Quest’album è "un mosaico di piccole storie su New York basate su racconti che mi sono stati fatti o su cose che ho visto o percepito", racconta Suzanne Vega con l’orgoglio e la fatica di chi ha compiuto un’impresa. Erano sei anni che non pubblicava un disco, e alzi la mano chi ricorda anche solo il titolo, non dico una canzone, di quella sbiadita operina. Travolta dai tempi, schiacciata dal suo stesso passato con il paragone ossessivo di Luka e Tom’s Diner, sempre e solo quello, Suzanne ha masticato queste idee in solitudine per molto tempo mentre intorno la vita le cadeva a pezzi. Un divorzio doloroso, la separazione dal vecchio manager e dalla sua storica etichetta discografica: e la morte del fratello Tom, da tempo alcolista, messo in ginocchio dalla tragedia delle Torri Gemelle dove lavorava. Alla fine la lenta, tenace rinascita. Ora Suzanne ha un nuovo contratto con la Blue Note, un nuovo manager e la speranza che qualcuno si accorga di lei per le pagine più recenti e non per vecchi "hits" che fanno nostalgia anni ‘80.
Con simili vicende alle spalle, uno penserebbe a un disco forte, intenso, urlato. No invece. Suzanne si conferma un’implosiva, lascia filtrare solo deboli echi dalle profondità del suo mondo, usa colori d’acqua e pennelli fini per quelle che sono in effetti miniature: undici canzoni per poco più di mezz’ora, tagli piccoli da vecchi 45 giri per brani che in classifica non andranno mai, e mai passeranno per radio. Il paradosso di quest’album è lo stesso dei penultimi negli anni scorsi: canzoni belle sulla carta, intelligenti, curiose che svaporano come bolle anche perchè la signora le canta in souplesse, persa in un sogno, senza incisività. Se uno penetra le storie del disco ne resta ammirato, ricordi di giovinezza in Zephir And I, gli anni ‘80 in Ludlow Street, il fantasma dell’11 settembre in Angel’s Doorway: ma sono idee che restano a mezz’aria, pensieri e parole che la musica non riesce a conficcare nella carne e nella testa, con i suoi slanci così a modino, con il folk rock appena venato di vecchio jazz anche perchè Blue Note oblige.
Con tutto questo, Suzanne Vega resta una delle più affascinanti e influenti presenze della musica americana del nostro tempo. Buona fortuna. (Quella sbiadita operina, per inciso, si chiamava Songs In Red And Gray).
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