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SAGGIO
Il mito della mafia italo-americana vacilla, vincono gli altri clan
Sono lontani i tempi in cui Lucky Luciano fondò il suo impero...
Dai boss leggendari ai Soprano
ascesa e declino di Cosa Nostra

dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

NEW YORK - "Cosa Nostra è come l'erba, tu la tagli, la tagli, ma quella ricresce sempre", dice Robert Castelli che la falciò per vent'anni, fino al 1995, dalla procura speciale antimafia di New York.

Ma se il pessimismo dell'uomo di legge è comprensibile, come quello del medico di fronte alla morte, quella prateria rigogliosa di padrini, capiregime, sottocapi, soldati, "made men" e "bravi ragazzi" che aveva invaso come una gramigna l'America da Brooklyn a Vegas, da Kansas City a Chicago, è oggi un campo di stoppie bruciate sotto la falce di operazioni congiunte italo-americane che stanno estirpando le "famigghie". E trasformano il mito della Mafia del Don Corleone nella miserabile saga dei "Soprano", gli straccioni violenti che rosicchiano le briciole di quel che fu, grazie al Cesare che lo organizzò, Salvatore Lucania, "Lucky" Luciano, un impero.

La Mafia negli Stati Uniti esiste e prospera, ma è sempre meno Cosa Nostra, sempre meno italiana. Della colossale multinazionale del crimine, quella terribile "lobby" che ancora tormenta l'essere un italiano in America e che negli anni '70 aveva anche un volo "non stop" Palermo New York conosciuto come "the Mafia Express", oggi rimane l'involucro. Un guscio svuotato dalla mancanza di quelle nuove reclute che un tempo si rovesciavano sulle spiagge di Ellis Island e dalla crisi di una "cultura mafiosa" che è soltanto crimine senza neppure sottocultura.

Oggi, e questo è il segnale più alto del tramonto di un impero, i "made man", i mafiosi "fatti" e cresimati, si pentono, lasciano "la vita" e, soprattutto, parlano. "Questa è una nave piena di sorci" ringhiò al processo che lo condannerà a morire in carcere l'ultimo vero Padrino, John Gotti "the Dapper Don", l'elegantone, ascoltando la testimonianza micidiale di un suo killer designato, Sammy "Il Toro" Gravano, poi ribattezzato appunto "King Rat", il re dei sorci che parlano. La mistica della appartenza fino alla morte, naturale o violenta, per salvare onore e silenzi, si è sciolta nella realtà di uomini come Joseph "Big Joe" Massino, fino al 2005 addirittura il capo di tutti capi della famiglia Bonanno, che circolava con un registratore incollato al petto.

Un super topo. Michael Franzese, che era stato "fatto" membro della famiglia Colombo nel 1975 con il classico rituale del sangue, del santino, del giuramento, quando uscì dal carcere nel 1995 semplicemente gettò la simbolica tonaca mafiosa alle ortiche. Si è trasformato in un predicatore e conferenziere in affollati show a Las Vegas, proprio nella città costruita sui capitali riciclati dei sindacati mafiosi dei camionisti, i Teamsters, e senza che nessuno gli tiri neppure le orecchie. E' stato lui a raccontare i dettagli della cerimonia di investitura nel 1975 conclusa con un banchetto luculliano e confrontarla con la festa per gli ultimi "uomini fatti" in questi anni, chiusa con un hamburger in un fast food di Brooklyn.

Dai festini allo squallido cheeseburger sta la parabola di questo "stato nello stato" che nel 1941 costrinse Franklyn Roosevelt a negoziare la scarcerazione di Lucky Luciano e la deportazione in Italia per sbloccare il porto di New York, dal quale neppure una spilla sarebbe partita per il fronte se il sindacato scaricatori non avesse avuto l'ok da Luciano. Ancora negli anni della decantata bonifica di Manhattan organizzata da Rudy Giuliani, fu l'alleanza, più o meno tacita, delle superstiti cinque famiglie che contribuì a ripulire la città dalla solita piaga dell'immondizia. Le inchieste della procura antimafia calcolarono in un miliardo e mezzo di dollari (oggi almeno il triplo) il sovrapprezzo che la città pagava alla mafia della "monnezza".

Grazie alla legge contro il crimine organizzato, detta "Rico" dal suo acronimo, che permette di allargare arresti e incriminazioni per qualsiasi sospetto di associazione mafiosa o favoreggiamento a individui come a famiglie, La Cosa Nostra si è ridotta a sopravvivere giocando di sponda, non più al centro del campo. Se Las Vegas fu costruita dai gangsters con i fondi pensioni dei camionisti, oggi l'ingresso del capitali delle grande multinazionali e la marea dei fondi di investimento con centinaia di miliardi nel portafoglio hanno marginalizzato, se non eliminato, l'influenza dei "bravi ragazzi". L'ultimo hurrà fu la Vegas dell'est, Atlantic City, nella quale Cosa Nostra riuscì a infilarsi di taglio, attraverso il sindacato muratori e carpentieri controllato dalla famiglia di Nicodemo "Nicolino" Scarfò di Philadelphia.

Sono dinosauri ancora feroci, ma azzannati da nuove e più aggressive bestie mafiose, i Russi, primi per brutalità, i Cinesi della Triad e i Giapponesi della Yakuza, i Colombiani della Priovra, i Jamaicani, i Rumeni, che fanno a Cosa Nostra quello che la Mafia italiana fece alla criminalità irlandese e degli ebrei che ebbero in Meyer Suchowlanskij, poi abbreviato in Lansky, il grande boss. Le cinque famiglie sono gusci, rispetto alla cupola che Carlo Gambino, siciliano di Caccamo, riuscì a formare, organizzare e controllare prima di morire di morte naturale nel 1976.

Una sorte che Albert Anastasia, pupillo di Luciano e poi dei Gambino, non aveva concesso ai suoi nemici con la sua "Murder Inc." nè ebbe lui stesso, abbattuto sulla sedia del barbiere. Con forse 100 uomini rimasti, la "Gambino Family" è stata portata alla rovina da John Gotti, esibizionista vanesio e dal figlio di lui John jr., universalmente riconosciuto come "nù fisso", un fesso.

I Bonanno, un tempo signori della droga, sono confinati a Long Island e nei prestiti a usura. I Lucchese, con al massimo 40 picciottelli, hanno il proprio capo di tutti i capi, Vittorio Amuso, in carcere e i Colombo fanno loro compagnia, avendo il "Padrino" storico, Carmine Persico, all'ergastolo. Resistono i Genovese, guidati dall'ex braccio destro di Vito Genovese, Vincent "The Chin", la bazza, Gigante, che sono riusciti a mantenere qualche controllo sui porti di New York e di Newark, dal quale passa buona parte dell'import di automobili, sulla raccolta dei rifiuti e sul pesce.

I giovani di Cosa Nostra, dice Robert Castelli, "la lasciano come si lascia un lavoro". Per convincersene, basterebbe andare ad assistere a una partita di baseball tra bambini a Boca Raton, in Florida e guardare l'allenatore. Si chiama Salvatore LoCascio, ha 57 anni, fa da mamma ai propri figli perché la moglie soffre di sclerosi a placche e campa allenando squadrette di ragazzi.

LoCascio era un "caporegime" dei Gambino. Guadagnava 10 milioni di dollari l'anno fino al 2000, quando la moglie si ammalò, lui andò dai giudici a raccontare tutto, ebbe in cambio una sentenza mitissima, 30 mesi e volò via indisturbato. Il Boss non è più solo. Gioca a palla coi bambini.


(8 febbraio 2008)
Repubblica.it


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