17/11/2007 18:27 |
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Esistono molti Neil Young. Quello elettrico, padre del giunge. Quello metal-elettronico, inascoltabile, degli Ottanta. Quello barricadero che incide un instant album contro Bush, Living with war, e quello bucolico di Harvest e Prairie Wind. O successi o disastri. A pochi mesi dai bootleg di suoi concerti al Fillmore East di New York (nel '70) e alla Massey Hall di Toronto (nel '71), il 62enne highlander canadese pubblica Chrome Dreams II.
Lutti familiari, un'operazione alla spina dorsale e l'aneurisma di due anni fa non lo hanno fiaccato. Il «due» del titolo rimanda a un disco «uno», Chrome Dreams, che doveva uscire trent'anni fa ma fu poi archiviato. Da quelle sessions, che partirono classici come Pocahontas, Young riprende tre brani, aggiungendone sette nuovi. Dentro c'è tutto e il contrario di tutto.
Suite di quasi venti minuti (Ordinary People), cori kitsch di bambini (My way), armoniche fatate (Beautiful Bluebird), epiche cavalcate (No Hidden path). Né elettrico né acustico, Chrome Dreams II è una sghemba - ma affascinante - rivendicazione di esistenza. Di coerenza.
Neil Young, «Chrome Dreams II», Warner Music
ANDREA SCANZI
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