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27/08/2007 17:41
 
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PROFILO
La fata è una creatura leggendaria presente nelle fiabe o nei miti di origine principalmente italiana e francese, ma che trova comunque figure affini nelle mitologie dell'Europa dell'Est.

Nell'originale accezione dell'Europa meridionale (senza influenze celtiche) è totalmente sovrannaturale, cioè non ha nulla di umano se non l'aspetto. Il nome fata deriva dall'altro nome latino delle Parche, che è Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero "destino"). La fata è quindi un essere etereo e magico, una sorta di spirito della Natura.


Origine

Le fate italiane sembrano ereditare i loro poteri ed il loro aspetto da alcuni personaggi della mitologia classica, ovvero principalmente dalle ninfe e dalle Parche. Come le ninfe, esse sono spiriti naturali che hanno sembianze di fanciulla; come le Parche presiedono al destino dei loro figliocci, dispensando loro vizi o virtù.

Le prime fate appaiono nel medioevo come proiezione delle antiche ninfe, ma vengono per la prima volta ufficializzate verso la fine del medioevo e prendono l'aspetto classico delle dame dell'epoca, che indossavano ingombranti copricapi conici (hennin) e lunghi abiti colorati. Man mano venne attribuita loro la verga (bacchetta) magica che possiamo ritrovare anche nell'Odissea (Circe).

Successivamente ogni favolista ha aggiunto particolari al loro carattere. Un bello spaccato di come sono le fate lo troviamo ne La bella addormentata sia di Perrault sia dei Fratelli Grimm ed ancora in Pinocchio, dove alle fate viene ufficialmente assegnato il colore blu, colore del sovrannaturale e della magia.


Fairies e fate

Fondamentalmente l'assonanza ha portato ad associare la fata alla fairy inglese e celtica (presenti in alcune commedie dello stesso William Shakespeare), ovvero ad alcuni esponenti del piccolo popolo piccoli e con le alucce, malgrado che - secondo molti - con questi ultimi non abbiano assolutamente a che fare; la differenza sostanziale consisterebbe nel fatto che le fate vogliono interagire con gli umani, mentre le fairies preferiscono rimanere invisibili all'occhio umano.
27/08/2007 17:42
 
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PROFILO
Credenze locali

Nei racconti popolari della Romagna un posto di rilievo è dedicato agli esseri fatati. Uno studio pubblicato nel 1927 da Nino Massaroli (Diavoli, diavolesse e diavolerie in Romagna) rappresenta quasi sempre la fata, quale fiorisce nelle novelle del focolare romagnolo, sotto forma di una veccia-vecchina; pulita, linda, dall’aria casalinga e simpatica di nonnina (…) Essa ha un preciso e gentile incarico, un esatto compito: disfare i malefici delle streghe; difendere le creature prese di mira dai geni del male, dai mostri della notte (…) Le fatine romagnole amano mostrarsi sotto forme piccolissime (…) La fata romagnola abita nella cappa del camino, sulla quercia dell’aia, nei pignattini del pagliaio (il pagliaio romagnolo s’erge sull’aia a forma conica retto da un’asta interna, sulla cui cima mettono un orinale od un pignattino per scongiurare le streghe).

Le fate romagnole dispensano protezione in particolare ai bimbi appena nati. Per ricevere la loro benevolenza occorreva svolgere vari rituali scaramantici come quello di offrire pani bianchi o rosate focacce (…) durante il loro passaggio, che in vari luoghi dell’Alpe di Romagna, avviene al vigilia dei morti, o la notte di Natale o dell’Epifania oppure recitare paròl faldédi (parole fatate) ed anche formole d’invocazione che in Romagna Toscana usavano dire a propiziarsi la fata del mattino nel mettersi in viaggio, e che vive tutt’ora in bocca ai fanciulli romagnoli: Turana, Turana - Rispondi a chi ti chiama - Di beltà sei regina - del cielo e della terra - di felicità e di buon cuore

Alle fate è infine dedicato un racconto ambientato nelle colline fra Castrocaro e Faenza:
« Sotto Monte Sassone, accanto ai ruderi del castello della Pré Mora (Pietra Mora), nel banco dello spungone sullo strapìombo della voragine del rio della Samoggia, fra le colline a monte di Faenza e Castrocaro nella zona di demarcazione dell’antico confine fra la terra del Papa e quella del Granducato, sono scavate le quattro grotte delle fate (chiamate anche busa – buca - e camaraz – cameraccie). Questa pietra era un prodigioso palazzo, nei lontani millenni delle Fate che lo disertarono quando l’uomo non credette più alla poesia, ma vi lasciarono, pegno del ritorno, i loro magici telai d’oro, su cui l’anima tesseva le canzoni che nessuno sa più ! E perché l’uomo non ne facesse sua preda, confidarono la guardia dei telai a un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili. »

(L. de Nardis, La Piè, 1925.)
27/08/2007 17:43
 
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PROFILO
Aspetto

Le fate sono tutte di sesso femminile ed hanno le sembianze di una donna non molto alta e molto gracile dalla pelle chiarissima, quasi perlacea. Il loro abbigliamento è quello tipico delle donne del XIV e XV secolo con il caratteristico Hennin (ovvero un lungo cappello conico o a tronco di cono) ed abiti molto pomposi e ricchi. Tutto questo sfarzo si può spiegare alla luce della loro indole vanitosa e permalosa, che le spinge a voler nascondere i propri difetti dietro broccati e gioielli. Così portano gonne lunghissime per coprire eventuali deformità (quasi ogni fata presenta infatti una parte del corpo bovina o caprina, come code, zoccoli ed alcune persino la testa) e cappelli lunghissimi per sembrare più alte.


Vita

Le fate vivono molto a lungo, ed una volta che finiscono la loro vita non muoiono, ma si incantano nei propri palazzi dove restano per l'eternità (da Perrault).
Nonostante, quindi, possano raggiungere età molto avanzate, hanno la possibilità di mostrarsi sotto qualsiasi spoglia esse vogliano, che sia di bambina (da Collodi), di giovane o di anziana. Hanno infatti pieni poteri di trasformarsi in ciò che vogliono.

La nascita delle fate è avvolta nel mistero. Alcune ipotesi (anche se non avvalorate da nessuna fiaba o mito) ritengono che le fate siano prodotti spontanei della natura o anche che abbiano una madre comune, una specie di ape regina che le origina tutte.
Varie fonti letterarie (Basile, Calvino, Perrault ed altri) attestano che le fate abitano spesso in palazzi sotterranei molto lussuosi, accessibili solo da personaggi prescelti. Non è neppure raro che le fate sposino umani, i loro figli tuttavia raramente ereditano poteri.


Compiti

Sono esseri che hanno come compito quello di vegliare sulle persone come angeli custodi, quindi di dispensare pregi e virtù tramite le loro Fatagioni (Basile) e di proteggere i bambini, vengono infatti definite "comari" (o madrine nella accezione moderna) e si prendono cura di un figlioccio che viene o affidato loro dai genitori stessi, o viene da loro prescelto.
Spesso le fate scelgono il proprio protetto sottoponendolo ad una prova di carità, solitamente tramutandosi in mendicanti bisognosi (vedi Le Fate di Perrault)


Carattere

La loro indole tuttavia non è univocamente buona. Oltre alla vanità ed all'egocentrismo che le distingue, sono fortemente permalose ed irascibili, un solo torto può scatenare la loro ira ed il loro dispetto può trasformarle in furie e può spingerle a lanciare maledizioni. Hanno quindi oltre ad un ruolo di premiazione anche un ruolo fortemente punitivo.
27/08/2007 17:47
 
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PROFILO
Le fate nelle arti figurative: la fairy art

Si definisce fairy art un movimento artistico tipicamente britannico che ha a che fare con la raffigurazione di fate in pittura, illustrazione e fotografia: durante il periodo vittoriano, la raffgurazione artistica delle fate conobbe il suo periodo di massimo splendore, con artisti come Arthur Rackam e John Anster Fitzgerald.





Le fate dei monti Sibillini

Le Fate dei Monti Sibillini sono donne vere e non hanno nulla in comune con gli esseri minuscoli e con le alette della pubblicità. Esse sono donne celtiche, appartenenti alle tribù del “Popolo delle Fate”, vissute in carne ed ossa sui Monti Sibillini dove erano arrivate in seguito alle dure sconfitte subite dal loro popolo ad opera dei Romani, importante quella nella battaglia del Sentino nell’anno 295 avanti Cristo. Dopo questa le Fate, rimaste vedove a causa della perdita dei compagni, per cercare di salvare la loro vita si rifugiarono sulle montagne, percorrendo le strade già utilizzate dalle altre tribù celtico-sabine per giungere sul lato piceno dei Monti Sibillini. Anche i Druidi, sacerdoti celtici depositari della conoscenza, si rifugiarono sui monti dove diffusero, tra l’altro, l’astronomia. Le grotte, per la loro sicurezza e per l’ambiente confortevole (temperatura costante tutto l’anno) furono i luoghi scelti da questi fuggitivi. Ancora oggi sui Monti Sibillini se ne possono osservare due: “La Grotta delle Fate e della Sibilla” posta sopra la corona rocciosa del Monte Sibilla e “La Grotta delle Fate” posta sopra l’Aia della Regina sul Vettore. Il Popolo delle Fate (Fairy Folk), nella Gallia ed in Gran Bretagna, è ricordato soprattutto per le danze, per la religione del Dio con le Corna e per l’organizzazione comunista della vita sociale. I loro membri, come avviene ancora oggi nelle Comunanze Agrarie Sibilline, mettevano tutti i beni in comune, provvedendo in seguito ad un’equa ridistribuzione. Sui Monti Sibillini molti sono i segni lasciati dalle Fate: oltre alle già menzionate grotte ci sono le “fontane delle Fate”, i “sentieri delle Fate”, la bellezza e la bravura delle Fate, e, soprattutto, due detti popolari che la gente tuttora tramanda: 1) “Belle come le Fate ma con le zampe come le capre”, questo detto ricorda la bellezza delle Fate ma nello stesso tempo la demonizzazione operata dall’Inquisizione. Le zampe di capra, infatti, sono una falsità e fanno riferimento alla loro divinità, Cernunnos, che aveva le corna e i piedi caprini. Le Fate utilizzavano calzature, simili agli odierni dopo-scì, fatte con le pelli di animali; 2) “Do’ vai a pianta’Maggiu?” (Dove vai a piantare Maggio?), questo detto, invece, proviene dalla festa celtica “Beltaine”, l’odierno “Calendimaggio”. Era la festa dedicata all’accoppiamento che ha dato il significato sessuale al detto popolare.

Le Fate suonavano l’arpa, uno strumento musicale celtico sconosciuto in zona, curavano le malattie con le erbe trovate, filavano, tessevano, e soprattutto ballavano. Sembra che siano state loro a portare il “saltarello” (ora ballo tradizionale locale) nelle zone sibilline. Sfidando i guardiani degli inquisitori scendevano, di nascosto, nei paesi pedemontani (Montefortino, Montemonaco, Foce, Montegallo, Pretare, Castelluccio) e ballavano con i ragazzi montanari per tutta la notte. A Montefortino (AP), in località “Rubbiano” (nel dialetto locale “lu Fià = sub Jà = sub Jano = sotto il tempio del Dio celtico Giano), vicino le Gole dell’Infernaccio, c’è un appezzamento di terreno che, in ricordo di questi balli (“valli” nel dialetto locale) ancora adesso si chiama “Valleria”. Erano anche sessualmente disinibite e questa loro caratteristica, mal sopportata dalla Chiesa dell’epoca, dette inizio in loco alla “caccia alle streghe” con le solite torture e i soliti roghi (Addirittura fu istituita la pena di morte per chi avesse frequentato la comunità delle Fate). C’è chi sostiene, confortato da circostanze magiche, che le Fate ci siano ancora adesso sui Monti Sibillini e in riscontro di ciò portano, tra l’altro, queste prove: - le “treccioline” delle cavalle (a volte le cavalle lasciate libere al pascolo sui monti ritornano con la criniera fatta a treccioline le cui autrici sarebbero le Fate); - le luci random (a volte, dopo il tramonto, sulle montagne si vedono delle luci come se fossero delle persone (Fate) che risalgono i pendii).

Le fate dei monti Sibillini - Archeologia

Le sembianze del Dio Caprone (Cernunnos) sono presenti, tra l’altro, sui capitelli della cripta della chiesa di S. Lorenzo a Montemonaco (AP). L’edificio sacro si trova in una zona chiamata “Vallegrascia” (Valle Grassa) e la sua dislocazione sicuramente fa riferimento a questa divinità del Popolo delle Fate che rappresentava l’abbondanza (viene sempre raffigurato con la cornucopia mentre amorevolmente nutre i serpenti).


Le fate dei monti Sibillini - Bibliografia

- “Il Dio delle Streghe” di Margaret A. Murray - "Sibille" di Herbert William Parke; - "Il Guerrnin Meschino" di Andrea da Barberino;


Le fate dei monti Sibillini - Curiosità

Le corna sono state la caratteristica di molti personaggi, sia umani che divini. La più antica immagine che si conosca di una divinità con le corna si trova ad Ariège nella Caverne des Trois Freres e risale al tardo periodo paleolitico. Gli dèi cornuti erano molto comuni in Mesopotania, sia in Babilonia che in Assiria. Alessandro Magno, come segno della sua natura divina, pose sul suo capo le corna e da questo gesto deriva il nome con cui viene chiamato nel Corano, Dhu'l Karnain, il Bicornuto. Il Dio Supremo Ammone aveva le corna. La maggiore di tutte le divinità cornute è Osiride, che sembra fosse il Faraone nel suo aspetto di dio incarnato. Il Dio più famoso, per la drammaticità della leggenda legata al suo culto, è il toro minoico di Creta, il Minotauro. In Grecia il dio con le corna era il Toro Dionisio. Nella Gallia, ma forse in tutta l'Europa, nell'età del bronzo, il dio con le corna Cernunnos (tra l'altro dio del Popolo delle Fate) era una delle divinità maggiori se non addirittura il dio supremo. Il cristiano S. Nicola (l'antico Neck o Nick), in Cornovaglia, conserva ancora le sue corna. Il Mosè di Michelangelo, conservato in Vaticano, ha le corna.

protagoniste del caso, queste rivelarono la verità. Il tutto fu il frutto di uno scherzo, le due bambine ritagliarono del cartone dandogli la forma di una fata per poi colorarlo e aggiungergli dettagli. Nel 1986, Francis, era in età piuttosto avanzata, confessò la falsità delle prime quattro foto, e aggiunse che la quinta fu l'unica ad essere stata realmente scattata in compagnia di fate e gnomi veri.
05/09/2007 16:24
 
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ADMIN UNICO

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bellisimo 3D, grazie per le preziose info
10/09/2007 17:35
 
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Di niente. A me piacciono molto le fate e appena riesco cerco altre info.
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