Griko, taranta e mieru
Kalòs ìrtate stin Grecìa Salentina “Benvenuti nella Grecìa Salentina”.
Le antiche filastrocche in griko, che colorano ancora le feste paesane, parlano di un passato tra Medioevo e Oriente. La casa a corte, attorno a cui si dispongono gli ambienti tipici della casa di campagna del Salento, riflette il caratteristico sistema abitativo della chora (campagna) greca; le guglie e le volute ornamentali di certe chiese rivelano un gusto bizantino, i riti delle donne che invocano fertilità e salute rimandano a culti ancestrali tipici del matriarcato mediterraneo.
È la Puglia, un po’ greca, un po’ bizantina, un po’ normanna, un po’ barocca. Sono gli ulivi sparsi sulla terra brulla e rossa, i fichi d’india e i lungi filari di vite. È il mare, sorvegliato ancora dalle torrette saracene lungo la costa che fanno capolino dalla roccia arsa dal sole.
Sono 9 i comuni della Grecìa Salentina: Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino.
Il tempo qui è ancora cadenzato dai ritmi della terra. Le campagne, sempre assetate d’acqua, se lavorate con amore e pazienza, sanno restituire vino e olio, due beni preziosi per l’economia locale.
Si possono ancora vedere i vecchi frantoi ipogei, che fino a XIX secolo erano utilizzati per la spremitura e la lavorazione dell’olio: in griko è il trappeto, dal verbo greco traeo ‘spremere le uve’.
Un vecchio frantoio ipogeo ben conservato è quello che si trova a Martignano: luogo massacrante per chi ci lavorava, dove si trasformava, sottoterra, quello che la Puglia produceva alla luce del sole. Il sole e il buio, il giorno e la notte, il dio e il demonio, il sacro e il profano. Dicotomia che da sempre caratterizza e condanna il popolo salentino; è la forza della natura, insieme rigenerante e demoniaca. È il culto antichissimo di Semele che rinnova le messi sei mesi l’anno e gli altri sei li passa all’inferno; è il Ballo di San Vito, danza sfrenata in cui la donna-demonio, intrappolata dal morso della tarantola, si affranca dal male.
San Vito è oggetto di culto a Calimera (il toponimo in gr. significa ‘buon giorno’): qui sorge, infatti, la piccola cappella dedicata al Santo protettore degli animali. Da tempi immemori il lunedì dell’Angelo, si consuma un rito che vede coinvolte le donne del paese e le visitatrici devote: al centro della navata sorge un megalite (grande pietra di origine pre-cristiana) con un foro nel mezzo. Stando alla leggenda, questo è un simbolo legato alla fertilità, pertanto il rito pagano che si consuma ogni anno impone che le donne attraversino la fessura per augurarsi fecondità. Mentre nella notte del solstizio d’estate la nuova stagione si saluta con un tripudio di luci e colori: la Festa dei Lampioni vede innalzarsi per le strade costruzioni luminose e fantasiose in cartapesta e tessuto, che accendono la città. L’usanza pare sia nata per strada dalle scorribande di ragazzini che si sfidavano in abili opere, ciascuna per il proprio quartiere. Protagonista di questi due giorni di festa, accanto ai lampioni colorati, è lu cuturusciu, tarallo morbido fatto con gli avanzi della pasta del pane che resta attaccata alla madia, dopo l’impasto; frutto dell’ingegno di qualche brava massaia, insaporito con peperoncino e olio.
Ben più godereccia è la Festa te lu mieru (festa del vino, dolce come il miele) che si svolge nella prima settimana di settembre, a Carpignano, in concomitanza con la vendemmia. Il paese ospita la Cripta di Santa Cristina, pregevole esempio del periodo bizantino della Grecia salentina, con affreschi del X-XI sec. In inverno Zollino, noto per la Parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo e per il menhir di Sant’Anna, è il palcoscenico della Festa de lu Focu, che cade nell’ultima settimana dell’anno con lo scopo di sfidare il cattivo tempo.