Martini "difende" il caso Welby
"Distinguere eutanasia e accanimento"
Torna il dibattito su eutanasia e accanimento terapeutico. Solo che stavolta a riproporlo non è il mondo politico, ma la Chiesa. Insomma, il Cardinal Carlo Maria Martini, una delle voci più ascoltate nel mondo cattolico, interviene sul Sole 24 Ore sostenendo il diritto del paziente a scegliere di rifiutare le cure: di qui la difesa di Piergriorgio Welby e l'appello alla politica di elaborare un legge in materia.
Martini, in sostanza, di fronte a quella "lucidità" con la quale Welby ha chiesto di interrompere la ventilazione automatica, chiede un interveto normativo che "da una parte consentano la possibilità di riconoscere la possibilità del rifiuto (uniformato) delle cure – quando ritenute sproporzionate dal paziente", come nel caso di Welby; e che dall'latra "protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio)".
Di qui, anche un suggerimento legislativo prendendo come riferimento la legislazione francese, che secondi Martini sembra aver trovato "un ottimo equilibrio". Un' apertura a sorpresa, che scuote sia la politica sia il Vaticano. Da Montiocitorio arrivano due scuole di pensiero: una che fa capo a Riccardo Pedrizzi, presidente della Consulta etico-religiosa di An, preoccupato dal fatto che il "testamento biologico divenga un modo subdolo per legittimare pratiche eutanasiche"; e l'atra che fa capo al presidente della Commissione del Senato, Ignazio Marino, Ds, che invece plaude alle "parole di grande saggezza che individuano il giusto percorso".
E mentre il mondo parlamentare si interroga sulla strada da intraprendere, da San Pietro preferisco tacere. "Non intendo rispendere nell'immediato – commenta infatti il vescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia accademia per la vita nonché il più autorevole esperto vaticano in materia di bioetica – preferisco farlo con calma, più distesamente, con un intervento scritto". In sostanza sono due i passaggi del discorso di Martini a preoccupare il Vaticano.
Uno, è la definizione di eutanasia considerata solo come il dare "positivamente la morte", nella sua accezione attiva, dunque, senza considerare anche quella passiva. E l'altro punto poco gradito è la distinzione tra eutanasia e accanimento terapeutico. Stando a Martini, per dichiarare se un intervento medico sia appropriato non ci si può "richiamare ad una regola generale quasi matematica", per cui diventa prioritario considerare come il paziente vive la cura.
Ma dal porporato frenano: "Dal punto di vista etico -questo il ragionamento – nel caso Welby la proporzionalità della cura c'era e non si poteva definire un caso di accanimento terapeutico".
tgcom