A Roma piazza gremita
"E' viva la Costituzione"
A Roma la manifestazione principale del C-Day a difesa della Carta e a sostegno della scuola pubblica. Un movimento in cui si ritrovano anche i magistrati, i lavoratori dello spettacolo, la cultura. Settori che incarnano diritti costituzionalmente garantiti. Oggi sotto attacco
ROMA - Cortei e manifestazioni in oltre 100 città, italiani che manifestano anche all'estero, piazza del Popolo a Roma che torna a gremirsi ancora una volta per dare voce all'altro Paese, quello che non la vede come chi governa il presente. Tutti insieme per dire "E' viva la Costituzione", come recita lo slogan che apre il corteo che nella Capitale parte da piazza della Repubblica, che ritroviamo poi, enorme, alle spalle del palco montato nella piazza. Tutti insieme: il mondo del lavoro, della scuola, della cultura e dello spettacolo, adesso anche la magistratura. Settori che rappresentano anche i diritti di un popolo e che la Carta garantisce e ritiene fondanti della società: il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, il diritto al progesso spirituale, il diritto alla giustizia. Diritti e settori che il governo, giorno dopo giorno, sta piegando a sua visione di presunta modernità che, per essere attuata, passa anche per la modifica della Costituzione.
LE IMMAGINI
"Siamo un milione in tutta Italia e all'estero" urlano dal palco in piazza del Popolo verso sera. Cifra che esprime la partecipazione e anche la preoccupazione di chi oggi ha scelto di esserci. C'è Articolo 21, promotore con altri del C-day di oggi. Il Popolo viola, e poi la Cgil, le associazioni dei docenti, dei genitori, la Rete e l'Unione degli Studenti, esponenti di partito senza bandiere, tantissimi anziani. Una arzilla signora si porta dietro un cartello: "Trombolo, l'ottavo nano". E' l'unico riferimento al premier. Tutti insieme, in un corteo civilissimo e pacifico, che giunge in piazza del Popolo portandosi sulla testa un tricolore lungo almeno 40 metri.
La dedica e il minuto di silenzio in memoria delle vittime del cataclisma giapponese è accompagnato dalle parole di Aiga Nasawa, "un'amica" della Costituzione. "Le fondamenta del mio Paese sono scosse - dice al microfono, emozionatissima -, le vostre fondamenta sono la Costituzione". Commuove il giornalista libico Farid Adly: "Questa è nostra piazza Tahrir. In Libia da 42 anni vige la dittatura, non possiamo esprimerci. Avremmo voluto una rivoluzione pacifica, a cui dare il nome di un fiore, non il sangue. Ma ci hanno costretti alla resistenza. Come accadde per voi. Vogliamo una repubblica democratica, ma dovete aiutarci, senza esitare. E tenete la vostra Costituzione nel cuore. E' una cosa bellissima, non permettete che la distruggano".
Si parla dell'Articolo 2: la Repubblica che riconosce i diritti dell'Uomo. E Ottavia Piccolo chiama la Costituzione "mia sorella: lei ha studiato, io volevo fare l'artista". Poi l'Articolo 3, tutti i cittadini hanno pari dignità davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinione, condizione personale e sociale. Dettato che sottende valori di libertà e democrazia, non un regime plebiscitario. "I limiti esistono per i magistrati, come ora si pretende - spiega il grande costituzionalista Alessandro Pace -, ma anche per i parlamentari e per il presidente del Consiglio".
La piazza accoglie con un grande applauso Antonino Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, introdotto dall'articolo 101: i giudici sono sottoposti solo alla legge, la giustizia è amministrata in nome del popolo sovrano. "La vostra partecipazione - esordisce il magistrato - dimostra che avete capito che la riforma della giustizia è in realtà una controriforma. Che non è solo una questione di carriere separate o di procedure disciplinari. La posta il gioco è molto più alta e riguarda tutti. Se passa, avremo uno Stato di diritto sfigurato nei suoi principi fondamentali. Qui è in gioco l'eguaglianza davanti alla legge. E tutti i puntelli previsti dalla Costituzione sono funzionali all'equilibrio tra i poteri, che assicura l'eguaglianza davanti alla legge. Poteri che si controllano. E se il potere giudiziario viene schiacciato e controllato dalla politica...".
Lo scrittore e magistrato Giancarlo De Cataldo spiega l'attacco alla cultura con la "paura della diffusione di idee" che non si allineano alla propaganda. Ascanio Celestini ricorda i moti del 1848 e la Repubblica romana, che si diede una Costituzione diventata, 100 anni dopo, base dell'attuale testo. E' vibrante di passione Monica Guerritore quando ricorda l'articolo 4, il diritto e dovere dei cittadini di concorrere al progresso materiale e - sottolinea - spirituale.
E' il momento della scuola pubblica. Aperta a tutti, gratuita e obbligatoria nei gradi inferiori, che riesce a premiare e sostenere i meritevoli che non hanno grandi mezzi, secondo l'articolo 34. La realtà oggi dice il contrario. E Silvia Calamandrei rievoca ancora una volta la profezia partorita nel 1950 dalla mente dello zio Piero, uno dei padre della Carta: "Se un partito vuole introdurre una larvata dittatura, deve abbattere l'imparzialità della scuola pubblica. Come? Impoverendo i loro bilanci, allentando i controlli sui privati e dirottando verso di loro le risorse pubbliche". Marina D'Altri, del coordinamento genitori di Bologna, denuncia i tagli alla scuola pubblica e la vergogna di fondi pubblici dirottati su istituti privati che "un migrante non potrà mai frequentare". Il "maestro di strada" Marco Rossi Doria, che insegna ai ragazzini dei quartieri spagnoli, urla alla piazza il comma 2 dell'articolo 3: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli" al miglioramento dell'individuo.
A unire tutti, soprattutto "studenti e operai, i miei preferiti", arriva infine Roberto Vecchioni. Alla piazza, Vecchioni offre ancora Chiamami ancora amore, trionfatrice al festival di Sanremo, perfetto inno di quest'altra Italia, che, come recita il testo, si dice convinta che questa maledetta notte dovrà pur finire...".
Fonte:
Repubblica