toscana vi è anche la canzone della Befana, la “befanata”, canto sacro, ma più frequentemente profano, che un giovane travestito da vecchia e accompagnato da suonatori ripete di casa in casa la sera dell’Epifania.

Le Befane italiane sono suddivise in una certa quantità di “tribù”, diverse da regione a regione. Ci sono le Ardoiee del circondario di Belluno; la Berta e la Giampa, sempre nel Veneto; la Donnazza di Borca del Cadore; l’Invidia, diffusa nel pesarese, che percorre le contrade portando cattiveria e mala sorte a chi ha la sventura di incontrarla: La Maratega e la Redodesa, che vivono lungo il corso del fiume Piave; nel bolognese ci sono le Borde, che provocano la nebbia. A Iesi abitano le Vecchie, nella Val di Chiana e nel circondario di Arezzo le Vecchiarine. In Istria ci sono le Rodie, che corrono cavalcando le nuvole nel vento impetuoso che, quando scoppia un temporale, spinge la grandine sulle campagne.
Anche in Lombardia la Befana si confonde con una creatura del vento. Nel milanese si dice che “balla la vèggia” quando si vede un tremolio di luce prodotto dai vapori sottilissimi che si sollevano da terra nelle giornate canicolari. Così nel pavese chiamano “vèggia” o “gibigiana” il medesimo fenomeno. Nel bresciano, invece, la “ecia” è più propriamente una strega; quando si vede sulle pietre il tremolio della calura si dice: “El bala la Ecia”. Si crede che questa strega torni sotto terra all’arrivo del freddo. A lei si devono i semi infecondi nei campi, il marciume delle erbe e le malattie delle bestie.

[Modificato da Frida07 02/01/2009 19:56]
02/01/2009 19:56
 
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I riti dell’Epifania


[IMG]http://i44.tinypic.com/29nuyo3.jpg[/IMG]

Anticamente la notte dell’Epifania era anche l’occasione per praticare tutta una serie di riti apotropaici, in cui la tradizione cristiana si ammantava di paganesimo in un sincretismo davvero originale. E’ diffusa ancora ai giorni nostri l’usanza di “ardere la vecia”: un enorme pupazzo, composto da legna, stracci e fascine, di forma umana, viene posto su di una pila di legna e dato alle fiamme. La figura della “vecia” era una specie di capro espiatorio per esorcizzare tutto il male e per propiziarsi l’abbondanza e la fertilità dei campi. Con la distruzione della vecchio nell’immaginario popolare (forse un antico retaggio di sacrifici umani o animali) si intendeva rappresentare la fine di tutti i mali. La stessa cosa avviene la notte di Capodanno, quando si lanciano oggetti vecchi dalle finestre.

In alcune località del Veneto e del Friuli si lanciano delle ruote di legno incendiate lungo i pendii dei monti; il rito viene detto “rito della stella”, perché anticamente le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo.
Nel trevigiano era in uso fino a pochi decenni fa la tradizione della “notte del panevin”. Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò, intonando un canto che recitava:

“Evviva il panevino,
la focaccia sotto il camino,
fagioli per i figli, fieno per i buoi,
polenta per i bambini, santità ed allegrezza”.



Nel modenese i contadini usavano colpire con un ramoscello gli alberi da frutta, ripetendo una filastrocca di buon augurio:

Carga, carga, e tin, tin,
tan, treinta cavagn st’an ech vin

(caricati, caricati, e tienili, tienili,
fanne trenta ceste nell’anno che sta per venire)”.

Dario Spada

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