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Casini: "Se Prodi si dimette, si può aprire il dialogo"
Bertinotti divide Prc: "No alle elezioni, le riforme prima di tutto"
E si fa largo l'idea bipartisan
di un governo istituzionale
A favore Dini e i suoi. Tabacci (Udc): "Avremo un esecutivo del presidente"
ROMA - Romani Prodi non ha fatto in tempo a presentarsi alle Camere per una fiducia ad alto rischio ma ancora tutta da giocare, che già da ieri mattina tra i divani del Transatlantico e nei conciliaboli telefonici, il partito trasversale del non voto prendeva corpo e forza. È il partito di chi, dietro lo scudo della riforma elettorale, ma in fondo anche della propria sopravvivenza politica, tesse la trama del governo istituzionale.
Il nemico pubblico numero uno, quel partito, per un Silvio Berlusconi che ancora ieri si diceva convinto che Casini non si sarebbe sfilato dal centrodestra per percorrere altre vie. Un esorcismo che non ha sortito l'effetto sperato.
E infatti il leader Udc, nel giro di poche ore, ha rilanciato proprio quell'ipotesi infausta per il Cavaliere: "Si verifichi se c'è la possibilità di una intesa ampia per un governo di responsabilità nazionale, altrimenti si vada alle elezioni". Casini ha parlato fitto con il vice di Veltroni, Dario Franceschini, a Montecitorio. "Il governo istituzionale è ineludibile, non oggi forse ma domani" ha poi scherzato (ma neanche tanto) coi giornalisti. Concetto ribadito più seriamente al Tg1 della sera. Tutto, dice, dipende da Prodi. Se si dimettesse "è possibile discutere e aprire al dialogo".
Nel suo partito, fatta eccezione per il berlusconiano Giovanardi ("Al voto con il Cavaliere leader"), lavorano in quella direzione Bruno Tabacci, che ieri profetizzava che "non ci sarà il voto ma un esecutivo del presidente", come pure Mario Baccini: "Siamo perché si affidi l'incarico a una figura istituzionale, non di parte. Sia essa la presidenza del Senato, Franco Marini, sia il vertice di Bankitalia, Mario Draghi.
Montezemolo no, lui speriamo che accetti di guidare la Cosa bianca".
A dire il vero, i bussolotti che da ieri ruotano vorticosamente nell'urna dell'ipotetico dopo Prodi portano anche il nome di Giuliano Amato e, con minori chances, di Lamberto Dini. Proprio l'ex ministro degli Esteri ha riunito i suoi due senatori, Natale D'Amico e Giuseppe Scalera, per far sapere attraverso loro che "sarebbe opportuno che non si precipitasse verso la fine della legislatura senza affrontare questioni importanti come ad esempio la legge elettorale".
Ma l'apertura alla soluzione istituzionale da parte del presidente della Camera Fausto Bertinotti - che in una intervista alla "Stampa" si è detto contrario alle elezioni ("Le riforme prima di tutto") - ha causato una mezza rivolta dentro tutta la sinistra radicale. Non solo nel Pdci di Oliviero Diliberto ("Dopo Prodi c'è solo il voto"), nei Verdi e nella Sinistra democratica di Fabio Mussi, ma ha suscitato la replica stizzita anche dell'unico ministro targato Prc, Paolo Ferrero: "Non ne vedo le condizioni e non capisco chi lo sostiene". Una scossa dentro la Cosa rossa che ha indotto il leader Franco Giordano a convocare la segreteria di Rifondazione per approdare a una salomonica mediazione, per ora: "Non chiediamo elezioni anticipate ma nemmeno disegniamo altri scenari. Ascoltiamo prima Napolitano". Ma in fondo a cos'altro si riferiva Walter Veltroni quando, all'assemblea dei parlamentari Pd, nel pomeriggio, sottolineava che "le elezioni sono la scelta peggiore per il Paese"? Il pensiero d'altronde fa breccia tra i democratici: "Premesso che la caduta di Prodi è tutt'altro che scontata - ragionava a fine riunione il senatore Antonio Polito - va da sé che siamo contrari all'instabilità politica e dunque anche alle elezioni anticipate. Con quel che sta accadendo sul piano internazionale, di tutto abbiamo bisogno meno che di una nuova, bella rissa elettorale".
(23 gennaio 2008)
Repubblica.it |