Con 326 sì il Professore incassa la fiducia a Montecitorio ma non si dimette
A Palazzo Madama non avrebbe i voti ma arriva qualche spiraglio dall'Udeur
La battaglia di Prodi, ok alla Camera
ora pronto a tentare il colpo al Senato
In mattinata Napolitano ha chiesto alle forze politiche di fare le riforme
Pd diviso fra chi vuole le dimissioni e chi invece vuole andare avanti

ROMA - Prodi incassa la fiducia alla Camera e si ostina a voler vedere le carte in Senato pur sapendo di non avere i voti. Nel terzo giorno dopo lo strappo di Mastella e dell'Udeur, quello che lascia Montecitorio intorno alle sette di sera è un premier solo, dimezzato e molto arrabbiato, con pochissime alternative davanti a sè: un miracolo perchè magari l'Udeur ci ripensa; vendere cara la pelle, quella che gli piace di più; farsi da parte e lasciare il posto a un tecnico o a un governo istituzionale, l'ipotesi che gli piace di meno. Non solo: Prodi è anche il presidente di un partito, il Pd, che sente sfuggirgli di mano perché oggi lo ha come un po' tradito invitandolo a farsi da parte prima di essere sfiduciato al Senato.

Il Professore non ha ancora deciso cosa fare, se andare fino in fondo ed essere sfiduciato al Senato e poi essere costretto a dimettersi; oppure dimettersi domattina o nel pomeriggio, comunque un momento prima di chiedere la fiducia ai senatori. La differenza è sostanziale. Le dimissioni prima della sfiducia al Senato consegnano al Quirinale una maggioranza in forte crisi ma che ancora può provare a fare qualcosa, ad esempio, le riforme grazie a un nuovo incarico. Le dimissioni dopo una sfiducia al Senato consegnano invece al Colle una maggioranza molto più debole che può lasciare il posto solo a un governo istituzionale o, ancora di più, al voto. Gennaio 2008 come il 21 ottobre 1998: dieci anni dopo la situazione sembra quasi ripetersi. Un destino politico già scritto.

Napolitano chiede le riforme. L'ottimismo che ancora martedì sera Prodi mostrava di voler sfoggiare, scompare stamani. La giornata è solenne: cerimonia per i 60 anni della Carta Costituzionale, Camera e Senato riuniti in seduta comune per per ascoltare il discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L'aula di Montecitorio è piena come un uovo, posti in piedi anche per i membri del governo. E Napolitano infatti dice parole che peseranno tutto il giorno sull'andamento della crisi. Il Presidente parla di "momento di acuta crisi e di incertezza politica" che va però assolutamente superato "avviando un realistico confronto nella ricerca del necessario e possibile consenso su talune, essenziali e ben delimitate proposte di riforma dell'ordinamento costituzionale". Il messaggio è fin troppo chiaro: questa legislatura non può essere interrotta senza fare le riforme. Quindi, se ci sarà crisi di governo, l'intenzione è quella di cercare reincarichi o soluzioni tecniche o istituzionali. Quello che vogliono Casini e il centro, ma anche una buona fetta del Pd, a cominciare da Massimo D'Alema.

I conti non tornano più. E' il sottosegretario ai Rapporti con il parlamento Gianpaolo D'Andrea l'uomo di fiducia che tiene la contabilità dei voti. E se martedì sera Prodi era convinto di essere a più 1 rispetto alla Cdl, dopo l'intervento di Napolitano la situazione precipita. Il premier riceva a palazzo Chigi Domenico Fisichella, ex An, ex Margherita, che gli spiega perchè non gli può dare la fiducia. I lib-dem di Dini fanno una riunione e decidono che non danno la fiducia: "Mi hanno anche offerto il ministero della Giustizia ma non posso accettare" rivela Lamberto Dini. Altri due voti persi. "Salvato", invece, quello del diniano Natale D'Amico.

L'incontro al Quirinale. All'ora di pranzo, quando Prodi incontra Napolitano al Quirinale, il Professore sa di non avere la maggioranza. Indiscrezioni dicono che proprio il Presidente avrebbe chiesto al premier di fare un passo indietro, di non sfidare il Senato e di rimettere il mandato "forte" della fiducia alla Camera. Magari per tentare un Prodi bis. O per lasciare il posto a un governo istituzionale o tecnico. Insomma, per fare le riforme.

La fiducia della Camera: 326 sì; 275 no. Con questo stato d'animo Prodi raggiunge di nuovo Montecitorio, alle 15, per le dichiarazioni di voto sulla fiducia. Certe immagini a volte dicono più di tante parole. Vale la pena dire che per la prima mezz'ora il Professore siede nei banchi del governo solo con i "suoi": Enrico Letta, Tommaso Padoa Schioppa, Arturo Parisi, Rosy Bindi, Vannino Chiti, Santagata, D'Andrea. Nei banchi del pd si intravede un solitario Fassino. Dopo, poi, con calma, arrivano anche tutti gli altri. Il dibattito dura un paio d'ore. Le posizioni sono chiare: l'Unione, dal Pd ai Comunisti italiani fino ai Verdi i più decisi nella difesa del governo, riconosce a Prodi di aver fatto un ottimo lavoro e chiede che questa legislatura vada avanti. An, Forza Italia e Lega non hanno dubbi: elezioni subito. C'è in aula Berlusconi ma lascia parlare Vito. Bossi è a Milano ma le sue "minacce" rotolano fino a Montecitorio: "Al voto o scoppia la rivoluzione. Sapremo dove trovare le armi". Udeur e Udc invece dicono di lavorare "alla costruzione del centro". La Cosa Bianca, ago della bilancia di un nuovo sistema di voto proporzionale. Tra qualche giorno sarà chiaro fino a che punto il nuovo centro e la legge elettorale hanno pesato in questa crisi. Comunque, alle 18 e 15 minuti arriva la fiducia (326 sì; 375 no). Una vittoria scontata. E triste perchè inutile.

Ma l'Udeur si astiene. Per il Campanile alla Camera parla Antonio Satta e annuncia che l'Udeur si astiene. Ben diverso dal voto contrario. E' l'annuncio di un cambio di linea? Al Senato non partecipare al voto significa far abbassare il quorum. Manna per l'Unione. L'ufficio stampa dell'Udeur fa un comunicato per dire che non c'è alcun cambio di linea e che a palazzo Madama i tre senatori (Mastella, Cusumano, Barbato) voteranno no. Sarà, ma per i prodiani si apre uno spiraglio. Quello che è certo è che l'Udeur smentisce di andare nel centro destra: "Noi stiamo al centro". Tutto il resto sono "ignobili pressioni e concussioni politiche". Ce l'ha con Berlusconi che va dicendo a tutti che "entro stasera l'Udeur è nel centro destra".

Il Pd si divide. La goccia che fa traboccare un vaso già pieno di sospetti e veleni arriva alle 16 e 15 quando due agenzie di stampa scrivono che "il Pd valuta l'ipotesi di dimissioni di Prodi prima del voto in Senato". E' quello che fin dalla mattina gira in molti capannelli che spuntano in Transatlantico: il Pd, inteso come Ds e Margherita, fin da lunedì sera ha chiesto a Prodi di lasciar perdere e di dimettersi subito. "Ma lui si mette di traverso, non vuole sentire ragioni" spiegano. Quei lanci di agenzia certificano una frattura evidente tra il fondatore del Pd e i cosiddetti ulivisti da una parte e il resto del partito dall'altra. Non bastano le smentite (Franceschini). Parlano i fatti: alla riunione serale nel loft del Pd i prodiani sono assenti.

Quattro voti per vincere. In serata si fanno i conti. La seduta di domani a palazzo Madama si dovrebbe aprire con 156 sì (150 senatori dell'Unione più sei senatori a vita), 161 no (156 della Cdl più Turigliatto, i tre Udeur e Fisichella). Quattro non partecipano al voto (Dini e Scalera, el senador Pallaro e Pininfarina) abbassando il quorum. A questo punto entrano in gioco le variabili. Uno spiraglio lo ha offerto l'Udeur astenendosi alla Camera. Uno scrupolo di coscienza potrebbe averlo Turigliatto. Così come potrebbero esserci delle assenze. Anche per questo, forse, Prodi deciderà di arrivare fino in fondo. E vedere le carte in tavola.

(23 gennaio 2008)
Repubblica.it