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Omaggio al "maestro dei maestri"

A Roma, dopo 59 anni, una mostra celebra l'artista che ha fatto entrare Venezia nel Rinascimento e ha consegnato al Tiziano la lingua nuova della pittura italiana. Inventore prima di Leonardo della rappresentazione dei sentimenti e della natura. Capace di rinnovarsi fino agli ultimi anni della sua lunga esistenza. Geloso della propria indipendenza seppe tenere testa a una delle donne più potenti. I capolavori di luce del "Battesimo di Cristo" rivelati dal restauro.

ROMA - Giovanni Bellini, l'artista che ha traghettato la pittura di Venezia della seconda metà del Quattrocento e inizio Cinquecento, dalle sublimi asprezze dell'arte bizantina e dalle raffinatezze a volte raggelanti del gotico internazionale, al Rinascimento. Grazie a luce e colore, luminismo tonale, atmosfera, paesaggi di terra e di cieli, naturalezza e gusto dei particolari, organizzazione spaziale, presenza dell'uomo come noi moderni la sentiamo e ne siamo affascinati. "Prima di Leonardo è lui il grande inventore della rappresentazione dei sentimenti e della natura". L'artista che ha consegnato la lingua nuova, "nazionale", della pittura al gigante Tiziano (e al resto d'Italia) maturando le esperienze del cognato Mantegna, quelle del dare-avere col più giovane Giorgione, la scoperta della spazialità toscana di Piero della Francesca. E Antonello e i "fiamminghi".

La "quercia Bellini". Per l'età eccezionale per quel tempo (la data di nascita è tuttora incerta, varia dal 1430 al 1433 con preferenza per il 1438, quindi 78 anni fino al 1516 anno della morte). Per la veneranda carriera artistica: l'ultima pala monumentale è del 1513 e il "fresco", giocondo "Festino degli dei" del 1514. L'inedito tema della "Venere che si pettina allo specchio" del 1516. A 67 anni, quando lo apprezza da vicino, Durer lo considera il più grande dei pittori veneziani. Per i mille rivoli dell'insegnamento diretto e indiretto, "maestro dei maestri": Carpaccio, Cima, Bartolomeo Montagna, Lotto, Alvise Vivarini, eccetera. Sempre alla ricerca di nuove proposte, capace di rinnovarsi fino all'ultimo tanto da essere scambiato col Giorgione. Il 29 novembre 1516, il letterato e cronista Marin Sanudo lasciò scritto (e tutti gli storici dell'arte da allora ripetono): "Se intese questa mattina esser morto Zuan Belin optimo pytor havia anni%u2026la cui fama è nota per il mondo et cussi vecchio come l'era dipenzeva per excellentia". Ancora, un Bellini originale nelle iconografie e che ad onta del soprannome di "Giambellino" era orgoglioso dell'indipendenza di artista. Memorabile il "testa a testa" durato nove anni con la potente, capricciosa marchesa Isabella d'Este, che per lo "studiolo" di Mantova popolato di Mantegna, Perugino ed altri eccellenti pittori, ebbe solo un dipinto di soggetto sacro. Bellini voleva essere libero di scegliere nel sacro e nel profano.


La Madonna con il Bambino, eseguita intorno al 1510


Ora finalmente "Giovanni Bellini" continuamente nominato tra le fonti, gli ispiratori, i suggeritori di molti maestri e di generazioni di pittori, è in scena in una mostra tutta sua, a Roma, Scuderie del Quirinale (dal 30 settembre all'11 gennaio 2009). Una monografica mancava dal 1949 a Venezia, Palazzo Ducale. Una restituzione per l'incendio del 1577 che ci aveva resi orbi dei teleri di Giovanni, pittore ufficiale della Serenissima, testimoni del fasto della Repubblica. In questo deserto di 59 anni, si deve inserire la mostra sempre veneziana del 2000-2001 con i dipinti belliniani delle Gallerie dell'Accademia dopo il restauro. Tanto rivelatori della tecnica che 15 di quei dipinti sono alle Scuderie, fra le 65 opere che rappresentano circa i tre quarti della produzione accettata di Bellini. Curatori della mostra Mauro Lucco e Giovanni C.F. Villa (catalogo Silvana editoriale).

Le bianche sale delle Scuderie sono state trasformate da Mauro Zocchetta in sale tutte color rosso mattone. Nelle pareti si aprono vetrine e la generale semi-oscurità è tagliata da spot di luce. La mostra si apre con un "colpo di fulmine" che annuncia la piena maturità di Bellini a circa 34-36 anni, in cui esprime un "prodigioso naturalismo" e un "nuovo equilibrio tra linea, volume, colore e luce" avvicinandosi a Piero della Francesca - come osservano Lucco-Villa. La monumentale, quasi sette metri, "Incoronazione della Vergine" del 1472-1474, più conosciuta come "Pala di Pesaro" (dai Musei civici di quella città), ancora con la elaboratissima cornice originale. Cristo, ma senza i segni dei chiodi, incorona Maria quasi completamente avvolta da un manto blu notte. Entrambi siedono in un ampio trono di marmo dall'alto schienale di pietra chiara sfondato su una seconda scena. Un paesaggio con una rocca potente che molti identificano con Gradara. Quattro santi fanno da quinta al trono: in primo piano San Paolo in manto rosso su veste blu con lo spadone della dialettica e della propaganda e San Francesco col libro della regola. Una "Sacra conversazione" in cui i quattro santi sono concentrati nella lettura, meditazione o autorappresentazione . Nelle sette scenette della predella episodi dei santi e altri otto santi sono in finte nicchie su due pilastrini. La mostra ha fatto riunire in cima alla pala la cimasa dai Musei Vaticani: il "Compianto sul Cristo morto" (o "Imbalsamazione di Cristo") con i "laici" Maddalena, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Altre immagini
[Modificato da !Serenella! 15/10/2008 21:25]
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La "Pala di Pesaro" è il punto di partenza di una vertiginosa "fuga prospettica" delle sale, un "cannocchiale" che si schiaccia all'estremità sul dipinto singolo più grande esposto (4 per 2,63), "Il battesimo di Cristo" tolto dal fioritissimo altare in pietra di San Giovanni nella chiesa di Santa Corona a Vicenza. Una delle opere più belle, più "belliniana", "perfetta fusione fra figure e natura" con straordinari passaggi di luce sui particolari, sul paesaggio dei monti scoscesi divisi dal Giordano, sul cielo nuvoloso vicino alla terra e sul cielo azzurrino trasparente vicino all'Eterno. Il restauro fatto per la mostra esalta le preziosità di Bellini. Il perizoma di Cristo bianco sul lato colpito dalla luce, con le creste rosate nella parte non colpita. La riva del Giordano tra luce e penombra. La diversa illuminazione fra dentro e fuori della scodella con cui il Battista battezza. I riflessi sul fiume. La tessitura delle rocce non più spigolose. I sovrabbondanti indumenti di Cristo, lo squillante manto rosso lacca, la veste verde, sorretti da angelici assistenti con un terzo assistente in giallo ocra. Assistenti ed anche rappresentazioni delle virtù teologali (Fede, Speranza, Carità).

Con la "Pala di Pesaro" c'è una differenza di una trentina d'anni (1500-1502), ma il "Battesimo" viene giudicato "tanto moderno" da essere assegnato non ad un anziano pittore, ma ad un giovane della generazione successiva" e il nome tirato in ballo è quello del Giorgione. Nel 1676 lo scrittore d'arte veneziano Marco Boschini scriveva che il "Battesimo" è opera "così fresca di colorito, e tenerezza di carne impastata, che pare di mano di Giorgione suo scolaro". Ma poiché Bellini ha deposto sulle rocce un cartellino col "nome di Gio.Bellino, così bisogna dire".

Al "Battesimo" si arriva dopo una serie di celeberrime Madonne per devozione privata (che la bottega replicava per decine di volte tante erano le richieste). Ieratiche, sembrano tutte simili, ma esprimono umanità e sacralità intime, irripetibili. Giovanni non distribuisce tante aureole (a differenza del Mantegna), ma vivifica i personaggi senza quasi mai ricorrere a manifestazioni esterne. Lucco-Villa osservano che Bellini "per tutta la vita investigò, con intelligentissime variazioni, il tema dell'amore fra Madre e Figlio in modo straordinariamente spirituale". E in mostra ci sono "la più antica opera datata rimastaci" (1487), la "Madonna degli Alberetti" e la "Madonna dei cherubini rossi" con i sei cherubini rosso sangue ripetuti da un quadro del padre Jacopo. Madre e Figlio "eccezionalmente" in Bellini dialogano escludendo i fedeli.

Dalla serenità delle Madonne all'impressionante scorcio di rocce e corpi fino alla cima del Tabor, nella "Trasfigurazione" (Correr). Il Cristo fasciato in una veste bianco latte è nella "soffusa dolcezza della luce del tramonto". Una delle prime manifestazioni mantegnesche in Bellini. Ed ecco un'intromissione sconvolgente, il "Crocifisso con cimitero ebraico" (dalla Cariparma). Un unicum: non sembra che "siano conosciute altre opere italiane d'età medievale e rinascimentale" fra lapidi ebraiche (sopra a cinque teschi e ad un "erbario rinascimentale" con oltre 30 fra piante e fiori "perfettamente rese in punta di pennello"). Nello sfondo particolari di Vicenza e di Ancona. La tavola viene considerata un "altissimo esempio nella resa degli effetti atmosferici e dell'unità formale del paesaggio". Su di una lapide è stata scoperta la data 1501-1502.

Peccato che non ci sia quel capolavoro assoluto che tutti si aspettano di rivedere, la "Pietà" di Brera che conclude la fase giovanile di Bellini. In mostra c'è il grande "Compianto su Cristo morto fra San Marco e San Nicola", da Venezia, Palazzo Ducale. Dipinto del 1472, dalle vicende complicate, ingrandito e accorciato. C'è chi attribuisce a Giovanni il disegno del gruppo centrale per il quale si sarebbe ispirato al gruppo di Brera, con Maria, dall'urlo strozzato, e l'Evangelista che sorreggono un corpo molto più emaciato, ancora con i piedi nel sepolcro. E anche chi gli assegna l'esecuzione dei tre personaggi.

"Resurrezione" del tutto insolita quella del 1476-1478 (da Berlino). Il sepolcro violato all'alba con gli armigeri ancora addormentati è in primo piano, ma la grotta non è isolata, è ai limiti del centro abitato con palazzi, torri, ponti, la vita quotidiana col pastore e il gregge. Una pia donna in manto rosso si sta avvicinando, mentre Cristo col vessillo bianco-crociato si innalza e suggella l'unitarietà della scena: il paesaggio dei colli e di un castello, il cielo che trascolora "nella limpidezza della luce chiara e fresca nella mitezza della stagione", fra nuvole allungate rosa e nuvole raggrumate. Col Cristo trionfante (straordinario nelle pieghe e nelle parti illuminate il lungo sudario svolazzante trasformato in perizoma), anche la natura trionfa nella corsa dei conigli sul prato, nel volo degli uccelli. Nella pittura di Bellini colore e luce prendono il sopravvento sul "linearismo grafico", verso quel "tonalismo" che sarà "marchio di fabbrica della pittura veneta del Cinquecento".

Dalla "Risurrezione" parte la "fuga prospettica" del secondo piano della mostra che si conclude sull'ultimo dipinto esposto che è anche uno degli ultimi in assoluto di Bellini, l'"Ebbrezza di Noè" (da Besançon) del 1515-1516. Qui c'è uno dei "cuori" della mostra in cui si passa a ritroso dalla morte alla prima infanzia di Gesù. Per primo il "Cristo morto con quattro angeli", del 1472 (da Rimini), altro celebre dipinto, con i quattro piccoli angeli addolorati e impotenti nell'affrontare il corpo per loro gigantesco di Cristo, in primissimo piano, con le gambe all'inguine che escono dal quadro. Altro capolavoro è il "Compianto su Cristo morto" del 1500 (dagli Uffizi). Cristo, sempre in primissimo piano e con le gambe che vogliono fuggire dalla cornice, è circondato da sette tradizionali personaggi che formano un gruppo di insolita compattezza ancora più valorizzato dal monocromo.
15/10/2008 21:24
 
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Ma c'è il dubbio che la tavola sia finita o non. Per Lucco-Villa si tratta di una "tavola incompiuta, ferma a quell'elaborazione grafica che Bellini sfruttava sotto ogni dipinto, prima di coprirlo e velarlo con il colore". Per altri "la perfezione grafica del segno, delineato sopra uno strato pittorico assai consistente (non su una preparazione di fondo)", fa pendere per un'opera finita. La prima "Presentazione al Tempio" del 1460-1464, copertina della mostra, dalla veneziana Fondazione Querini Stampalia, è il famoso dipinto con una composizione quasi identica ad un quadro di Mantegna al Museo statale di Berlino, sollevando il primo dei tanti aspetti incerti delle due opere, datazione e quindi precedenza dell'invenzione.

Su di un fondo scuro che non ammette distrazioni, Bellini raffigura sette personaggi a mezzo busto delimitati da una balaustra, nessuno con l'aureola, ma pieni di senso sacro. Gesù Bambino è tutto stretto, dal collo alle punte dei piedi, da fasce come una piccola mummia da cui emerge solo parte di una manina. Il visetto allarmato si rivolge verso Maria perché sente che altre mani stanno per prenderlo in consegna. Sono quelle del vecchio Simeone a cui il Signore ha promesso che non sarebbe morto prima di tenere fra le mani il figlio di Dio.

Nel dipinto di Mantegna, il giovane a destra sarebbe l'autoritratto del riccioluto pittore e la donna all'estremità sinistra sua moglie. Al centro il vecchio Jacopo Bellini. Giovanni ha aggiunto alle estremità l'autoritratto a destra e la propria madre a sinistra e avrebbe sostituito il Mantegna con Gentile Bellini, suo fratello, grande ritrattista. La piena umanità di Gesù torna in un'altra "Presentazione", del 1490-1500 (da Vienna). Per farne un ovale è stata segata.

Bellini elimina anche gli attributi tradizionali dei santi. Così nella "Madonna col Bambino e le Sante Caterina e Maddalena", dalle Gallerie, il riconoscimento avviene solo per l'aspetto fisico. Nasce la "Sacra conversazione" a mezzo busto, su fondo scuro. Questa iconografia, ambientata poi in un paesaggio, aprirà "allo straordinario successo del tema nel primo quarto del Cinquecento". Altre novità nella Madonna dal Louvre: il Bambino cammina sul davanzale e in corrispondenza di Pietro con le chiavi è il bel corpo dal volto dolce di un Sebastiano nudo e non trafitto.

Nell'ultima sala due piccoli "Cristo porta croce" dimostrano lo "strettissimo dialogo con la pittura di Giorgione", mentre l'"Ebbrezza" è stata considerata da Roberto Longhi "la prima opera della pittura moderna" (alimentando equivoci con Lotto e Tiziano). Prototipo moderno per quel portare i quattro protagonisti in primissimo piano con Noè nudo e disteso per terra, che sta per rotolare fuori del quadro e occupa tutto lo spazio. Al centro Cam, il figlio che vuol mettere alla berlina il padre in un momento di debolezza, che guarda le nudità e chiama a condividere lo spettacolo i fratelli Sem e Jafet che invece guardano altrove e cominciano a coprire le nudità del padre con un manto color cremisi. Purtroppo rimane indimenticabile il sogghigno di Cam, più che i figli amorevoli.

Notizie utili - "Giovanni Bellini". Dal 30 settembre all'11 gennaio 2009. Roma. Scuderie del Quirinale.
A cura di Mauro Lucco e Giovanni C.F. Villa.
Promossa da Azienda speciale Palaexpo, Comune di Roma, Regione, Fondazione Roma, Zètema. Allestimento Mauro Zocchetta con Lucio Turchetta. Catalogo Silvana editoriale.

Orari:
Da domenica a giovedì 10:00-20:00;
Venerdì e sabato 10:00-22:30.
Biglietterie aperte rispettivamente fino alle 19:00 e alle 21:30.
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 7,50.
Informazioni e prenotazioni: singoli, gruppi e laboratori d'arte 0639967500; scuole 0639967200. Fonte

Goffredo Silvestri
22/10/2008 17:22
 
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