Nell'ospedale abbandonato, dove schedari e radiografie sono alla portata di tutti
La polemica sollevata dal preside della facoltà di Medicina. "Così l'università non decolla"
Regina Elena, i gironi del degrado
cartelle in terra e corsie distrutte
di CARLO ALBERTO BUCCI
ROMA - Volete sapere se il signor Fabio Bianchi (il nome è di fantasia) era ammalato allo stomaco quando il 21 dicembre 1992 si sottopose alle analisi in ospedale? Basta andare al terzo piano del padiglione A dell'ex oncologico Regina Elena.
E troverete i referti medici e liste d'attesa gettati a terra. Ma troverete anche una scritta accanto al suo nome, secondo la quale "c'è siero" nella sua fiala di sedici anni fa. Per arrivare in questo archivio (un tempo) riservato, basta entrare nel portone spalancato che si trova davanti al piccolo bar "Regina Elena", punto di ristoro per i senza tetto che occupano il B e gli altri padiglioni (e per i quali ieri il prorettore Luigi Frati è tornato a ieri chiedere lo sgombero), come pure per docenti e studenti della Scuola archivisti e bibliotecari che da un anno è ospitata nella parte restaurata del padiglione C.
Salendo le scale fatiscenti del vecchio ospedale della Sapienza, chiunque può sapere chi fosse la signora che s'è sottoposta a una radiografia al seno per scoprire se era stata colpita da un carcinoma. Basta spostarsi dal lato opposto del reparto analisi cliniche diretto dal professor Giuseppe M. Gandolfo fino a sette anni fa, anno di chiusura e dell'abbandono della struttura universitaria che s'affaccia su via Regina Elena. E mettere mano alle decine di radiografie buttate sul pavimento, tra computer sfasciati, intonse cartucce per stampanti, piccioni morti e floppy disk obsoleti quanto probabilmente carichi di informazioni riservate.
Si tratta di centinaia di dati sensibili che la legge sulla privacy stabilisce siano protetti e inaccessibili. E che invece chiunque entri può consultare percorrendo il girone infernale del primo padiglione del vecchio Regina Elena. Nel reparto di chirurgia, sul muro, è rimasta la targa apposta il 3 dicembre 1995 per ricordare Federico Calabresi e il suo "indimenticabile impegno umano e professionale nella cura dei pazienti".
Tutto dimenticato lì. Anche la cartellina azzurra, piena di lettere e documenti privati del professor Gerardo D'Agostino, lasciata a terra tra pitali e padelle. In mezzo a letti arrugginiti, tetti divelti, medicine scadute, materassi fradici, lavandini e water sfasciati, cavi elettrici penzolanti. E un quadro elettrico con una spia ancora accesa.
Ma per toccare con mano la pericolosità che avvolge questo edificio, non serve salire per le scale che portano al reparto chirurgia del professor Conti (qui anche una poltrona bruciata in una stanza allagata). Basta entrare oltre le colonne del civico 291 di viale Regina. Siamo a piano terra. C'è un lungo corridoio. Con ai lati stanze abbandonate, visitate da ladri e vandali. E, alla fine, la porta blindata del perfettamente funzionante comitato laziale dell'Associazione italiana per la ricerca sul Cancro.
(19 gennaio 2008)
Repubblica.it