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SUPERSUPREMO
Genio del paesaggio e del crimine

A Roma, Palazzo Venezia, la prima mostra in assoluto su un "artista maledetto" del Seicento la cui cattiva fama, a differenza del Caravaggio, si è ritorta su carriera e considerazione. Uno specialista senza rivali in vedute, capricci architettonici, burrasche di mare, architetture dipinte, nel gusto più spinto dell'immaginario e della realtà. Le sue notti erano "vive non dipinte".

ROMA - Agostino Tassi. Il pittore che stuprò Artemisia Gentileschi? Lui. Ma lo stupro di quella che sarebbe diventata la più celebre pittrice del Seicento italiano è solo un episodio delle centinaia e centinaia di pagine di verbali dei "birri" e di processi penali e civili che interessano Agostino, un "pluripregiudicato". Nettamente superiore in questo all'"artista maledetto" per eccellenza, il Caravaggio. Certo Tassi non ha sulla coscienza un omicidio, ma gli manca solo questo. La fama di "mal huomo, mal cristiano e senza timor di Dio" si è ritorta nel Seicento su carriera e considerazione, mentre per Merisi non ha avuto allora conseguenze, anzi, e in epoca moderna è stata il propellente di una straordinaria popolarità.



Ci sono di mezzo la rivoluzione della pittura, i popolani, le prostitute, i piedi sporchi che Caravaggio inserisce nei dipinti di soggetto sacro. Trasgressioni che Tassi non adotta perché i generi di cui è specialista, il paesaggio, le vedute, i capricci architettonici, le burrasche di mare, le architetture dipinte, non hanno il prestigio della pittura sacra o di storia. Ma quanto a qualità tecnica, ad una pittura che si trasforma, a invenzioni fuori degli schemi, capacità di dominare buio e luce (le notti di Tassi vengono dette "vive e non dipinte"), gusto dell'immaginario più spinto e della realtà, Tassi non teme rivali. Come dimostra il ruolo nello sviluppo della pittura di paesaggio europea con "formule e modelli fondamentali". Con debiti (e debiti reciproci), "una forte capacità di imitazione e assimilazione" per la pittura nordica: Bril, Elsheimer, Vroom, De Nomé, Lemaire, Poussin. E l'influenza su Claude Lorrain, il più grande paesaggista del Seicento, suo allievo, Salvator Rosa, Viviano Codazzi. Come dimostra la prima mostra in assoluto, a Roma, Palazzo Venezia: "Agostino Tassi (1578-1644).

Un paesaggista tra immaginario e realtà" (fino al 21 settembre), delle soprintendenze per il patrimonio storico artistico e il polo museale di Roma, diretta da Claudio Strinati, e del Lazio, diretta da Rossella Vodret. Direzione della mostra Maria Grazia Bernardini. Cura scientifica di mostra e catalogo (Iride per il Terzo Millennio) Patrizia Cavazzini che ha riunito 31 dipinti molti dei quali attribuiti per la prima volta a Tassi e con cinque inediti.

Il problema di Agostino fu il sesso, la bella vita e quindi il continuo bisogno di denaro. I clienti non erano solo le più grandi famiglie romane e i cardinaloni, ma avvocati e medici, il falegname o sarto sotto casa. Il biografo Passeri segnala che dal 1632, da quando prese in affitto una grande casa al Corso Agostino "viveva con ogni lusso e ostentazione, segno della sua 'debolezza di cervello'". Come il Caravaggio, arrampicatore sociale. Se ne andava in giro con una collana d'oro al collo e dai collaboratori si faceva chiamare cavaliere senza esserlo. Caravaggio girava a piedi con un servo che gli reggeva la spada. Tassi si pavoneggiava a cavallo con la spada al fianco e seguito da un servo. Caravaggio latitante con una condanna a morte papale sul collo, mai intercettato o disturbato, perché tutti volevano i suoi quadri. Tassi, condannato nel novembre 1612 a cinque anni di esilio da Roma e dallo Stato pontificio per lo stupro di Artemisia (maggio 1611), fece qualche mese di carcere a Roma e due anni di esilio a Bagnaia, a due passi. Ospite del cardinale Alessandro Peretti Montalto, nipote di Sisto V, per il quale affrescò il casino nuovo di villa Lante dirigendo una vasta squadra di artisti. Non solo, ma Patrizia Cavazzini ci ricorda che Tassi ignorò la sentenza fino a una nuova condanna per aggressione.

E che il tribunale gli aveva lasciato la scelta fra "cinque anni di lavori forzati o il bando perpetuo da Roma" che evidentemente era stato ridotto a cinque anni. Una condanna blanda in partenza e ancora di più nella pratica. Forse già alla fine del 1615 era a Roma, a lavorare nei cantieri di Paolo V Borghese.
D'altra parte si capisce a cosa andava incontro una donna in quei tempi nella vicenda di uno stupro anche se la querela era stata fatta da un uomo, il padre di Artemisia, il famoso pittore Orazio, di cui Agostino Tassi era amico e collaboratore in fruttuoso sodalizio. Nel processo fu Artemisia ad essere torturata per farle dire la verità. Dopo lo stupro, per circa un anno, Agostino era riuscito ad avere rapporti intimi non violenti con Artemisia rinnovando sempre la promessa di matrimonio. La scoperta che la moglie era in vita aveva fatto partire la tardiva denuncia. Forse Tassi se la cavò riuscendo ad instillare, con i suoi dinieghi assoluti, le false testimonianze, le dichiarazioni maliziose di collaboratori di Orazio, i dubbi su Artemisia, che cioè la ragazza non fosse vergine.
Perché "a quei tempi, era lo sverginamento più che lo stupro a essere considerato un crimine".

Patrizia Cavazzini ci fa questo "quadro" di Agostino: "Arguto, abile, intelligente, violento, avaro, vendicativo". Capace di suscitare "odi profondi e grandi amicizie". Aveva cominciato la carriera a Livorno, dove abitava dai primi del Seicento forse per una condanna, lui che era nato a Roma, a Borgo. Forse era stato ospite delle galere del granducato, anche se non ai remi. Agostino esordì con una lunga relazione con la sorella giovane della moglie. Per l'incesto con la cognata era stato processato, non condannato. La moglie Maria, probabilmente una prostituta sposata per un voto, se ne andò dopo pochi anni di matrimonio, quando Agostino, nel 1610, si trasferì a Roma. I suoi rapporti privilegiati e stabili erano con le prostitute. Capace di assisterne una malata fino al letto di morte o di assalire quelle non disponibili. C'è il sospetto che abbia pagato sicari per far fuori la moglie, tentato di tagliare un braccio ad un collega, tentato un omicidio contro un cliente per il quale i quadri di Tassi valevano meno del prezzo delle cornici.

Agostino "non pagava nessuno". Per i numerosi collaboratori c'era uno scambio lavoro-sesso, con le prostitute che bazzicavano la casa-studio. Ordinò furti su commissione (ad un cliente che rivendeva le sue opere a prezzo maggiorato). Anticipò le truffe moderne vantando crediti per quadri ed affreschi con gli eredi del tesoriere pontificio. Vent'anni dopo lo stupro Agostino conviveva e prolificava con Ludovica Lauri, figlia dell'incisore romano Giacomo, dalla quale ebbe vari figli illegittimi. Nel 1638, a causa di una rissa, Agostino sembra si sia rifugiato a Tivoli, dove aveva terreni, da cui tornò nel 1641, ormai impedito dalla progressiva artrite deformante. L'artrite terminò l'opera nel febbraio 1644 quando Agostino aveva meno di 65 anni. Ludovica non l'abbandonò, riuscì ad impadronirsi di tutto quello che c'era in casa e delle terre (eredità destinata alla Camera Apostolica in mancanza di eredi legittimi e di un testamento).

All'abbondanza di documenti biografici corrisponde il poco o nulla sull'attività del pittore. Non sappiamo nulla della formazione. Poco dei primi quindici anni. Non esiste tela firmata o datata. I disegni erano molto ricercati per poter ripetere i dipinti. Molti sono sopravvissuti ma "non sono quasi mai riferibili a dipinti". Confermano una vasta attività anche come vedutista. Negli inventari seicenteschi "sono pochissimi i dipinti attribuiti a Tassi rimasti nelle collezioni originarie o di cui si possa rintracciare la provenienza. Molti si trovano ora in Francia". Solo tre dipinti sono in collezioni pubbliche italiane (tutti in mostra). Molte opere, anche fra quelle della monografia di Teresa Pugliatti del 1977 che "scoprì" Agostino Tassi, "non sono più rintracciabili".

Appena a Roma, Agostino incontrò il favore di Paolo V e del nipote cardinale Borghese per i quali dipinse, insieme ad Orazio, al Quirinale e nel casino delle Muse. Al ritorno a Roma dopo l'"esilio" fu impiegato di nuovo al Quirinale, "nell'enorme cantiere" della Sala Regia (Sala dei Corazzieri). Nei Palazzi Lancellotti e Patrizi (ora Costaguti) e nel casino Ludovisi, Tassi affrescò volte illusionistiche col Guercino (autore della famosa, inaccessibile Aurora Ludovisi), Domenichino e Lanfranco. La volta di un salotto di Palazzo Odescalchi. Il fregio del Salone da Ballo Lancellotti. Lavorò molto per i Barberini. Abile quadraturista quando a Roma scarseggiavano questi specialisti, Tassi divenne "quasi insostituibile" nei grandi cantieri anche per le qualità di imprenditore. Ma Tassi fu uno dei primi pittori italiani a dedicarsi "in maniera quasi esclusiva alla pittura di paesaggio, in cui unì elementi nordici e classici in un'originale sintesi".

Tassi aveva una vasta bottega e negli affreschi la presenza di collaboratori e aiuti "è quasi costante" con sorprese dovute ai periodi in cui l'artrite mordeva di più e ai mesi di carcere. Il cognato Filippo Franchini dichiarò in un processo "di aver affrescato personalmente una stanza a Palazzo Patrizi-Costaguti" perché Tassi era ammalato. Spesso anche nelle tele Agostino "collaborava con altri artisti affermati" come Angelo Caroselli. Sappiamo - continua Patrizia Cavazzini- che ai "clienti spacciava come autografe opere degli aiuti a malapena ritoccate da lui". Lo stesso Agostino commerciava rivendendo opere altrui. "Si ha il sospetto che si sia dedicato alla produzione di repliche e imitazioni", non che sia stato un falsario. Certo a casa di Agostino venivano prodotte "copie e varianti di tele giovanili" di Poussin, alcune eseguite dal fido Caroselli.

La mostra si apre con due tondi (58,5 di diametro) del 1610-1611 che sono gli unici noti di Tassi di questo formato. "Battesimo di Cristo" e "Chiamata di Simon Pietro" che rivelano l'influsso di Bril ed Elsheimer nelle composizioni, nelle "tonalità acide dei verdi e degli azzurri", la "luce mattutina e gli squarci di luce". Dalla cultura nordica Agostino deriva l'attenzione alla realtà, ai minimi particolari, e l'interesse alle vedute cittadine. Come la "Festa di Calendimaggio in Campidoglio", quando sulla piazza il primo di maggio veniva innalzato un altissimo, scivolosissimo "Albero della cuccagna". Agostino non rinuncia ad un inserimento fantastico "tingendo di rosso la statua acefala ai piedi della scalinata dell'Ara Coeli". Il dipinto è del 1611.

Vent'anni dopo Agostino ripete il soggetto. Nel primo "la composizione è simmetrica e statica, la luce tagliente, le figurine delimitate". Nel secondo la veduta, in verticale, è "fortemente scorciata, la luce più atmosferica e livida, le figurine tracciate con una rapida pennellata". Quest'ultimo dipinto è stato acquistato di recente dal Museo di Roma.
La piazza del Campidoglio ricompare nella "Galleria" del 1638 del Museo civico di Prato, che raffigura l'interno di un edificio monumentale diviso in due navate da un potente pilastro e da archi. Tutte le superfici sono ricoperte da dipinti allineati. Sul pilastro, tre quadri riconoscibili di Tassi. La "Veduta del Campidoglio" è sulla sinistra sorretta da una figura femminile. Sulla destra un'altra figura femminile è rivolta verso quella che sembra Minerva invocando forse che anche la pittura di paesaggio venga ammessa fra le arti liberali.

La "Pesca dei coralli" del 1623 è "il più precoce esempio noto di un notturno del Tassi" che "segna una svolta". Si sente "più marcata" l'infuenza di Elsheimer. Agostino però esegue "con veloci tocchi del pennello" le figure e le barche prima disegnate o delineate e i "contrasti di luce, prima violenti, assumono toni molto più sfumati". Tre naufragi in crescendo. Dalla scena drammatica, realistica, ma misurata dell'inedito "Naufragio" del 1621-1622: la collisione fra due galeoni fra alte onde schiumose e finiti contro gli scogli, o piuttosto un galeone spezzato in due. Alla scena convulsa, tra vele nere e rosse stracciate e arrotolate, del "Naufragio di Enea" del 1627 circa. Alla scena ribollente con un tocco di macabro, annegati a gambe divaricate, naufraghi, di "Tempesta di mare" del 1628-1630.

I "colori forti e chiari e i tocchi di rosso attenuano la dimensione tragica" del primo dipinto. La zona scura centrale, gli scogli ridotti a puntini grigi sui quali si è piantata la nave, contrasta col "bianco candido" dell'unica vela. Soprattutto il rosa e l'azzurro del cielo fanno ben sperare. Una furbizia tecnica che diventa una preziosità: "La spuma bianca delle onde è aggiunta non con un pennello, ma forse con una spugna". Come ripeterà nel terzo dipinto ribollente.
La seconda tela proviene dal cardinale Mazzarino che possedeva sette dipinti di Tassi fra prospettive, paesaggi e un naufragio. Anche in questa scena c'è la speranza che la tempesta si calmi. Le nuvole nere si stanno sfaldando in ammassi bianchi. Appaiono quindi una rarità i "toni così tragici", le "tinte così cupe" del terzo dipinto in cui Agostino rende gli uomini veramente fuscelli in preda agli elementi. E la "monocromia del dipinto ne accentua i toni disperati, insieme al tono livido dei corpi degli annegati". Il "luminismo" dell'opera è di tipo "impressionistico; l'impasto denso, le "figurine sono aggraziate e tracciate con rapidi colpi di pennello".

Sul quadro c'è una divergenza fra il recentissimo catalogo (Mochi Onori-Vodret) della Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini che lo attribuisce a Leonart Bramer, e la Cavazzini che lo attribuisce ad Agostino in base a costanti di Tassi (cadaveri a gambe divaricate, naufragi in un atteggiamento che si ritrova in un disegno di Agostino al Louvre e in due dipinti in mostra). La tela è stata pulita e "ritoccata" per la mostra che l'ha fatta uscire dai depositi di Palazzo Barberini.

Lo sfondo del "Capriccio architettonico con porto mediterraneo" "riprende quasi integralmente" lo sfondo di un dipinto del lorenese De Nomé, anche se la costruzione prospettica di Agostino è "più sapiente". Due degli edifici sono identici agli edifici di un'altra opera di Agostino che è in mostra ("Imbarco di Sant'Elena") e la costruzione con la statua nella nicchia si ritrova nel "Ratto di Elena" dipinto da Lorrain su disegno di Tassi e in collaborazione con lui. I galeoni e le barche davanti agli edifici, vuote o cariche di microscopiche figurine, sono diafane, come trasparenti.

Molto raramente Tassi usa canoni iconografici tradizionali e così è in questo "Battesimo di Cristo" in cui il "bellissimo paesaggio non ricorda certo le rive del Giordano, ma forse più la costa tirrenica". In più Agostino unisce nella scena un altro episodio del Vangelo, la chiamata dei primi apostoli, che colloca in una zona luminosa, mentre Cristo e il Battista sono nell'ombra. Ancora, il Cristo è raffigurato come inginocchiato davanti a Giovanni, il che è un'altra rarità.

Un'altra scena raramente rappresentata è la "Pesca miracolosa" in cui Cristo non è sulla riva del lago di Tiberiade, ma una figuretta indistinta su di un promontorio. Altra novità di Agostino, un volo di anatre in un cielo azzurro e di aironi (forse fatti dipingere da uno specialista), tutti richiamati da quel ben di Dio. Sullo sfondo l'inevitabile paio di velieri inclinati. Patrizia Cavazzini ricorda che Tassi curava poco la scelta dei materiali, usava spesso pigmenti di qualità scadente per cui molte tele sono arrivate in cattive condizioni. Anche il dipingere a strati successivi di colore ha contribuito a perdite della superficie e abrasioni come nel caso delle fronde di uno degli alberi della "Pesca".

Con "Il ritorno di Agrippina con le ceneri di Germanico" scopriamo un lato della produzione di Tassi che "ci era rimasto ignoto", i capricci architettonici nella tarda maturità (1636-1637). Il corteo di figure vestite all'antica e di cavalieri seicenteschi, sfila davanti all'arco di Costantino, alla colonna Traiana, a una chiesa ispirata al tempio di Antonino e Faustina, un campanile medievale.
"Incendio notturno di una città" (1637-1638) viene considerato uno dei dipinti di Tassi dalla fattura più raffinata. Sullo sfondo è una città circondata di mura e di torri in preda ad un incendio che si riflette sulle case. Forse Anversa sulla Schelda. Le mura, le scalinate, il fiume sono un formicaio di figurine argentate che corrono, si affollano, fanno quasi affondare le tante barche che occupano il primo piano della scena. Una ha già fatto naufragio e i cadaveri galleggiano sui rottami. Straordinaria l'abilità di Tassi a creare mini-scene luminose o effetti di luce sulle varie barche.

Nella "Fuga in Egitto" del 1637-1638, Agostino sembra prendersi un'altra libertà. Solo Maria ha l'aureola, non Giuseppe che sta pagando il traghettatore. Le fronde degli alberi sono rese "singolarmente da colpi lineari del pennello", diversissime dall'effetto di insieme di molte tele degli anni Trenta. La causa sembra forse l'artrite. Nel naufragio, che fa da pendant, l'impressione più che di un dramma è "una scena di fiaba o di teatro". Sorprendente come "in due tele che devono essere state dipinte quasi contemporaneamente, il pittore ricerchi effetti così diversi e usi tecniche così varie". Nell'inedita "Fuga di Lot da Sodoma", altro esercizio di bravura di Agostino con luci, ombre e penombre, in una notte rischiarata dalla luna, dall'incendio e dalle fiaccole dell'angelo e di Lot. Le pennellate sono "fluide e sicure", le figure "eseguite con grande maestria". La moglie Sara, ormai una statua di sale perché si è voltata a vedere la sua città morire, è resa "con pochissimi e abili tocchi bianchi del pennello".

Notizie utili - "Agostino Tassi (1578-1644). Il paesaggio tra immaginario e realtà". Dal 19 giugno al 21 settembre. Roma. Palazzo Venezia. Promossa dalle soprintendenze per il patrimonio storico artistico e il polo museale di Roma, diretta da Claudio Strinati, e del Lazio, diretta da Rossella Vodret. Direzione della mostra Maria Grazia Bernardini. Cura scientifica della mostra e del catalogo Patrizia Cavazzini. Catalogo Iride per il Terzo Millennio.
Biglietto: intero 7 euro, ridotto 4,5.
Orario: dal martedì alla domenica 9-19; chiuso lunedì.
Informazioni: 06-71289923. Fonte
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