Sean Penn, l'aspirante kamikaze che voleva assassinare Nixon.
ROMA - L'uomo che voleva farsi kamikaze, l'aspirante imprenditore fallito che tentò di dirottare un aereo per farlo schiantare sulla Casa Bianca di Richard Nixon, ha - sul grande schermo - il volto intenso e lo sguardo senza speranza di Sean Penn. Che nel film The Assassination, da venerdì 25 nelle nostre sale, offre un'altra interpretazione di straordinaria bravura, dopo l'Oscar ottenuto per Mystic river.
Il tutto in una storia, realmente accaduta, che svela l'altra faccia del sogno americano. Evocando anche, in qualche modo, gli incubi dell'11 settembre. Ma la pellicola in questione - diretta dall'esordiente Niels Muller, co-prodotta da Leonardo Di Caprio e distribuita in Italia dalla Lucky Red - non è solo un'occasione per vedere all'opera un divo dall'enorme talento. Ma offre anche il modo di rivisitare un capitolo oscuro della storia a stelle e strisce, quella stagione che cominciò nel 1963, con la morte di John Kennedy, e terminò nel 1974, col dopo-Watergate (lo scandalo scoppiò a fine '73) e, appunto, col tentato assassinio di Nixon.
"E' un decennio che mi ha sempre interessato - racconta oggi il regista, a Roma per presentare il film - molti lo considerano il momento in cui l'America perse l'innocenza". Così come accade al protagonista, Sam Bicke: impiegato in un negozio di mobili da ufficio, tartassato dal datore di lavoro, ancora innamorato dell'ex moglie (Naomi Watts, già accanto a Penn dello straziante 21 grammi), in rotta col fratello imprenditore di successo, e con un gommista di colore (Don Cheadle, candidato all'Oscar per Hotel Ruanda) come unico amico.
E così il nostro anti-eroe, deciso a uniformarsi e a cavalcare l'onda del successo, l'imperativo di sfondare a tutti i costi, fa davvero di tutto, dal suo punto di vista, per raddrizzare le cose; ma finisce per perdere il lavoro, la moglie e un prestito in banca che gli avrebbe consentito di mettersi in proprio. Finendo così per focalizzare tutta la sua rabbia e la sua frustrazione verso Nixon, l'uomo che - come dice una volta il suo principale - è il miglior venditore del mondo: "Ha già venduto l'America due volte", spiega, riferendosi alle due vittorie elettorali ottenute facendo la stessa promessa (la fine dell'incubo Vietnam).
Una vicenda dolorosa, quella di Bicke, con una scena finale - quella del tentativo di dirottamento - molto forte per lo spettatore. Anche se per tutto il film chi guarda non può non comprendere gli stati d'animo del protagonista, le sue proteste verso un sistema che esalta i vincitori e butta via i perdenti.
Un'ennesima riflessione sul sogno americamo che si trasforma in incubo? Muller, che è anche co-autore della sceneggiatura, è daccordo solo a metà: "Quel sogno esiste, anch'io ne sono l'espressione: figlio di immigrati tedeschi, sono riuscito a realizzare il mio primo film. Ma questa storia guarda all'altra faccia della medaglia, in un paese ossessionato dall'idea della vittoria: cosa succede, invece, a chi non vince?".
C'è poi l'altro aspetto inquietante della vicenda, e cioè il dirottamento aereo compiuto per colpire la Casa Bianca. Circostanza che non può non far tornare a galla i fantasmi dell'11 settembre: "La sceneggiatura era già pronta prima di allora - spiega il regista - dopo le Twin Towers avevo qualche dubbio a realizzare il film. Ma poi mi sono detto che si trattava di un episodio vero, che andava raccontato. Trovare dei finanziamenti, però, è stato difficilissimo, con un tema così nessuno voleva darmeli".
Alla fine, ad aiutarlo è stato un team di personaggi illustri: il regista messicano Alfonso Cuaron (autore del terzo Harry Potter), il regista di Sideways, Alexander Payne ("un mio amico dai tempi della storia di cinema), Leonardo Di Caprio ("Tobey Maguire mi ha messo in contatto con lui"). Ma il film probabilmente non sarebbe mai stato realizzato se Sean Penn non avesse accettato di portare sullo schermo la solitudine, la carica di violenza repressa e perfino le ragioni di Sam Bicke: "Lui ha detto sì già nel '99 - racconta Muller - poi però, a causa delle difficoltà dei finanziamenti, abbiamo cominciato a girare solo nel maggio 2003. L'unico vantaggio di questa attesa è che abbiamo avuto tantissimo tempo per conoscerci, in cui lui ha imparato ad avere fiducia in me. Così, una volta arrivati sul set, lavorare è stato facile".
E vedendo, sullo schermo, l'interpretazione del divo, resta un unico dubbio: perché mai i giurati degli Oscar non hanno inserito il suo nome tra i candidati alle statuetta come miglior attore.
Fonte Repubblica.it