Roma - “Con Cassano ci ho parlato, contrariamente a quanto si dice è un bravo ragazzo. Però gli ho consigliato di regolarizzare la sua posizione, se non recuperasse sarebbe un peccato per lui e per me: il mondiale è il più grande evento sportivo del mondo, e noi vogliamo fare bene”. Nel corso di una lunga intervista che sarà pubblicata domani dal settimanale ‘L’Espresso’, il commissario tecnico della nazionale Marcello Lippi è tornato a parlare del futuro di Antonio Cassano in azzurro, oltre a commentare la sua esperienza professionale sulla panchina azzurra in vista dei prossimi Mondiali.
Per quanto riguarda il talento barese della Roma, Lippi ha confermato di sperare in un suo recupero da qui al prossimo giugno. “È un bravo ragazzo, contrariamente a quanto si dice in giro. Con me in Nazionale si è sempre comportato bene -dice il ct-. Non mi aspetto che vada ogni domenica in campo. Neanche Del Piero ci va. Ma deve recuperare il clima della competizione. Se la questione non si sblocca, è un peccato soprattutto per lui, che a 22 anni si nega una grande avventura. Ma anche per me. Per un allenatore è sempre doloroso rinunciare a un grande talento”.
Lippi ha ripercorso anche i mesi trascorsi tra l’addio alla Juve e l’assunzione alla guida della nazionale: “Conclusi con un anno di anticipo l’esperienza juventina, perché non me la sentivo di epurare la vecchia guardia che aveva dato tanto, volevo ritagliarmi sei-sette mesi tutti per me. Poi nel giugno 2004, dopo la nostra eliminazione agli europei in Portogallo, è giunta improvvisa la chiamata. Non avrei potuto dire di no. Fin da quand’ero bambino, e sognavo di diventare un calciatore, la maglia azzurra mi ha ipnotizzato come una magia. Quando giocavo l’ho soltanto sfiorata. Sono stato convocato per l’under 23 di Enzo Bearzot e per la sperimentale. Non ero nel giro dei grandi club e certi traguardi mi erano preclusi...”.
Il ct ribadisce il suo deciso ‘no’ all’ultima idea del presidente della Fifa, Joseph Blatter, che ha ipotizzato di abolire gli inni nazionali prima delle gare: “L’anno scorso, durante il mio esordio sulla panchina, all’esecuzione dell’inno nazionale ho avvertito una scossa nel cuore e nel cervello. Per questo mi oppongo all’idea di abolire gli inni, che sono un importante momento di aggregazione”.
Lippi ha preso in mano le redini dell’Italia forse nel momento di maggiore disaffezione dei tifosi per la maglia azzurra. “Proprio per queste ragioni la sfida era ancor più stimolante -racconta all’Espresso-. Si trattava di restituire entusiasmo a un ambiente un po’ depresso. Direi che oggi siamo sulla buona strada. Io ho trasmesso ai giocatori la consapevolezza di poter competere ai massimi livelli, loro hanno dato a me il piacere di selezionare un gruppo in cui credo e di infondere il giusto spirito di corpo. Finora è stata un’esperienza gratificante. Salvo qualche parentesi, come i fischi di Palermo a Toni che era passato alla Fiorentina. I tifosi son fatti così: puoi toccargli la macchina e perfino la moglie, mai la squadra del cuore”.
Abituato da tecnico di club a lavorare ogni pomeriggio sul campo, il ct confessa di aver avuto qualche difficoltà iniziale ad adattarsi a ritmi molto meno incalzanti: “Mi mancavano le emozioni della domenica. Poi, a poco a poco, ho scoperto i lati positivi di questo singolare mestiere. Dopo tanti anni di vagabondaggi ho riassaporato il gusto della famiglia, dell’intimità con il nipotino. Nello stesso tempo questo lavoro ti lascia il tempo di approfondire le idee, maturare le scelte. Essendo le squadre di vertice italiane imbottite di assi stranieri, a differenza di alcuni miei predecessori io non potevo ricorrere ai blocchi. E quindi ho dovuto cercarmi in provincia i giocatori da inserire al fianco dei campioni conclamati”.
Ma è proprio per fare di necessità virtù che Lippi ha scoperto e lanciato in azzurro giocatori come Toni o Grosso: “La prima volta che giocammo a Palermo, schierai al centro dell’attacco Toni non per compiacere la platea, come qualcuno mi rinfacciò, ma per necessità di sperimentazione, integrare le forze emergenti”. Dai successi internazionali nei trofei per club sulla panchina della Juve al primo Mondiale che lo aspetta, tra pochi mesi in Germania. Lippi sa già come affrontarlo: “Con la dovuta umiltà. È la manifestazione sportiva più importante del pianeta. Uno show che la serietà dell’organizzazione tedesca, la suggestione di stadi tecnologicamente avanzati, la presenza di quasi tutte le squadre di grande tradizione, il tifo dei nostri numerosi connazionali in Germania rendono ancor più coinvolgente. Una favola moderna da vivere minuto per minuto, a prescindere dai risultati”.
Dopo la netta vittoria nell’amichevole di Amsterdam, le quotazioni degli azzurri si sono impennate. Il tecnico olandese Marco Van Basten ha detto che l’Italia fa paura. E quello brasiliano Carlos Alberto Perreira ci assegna buone possibilità di arrivare in finale. “L’Italia vince e convince -commenta il tecnico viareggino-. Ed è tornata nel cuore degli italiani. Lo vedo dalle reazioni dei tifosi. Ma siamo appena a metà dell’opera. Certo, dopo il successo in Olanda il mondo ci guarda con un occhio di maggior riguardo. Ma in un torneo a eliminazione come il mondiale entrano in ballo fattori imprevedibili”.L’incertezza del risultato è anche la ragione per cui Lippi non ha ancora rinnovato il contratto con la Figc: “Quando si è parlato di prolungare fin d’ora il mio contratto, ho giudicato più serio rimandare la trattativa. Abbiamo un obiettivo da raggiungere. Non obbligatoriamente il titolo, a cui oltre al Brasile e all’Italia possono aspirare l’Argentina, la Germania, l’Inghilterra, la Francia. Di sicuro un piazzamento onorevole. Se non lo raggiungeremo, potrei non godere più della fiducia dei miei datori di lavoro. E, allora, non avrebbe più senso rimanere a dispetto dei santi”.
(Spr/Adnkronos)