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SAGGIO
Partendo dal primo articolo della nostra Costituzione, la Prof.ssa Lorenza Carlassare, dall'Università di Padova per la pagina sedici del secondo numero de Il Fatto Quotidiano, spiega egregiamente quale sia il reale contenuto della parola Democrazia e parimenti, perché nell'Italia di oggi essa non sia ravvisabile. In poche righe, la profonda e dolorosa analisi di uno dei più importanti costituzionalisti italiani di oggi. Praticamente un Vangelo di Democrazia Costituzionale.
Eccone il testo:

“L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro” si legge nel primo articolo della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il verbo “appartiene” è importante: la formula del Progetto – la sovranità “emana” dal popolo – venne modificata col preciso intento di sottolineare la permanenza della sovranità nel popolo che non se ne spoglia con il voto. Negli ultimi tempi lo si è dimenticato, esaltando la “democrazia d'investitura”: il popolo, muto per cinque anni, riprenderebbe voce al momento delle nuove elezioni (magari per votare, come ora, una lista di candidati su cui non ha scelta). Ma il contenuto della democrazia – diceva Carlo Esposito, costituzionalista illustre - “non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere”; non che “abbia la nuda sovranità (che praticamente non è niente), ma l'esercizio della Sovranità (che praticamente è tutto)”. E che possa esercitarla mediante il diritto di associarsi, di iscriversi ai partiti per influire sula linea politica, di riunirsi e discutere gli atti di governanti, di manifestare il dissenso in ogni forma, in primo luogo attraverso la libera stampa. Se si perde di vista la permanenza della sovranità nel popolo, si smarrisce l'importanza del suo modo di esercizio, che non è soltanto collettivo. I cittadini sono il popolo, non è “popolo” solo il corpo elettorale; e ciascun di essi esercita la propria sovranità mediante i diritti, senza i quali nemmeno il giorno delle elezioni eserciterebbe un effettivo potere. Le libertà (in particolare la manifestazione del pensiero) sono infatti presupposti indispensabili per una cosciente partecipazione politica e, consentendo ai cittadini la pubblica critica e il controllo, “evitano che gli istituti rappresentativi si riducano a una mera finzione”. Presupposti indispensabili sono anche i diritti sociali – all'istruzione in primo luogo, alla tutela della salute, a una situazione economica dignitosa – considerati da tutti precondizioni della democrazia. L'emarginazione consente una partecipazione effettiva?
Il senso dell'articolo 1 va riaffermato con decisione: è in effetti nella lettura distorta di questa disposizione la radice delle deformazioni attuali. La prima, si è visto, riguarda i cittadini, i loro diritti e libertà. La seconda investe la natura del potere e i suoi modi di esercizio, in definitiva la forma di governo e la forma di Stato. Una certa idea di sovranità popolare da tempo in circolazione conduce infatti alla pretesa esigente che chi governa per mandato del popolo abbia ricevuto un'investitura di tale potenza da non sopportare limiti o condizionamenti da parte di altre istituzioni neutrali prive della stessa legittimazione (come la Magistratura) che non possono contrastare il “sovrano”. Un “sovrano” che in quest'ottica non è più il popolo , ma chi, in forza di un'elezione che gli “trasferisce” il potere, pretende di parlare in suo nome, rivendicando un'autonoma posizione di sovranità. Ora si va anche oltre: il Parlamento stesso, espressione diretta della volontà popolare, è considerato un impaccio da eliminare. A più riprese infatti il Presidente del Consiglio ha dichiarato di voler legiferare sempre con decreti-legge, evitando il dibattito in Parlamento, benché egli stesso nell'ultima campagna elettorale lo abbia definito un “Parlamento di figuranti” dove i deputati, obbedienti a chi li ha designati e pronti a votare a comando, sono ininfluenti. Si vuole eliminare ogni, sia pur debole, voce?
È questo l'approdo di una concezione autoritaria e acritica della sovranità popolare che conduce a risultati – la concentrazione del potere e la forza attribuita al capo – che rappresentano la negazione delle ragioni profonde della democrazia. La nascita dello Stato moderno, liberale e democratico – ricorda Norberto Bobbio- “è stata accompagnata da teorie politiche il cui proposito fondamentale è di trovare un rimedio all'assolutezza del potere”. I limiti al potere della maggioranza costituiscono l'essenza di questa forma di Stato. Limiti interni: l potere diviso tra più organi e controllabile. Limiti esterni: diritti e libertà. La democrazia non solo presuppone un'opposizione, ma riconosce e protegge la minoranza con i diritti e le libertà fondamentali. Non c'è democrazia senza pluralismo, come ha ribadito nel 2005 la Corte di Strasburgo. O meglio: c'è il totalitarismo democratico.
Si può affermare che la nostra Repubblica presenti ancora tutti i caratteri della democrazia costituzionale?


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