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«In ogni casa ci deve essere un’opera d’arte», diceva Joan Miró. Forse per onorare questo convincimento il maestro catalano si è dedicato con particolare amore all’incisione, alle tecniche litografiche e di stampa. Forse per questo ha frequentato a lungo il laboratorio di Joan Barbará, a Barcellona, che per oltre mezzo secolo è stato la casa degli artisti più diversi, desiderosi di sperimentare. In quello studio, che anche Picasso incentivava e dove hanno “stampato” Dalì, Chillida e Vasarely, Miró non solo costruì e organizzò personalmente le attrezzature, creando opere quali Gossos - Perros (Cani), bensì volle offrire a giovani creativi quali erano allora Tàpies o Cuixart la possibilità di cercare, provare, inventare. Raccontava Joan Barbará: «Miró si lasciava invadere dalla Natura e dai temi che la riguardano. Si considerava un elemento costitutivo della Natura alla pari con gli animali, gli alberi, il sole, il fuoco. Le sue opere, i suoi colori tipici, così luminosi e trasparenti, vengono da questa familiarità con gli elementi e con le creature viventi».

Luce, colore, natura. Di questa triade vitale e vitalistica è portatrice la mostra organizzata dalla Real Academia de España di Roma, in collaborazione con la Fundació Joan Miró di Barcellona, da cui provengono tutti i materiali, nella prestigiosa sede di San Pietro in Montorio. L’iniziativa celebra i primi 135 anni di vita della struttura. Joan Miró. Galleria degli Antiritratti apre i battenti al pubblico il 4 aprile, offrendo ai visitatori una rassegna di ventisei opere grafiche, acqueforti e acquetinte, realizzate tra il 1969 e il 1978, bellissime, estremamente dinamiche, e quattro sculture in bronzo di grande formato, della prima metà degli anni Settanta.

Nei grabados, a prescindere dalla tecnica esecutiva, l’effetto dell’immediatezza (che mai esclude l’intervento del Caso) rivela l’armonia dell’insieme, l’equilibrio compositivo e gli effetti plastici ai quali ha sempre e comunque ottemperato l’artista catalano. Antiritratti sono le composizioni in cui l’impatto forte delle figure in primo piano è in gran parte dovuto alla linea di colore nero che ne evidenzia e consolida i contorni. Ma il Miró incisore, padrone dei sistemi tradizionali (puntasecca, acquaforte, acquatinta) e insieme sperimentatore, arricchisce negli anni Settanta la sua perizia esecutiva, fondamentalmente pittorica, con procedimenti nuovi quali l’acquatinta allo zucchero e il carborundo (consiste nel fissare sulla superficie di metallo da incidere sostanze molto resistenti alla pressione, come il carburo di silicio o la vernice sintetica; in seguito si inchiostra e si pulisce la lastra, facendo in modo che rimanga solo l’inchiostro penetrato negli interstizi liberi).

Di queste commistioni sono specifica testimonianza le opere esposte a San Pietro in Montorio. Dice la direttrice dell’istituto, Charo Otegui Pascual: «Per festeggiare il nostro centotrentacinquesimo anniversario abbiamo pensato “in grande”. La selezione dei Miró, nel suo insieme, è assolutamente inedita. In più, c’è una particolare soddisfazione nel portare a Roma il lavoro di un maestro al quale le atmosfere, i colori e i sapori di questa città sono del tutto congeniali. Il suo percorso ha sempre mostrato coerenza e originalità, anche nel momento di maggior legame con il Surrealismo. Ma nella maturità, periodo al quale appartengono gli Antiritratti, si è dedicato con rinnovato interesse proprio alle arti grafiche».

L’Accademia spagnola, fondata nel 1873 da Emilio Castelar, uomo politico e grande intellettuale, e dal 1881 alloggiata nel convento francescano di San Pietro in Montorio, ha ospitato studiosi e borsisti (più di seicento fino ad oggi) di varie discipline, dalla pittura alla musica, dalla letteratura al restauro, dal cinema all’archeologia. E’ un importante punto di contatto fra le due culture, quella iberica e quella italiana, e tutti gli spagnoli eccellenti che visitano o soggiornano a Roma non mancano di frequentarla. Con la mostra dedicata a uno dei maestri assoluti del Novecento festeggia se stessa accentando un tratto dell’arte di Mirò che, come dice doña Charo Otegui Pascual, accomuna le due terre: il Mediterraneo, la sua mitologia, le figure antropomorfe dai grandi occhi asimmetrici che sono divinità condivise, campestri, rupestri, marine, creature strappate all’invisibile alle quali, noi mediterranei, sappiamo dare un nome. «In un quadro disse Miró dobbiamo poter scoprire cose nuove ogni volta che lo vediamo. Ma possiamo guardare un quadro per una settimana e non pensarci mai più. Oppure, possiamo anche guardare un quadro per un secondo e pensarci tutta la vita».

Il sito della Real Academia de España


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