Uffizi. Baccio del Bianco (1626-1627). Gruppo di galere in porto con barche e un galeone sullo sfondo”.
Disegno a penna e inchiostro bruno su carta.
Lo scontro di due flotte di galee era un evento molto complesso e veramente drammatico; anche se inizialmente, per evitare che le unità perdessero il contatto e non si potessero aiutare tra di loro, le due formazioni si mantenevano piuttosto rigide, esse, nel calore del combattimento, venivano presto a scompaginarsi, dando luogo a mischie tumultuose e confuse. Mentre le due linee frontali si gettavano l'una contro l'altra, facendo forza sui remi fino a raggiungere velocità di 7 o 8 nodi (le vele, in combattimento, erano sempre ammainate), gli equipaggi e i soldati delle galee si eccitavano a gran voce alla battaglia fra il clangore delle trombe e il fragore delle armi da fuoco fino al momento in cui ogni unità si veniva a scontrare con quella nemica che si trovava di fronte.
Lo sperone era destinato a sfondare l'opera morta dell'unità nemica, cioè l'incastellatura di prora o il posticcio sui fianchi. Dopo lo scontro, le due unità si avvinghiavano l'una all'altra a mezzo degli alighieri (ganci d'accosto) e continuavano a colpirsi con proiettili e frecce fino al momento in cui le fanterie potevano lanciarsi all'abbordaggio, trasformando così il combattimento navale in qualcosa di simile a un combattimento terrestre. Dopo un avvicendarsi di attacchi e di contrattacchi, la battaglia si conchiudeva col prevalere dei soldati dell'una o dell'altra parte, che prendevano possesso della galea nemica, uccidendo o buttando a mare fanti ed equipaggio avversari. La galea soccombente veniva presa e rimorchiata via come preda di guerra, se non era stata prima affondata o incendiata.
In sostanza, non si poteva, in quell'epoca, parlare di una vera e propria tattica navale, in quanto i combattimenti fra le galee somigliavano molto a quelli campali terrestri; la vittoria era infatti determinata dalla superiorità numerica e dall'ardore combattivo dei soldati, più che dalla capacità manovriera dei comandanti delle galee. Tuttavia sull'esito di uno scontro in mare influiva anche l'abilità con cui l'ala di una flotta riusciva eventualmente ad aggirare la corrispondente ala della flotta nemica, creando una superiorità numerica locale e superando così la resistenza nemica.
Abbiamo finora parlato soltanto di galee, ma le flotte del XVI secolo erano composte anche di altre unità, di minore dimensioni, più veloci e più maneggevoli, come le galeotte, le fuste, le fregate e i brigantini, tutte unità leggere destinate al servizio di ricognizione a distanza, a mantenere i collegamenti fra i vari gruppi della flotta in navigazione, e a portare messaggi a comandi distaccati. Tuttavia le galeotte prendevano spesso parte al combattimento a fianco delle galee, specialmente nelle flotte dei corsari barbareschi.
Oltre a queste unità minori, le flotte veneziane avevano quasi sempre anche un piccolo numero di galeazze, unità di dimensioni alquanto maggiori delle galee (dislocavano 1.500 T. circa) e di tipo intermedio tra i legni a remi e quelli a vela.